Dopo 26 anni, la Commissione regionale antimafia dell’Ars, come riportato con enfasi dagli organi stampa, giunge alla conclusione che i depistaggi iniziarono prima che venisse portata a termine la strage di via D’Amelio in cui, il 19 luglio 1992, furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
Meglio tardi che mai, verrebbe da dire, dato che per la prima volta, una fonte istituzionale accenna a depistaggi antecedenti alla strage mentre fino a pochi giorni fa, e molto tempo prima che la Commissione arrivasse a questa conclusione, eravamo gli unici a scrivere di depistaggi funzionali al compimento della strage e antecedenti a quelli successivamente volti a ostacolare la ricerca della verità.
Purtroppo, non è neppure così. Eppure, le parole di Claudio Fava, presidente della Commissione, avrebbero indotto chiunque ad ipotizzare qualcosa di ben diverso da quanto messo nero su bianco nella relazione. “Si può ragionevolmente concludere – diceva Fava nel presentare alla stampa la relazione della Commissione – che la regia del depistaggio comincia ben prima che l’autobomba esploda in via D’Amelio. Questo induce a pensare che ‘menti raffinatissime‘, volendo mutuare un’espressione di Giovanni Falcone, si affiancarono alla manovalanza di Cosa Nostra sia nell’organizzazione della strage, sia contribuendo al successivo depistaggio”.
Orbene, è sufficiente leggere le 80 pagine della relazione conclusiva dell’inchiesta della Commissione antimafia sui depistaggi di via D’Amelio, per rendersi conto che non un solo nome, non un solo fatto, viene citato in materia di depistaggi antecedenti alla strage.
Accenni ad attività “anomale” dei servizi segreti, accenni a inquirenti defunti o comunque già oggetto di indagini o attività giudiziarie, nessuna novità rispetto a quanto non sia già emerso dai più recenti processi (vedasi Borsellino quater) o precedenti dichiarazioni da parte dei soggetti sentiti in Commissione. Ma v’è di più, in 80 pagine non si parla mai dei Messina Denaro, ovvero coloro che nel ’91, a Castelvetrano, pianificavano con i vertici regionali di “cosa nostra” l’omicidio di Borsellino. Nessun accenno a Matteo Messina Denaro, oggi imputato nel processo in corso a Caltanissetta proprio per le stragi del ’92.
Matteo Messina Denaro, fantasma al processo contro di lui a Caltanissetta (è latitante) lo diventa ancor di più nei lavori della Commissione, visto che nonostante le “menti raffinatissime si affiancarono alla manovalanza di Cosa Nostra”, come in un gioco di prestigio – tranne quelle già conosciute nelle carte processuali – non compaiono mai, si è riusciti a far scomparire persino la manovalanza.
Già in precedenza un altro mago dell’illusionismo, era riuscito a far sparire il boss latitante. Di lui, infatti, non parlò mai Vincenzo Calcara, quando iniziando a collaborare con la giustizia si guardò bene dal farne il nome. Anzi, fece di più, accusò soggetti estranei quali mandanti dell’omicidio Borsellino, allontanando i sospetti da coloro i quali si apprestavano a portare a termine la strage.
Vincenzo Calcara
Calcara, personaggio chiave di quegli anni, non è stato sentito in Commissione Antimafia, dove invece ha potuto testimoniare il colonnello dei carabinieri Carmelo Canale, definito il più stretto collaboratore di Paolo Borsellino. Anche Calcara, così come altri pentiti definiti in più sentenze inattendibili, in più circostanze aveva incontrato l’allora maresciallo Canale, oggi colonnello, tessendone gli elogi. Eppure, di recente, Calcara proprio su Canale aveva proiettato oscure ombre, alludendo alla sua “buona carriera”, arrivando perfino ad accusare Canale di essere stato al soldo di Francesco Messina Denaro, confermando in questo le accuse di altri pentiti, tra i quali Giovanni Brusca, Angelo Siino, Antonino Patti e Vincenzo Sinacori.
Canale dalle accuse di quei pentiti venne assolto, nonostante il pm Massimo Russo ne avesse chiesto la condanna a dieci anni di reclusione. Ma Calcara, che pure dovrebbe spiegare gli elogi che ne tesseva, nel mese di giugno di questo anno, nel corso di lunghe conversazioni telefoniche, muove a Canale accuse ben precise, tanto che, a suo dire, avrebbe chiesto a Borsellino di non far più partecipare l’allora maresciallo Canale ai loro incontri.
Dopo mesi che Calcara sembrava essere scomparso dalla scena dopo aver pubblicato un video con il quale adombrava l’operato del Giudice Paolo Borsellino, affermando che lo aveva fatto uscire dal carcere nonostante la legge non lo prevedesse, ieri, dopo aver accusato “ ‘giornalini, online del territorio vicino Castelvetrano ( regno di Matteo Messina Denaro), i quali sono portati avanti da alcuni giornalisti (preferisco non fare i nomi), che stravolgono la Verità con l’unico intento di difendere un pregiudicato”, annuncia con toni trionfalistici che circa un mese fa sarebbe stato ascoltato da un magistrato della Procura di Palermo, al quale avrebbe fatto dichiarazioni che, essendo segrete, non può citare.
Calcara aveva chiesto invano di essere sentito ai processi sulla strage di via D’Amelio, invano aveva chiesto di essere sentito al processo contro il colonnello Canale; che sia la volta buona che qualche magistrato lo senta? Del resto, se la Commissione Antimafia non ha ritenuto di dover sentire un uomo che, sentito dall’allora maresciallo Canale, veniva giudicato attendibile, perché non sentirlo anche adesso?
Delle due l’una: o Calcara è inattendibile (che lo si dica chiaramente) o (così come annunciato dalla Commissione regionale antimafia dell’Ars) i depistaggi iniziarono prima della strage di via D’Amelio, e in tal caso Calcara andrebbe, doverosamente, sentito, visto che è l’unico che potrebbe rispondere al perché non fece il nome di Matteo Messina Denaro, perché elogiò Canale salvo poi accusarlo, perché non confessò all’inizio della sua collaborazione un omicidio e di essere stato tra coloro i quali trasportarono l’esplosivo per l’attentato a Paolo Borsellino, fatti questi per i quali è rimasto impunito. Questo, e tanto altro ancora, si potrebbe chiedere a Calcara, se non si vuole che i misteri di via D’Amelio rimangano per sempre tali…
Gian J. Morici