Condivido volentieri questo articolo di un giornalista e scrittore, corrispondente per la stampa Francese, che riprende argomenti da noi già pubblicati, ma che sono descritti in modo molto chiaro e senza fronzoli. Questo continua a dimostrare che ci sono stati almeno fino ad adesso, parti dello stato che erano intenzionati ad evitare con ogni mezzo la cattura di Matteo Messina Denaro. Speriamo e siamo fiduciosi adesso nell’operato di due persone di alto valore quali sono il Procuratore Morvillo e il Questore Giuliano e in questo hanno tutto il nostro appoggio e considerando anche quanto pubblicato di recente dalla degna figlia di un grande padre quale è Fiammetta Borsellino, un pensiero anche a Lei che continua la sua grande lotta alla ricerca della verità, tutta la nostra stima.
Antonio Vaccarino, il nostro ‘Svetonio’, è sicuramente un personaggio non comune. Un uomo su cui si è detto molto – forse troppo – ma la cui vera storia merita ben più di ciò che si è scritto. L’aspetto più importante della sua vita, quantomeno quella legata a Svetonio, il nome in codice che gli aveva assegnato Matteo Messina Denaro, sta tra gli spazi bianchi fra le righe. Tra quegli spazi che non si sa – o non si vogliono – scrivere e rendere leggibili.
Antonio Vaccarino è nato a Corleone ma ha vissuto a lungo a Castelvetrano, dove, oltre a svolgere la propria professione di insegnante, si è dedicato all’attività politica ricoprendo le cariche di consigliere comunale, assessore , sindaco. Presidente USL
Una personalità eclettica che in un piccolo centro non può passare inosservata. Ma in un piccolo centro accadono tante cose per le quali non è difficile che la vita porti un qualsiasi cittadino ad avere contatti con soggetti legati al mondo della criminalità organizzata.
In un paese dove ci si conosce tutti, succede al parroco, all’insegnante, al contadino, al farmacista, al meccanico, all’appartenente alle forze dell’ordine, di ritrovarsi nello stesso bar – o per le ragioni più disparate – e incontrare i componenti delle famiglie mafiose locali.
Una promiscuità che porta a relazioni umane incomprensibili a chi non vive nell’isola. Un cenno di saluto tra nemici giurati, che altrove non troverebbe spiegazione, qui, nel profondo Sud rientra in quei codici non scritti che regolano la vita quotidiana di ogni siciliano.
Tra le tante conoscenze di Vaccarino docente, quella con Salvatore Messina Denaro, discente dello stesso Istituto scolastico, fratello del più noto Matteo Messina Denaro, super latitante e ritenuto tra i boss mafiosi più scaltri e pericolosi che quest’isola abbia mai partorito.
Antonio Vaccarino, arrestato e condannato in primo grado a seguito delle accuse da parte del pentito Calcara (successivamente smentito da un’infinità di sentenze, testimonianze e dichiarazioni di altri pentiti) grazie alla conoscenza con Salvatore Messina Denaro, entrò in contatto , in sinergia con il SISDE, con il superlatitante che gli impose il nome di Svetonio, scegliendo per sé stesso lo pseudonimo di Alessio.
Quattro anni di corrispondenza, di “pizzini”, puntualmente analizzati dalla Direzione Sisde, per arrivare all cattura del boss o alla sua resa. Quando il Sisde, nel 2007, trasferì alla magistratura l’intero carteggio, qualcuno rese nota l’operazione Svetonio-Servizi segreti. Sorprendentemente nessuno sull’argomento ha mai indagato! Dopo il cumulo di false accuse nei confronti di Vaccarino, evidentemente allo scopo di spostare le attenzioni dai veri mafiosi che avevano voluto le stragi, si bruciava così la possibilità di catturare il boss, il quale, conosciute le reali intenzioni del suo presunto amico d’epistole, il 15 novembre del 2007, anziché un pizzino a firma di Alessio, gli faceva recapitare una lettera firmata M. Messina Denaro: “Ha buttato la sua famiglia in un inferno – scrisse il boss – La sua illustre persona fa già parte del mio testamento. “ Poche parole sufficienti a tracciare l’efferatezza criminale del latitante, il quale secondo i P.M. della Corte d’Assisi di Caltanissetta, dove si tiene il processo a suo carico, partecipò alle riunioni tenutesi a Castelvetrano, nel corso delle quali venne definita la strategia stragista che nei primi anni novanta insanguinò la Sicilia.
Riunioni e decisioni prese alla presenza dell’imputato che, da quanto emerso dall’attività processuale del Procuratore Gabriele Paci, in quegli anni aveva già un ruolo direttivo in “cosa nostra”, insieme al padre Francesco.
Vaccarino, arrestato e condannato in primo grado nonostante nessun rappresentante delle Forze dell’Ordine avesse all’epoca avallato le accuse nei suoi confronti, ritenendo inverosimile la sua appartenenza alla mafia, solo oggi, a distanza di oltre due decenni, si vede riabilitato grazie a testimoni di altissimo spessore istituzionale che reiterano apprezzamenti sulla sua onestà e alle dichiarazioni di un nuovo, ulteriore collaboratore di giustizia che sconfessa il Calcara e narra inediti retroscena in merito a quelle infamanti accuse.
L’“Operazione Palma”, nata dalle accuse di Calcara, è oggi al vaglio dei P.M. e secondo inconfutabili riscontri giudiziari, quelle accuse furono confezionate come depistaggio.
Di particolare rilevanza, nella vicenda Vaccarino, la testimonianza del Questore Calogero Germanà – miracolosamente scampato all’agguato mafioso di Mazara – che delineando nei dettagli la posizione delle famiglie mafiose della provincia di Trapani e della limitrofa Agrigento, esclude qualsivoglia contiguità del Vaccarino con ambienti non raccomandabili, rimarcandone invece la correttezza sociale e la vicinanza alle Forze dell’ordine, in ciò suffragando quanto verbalizzato dal collaboratore di giustizia Benedetto Pellegrino.
Non meno significativa la deposizione del Luogotenente Di Pietro, che all’udienza del 18 settembre 2017, a Caltanissetta, testimonia di essere stato incaricato dopo l’operazione “Palma” di svolgere gli accertamenti relativi alla composizione e agli assetti geografici della mafia di trapani, in particolare di quella di Castelvetrano. Dall’esito di quelle indagini, si era già accertata l’estraneità di Antonio Vaccarino da ogni contesto criminale, mafioso o di qualsivoglia altro genere delittuoso. Una testimonianza che riporta quanto nel 1994 era già stato verbalizzato dalla Squadra che aveva investigato con apposita richiesta. Pur tuttavia Vaccarino subiva 5 anni di torture e sevizie da terzo mondo a Pianosa.
Benedetto Pellegrino, il collaboratore di giustizia, ha anche narrato di un incontro avuto con il Calcara in una caserma dei Carabinieri di piazza Venezia a Roma, durante il quale questi gli promise parecchio denaro per avallare le sue false accuse.
Accuse che non dovevano riguardare solo il Vaccarino,all’epoca considerato astro nascente della Democrazia Cristiana e al quale l’allora Capo della Squadra mobile di Trapani, Dr. Germanà, si rivolgeva per fiducia e serietà, coralmente riconosciutegli, per avere chiarimenti circa le dinamiche interne del suo Partito, ma anche lo stesso Germanà , il Dr. Michele Messineo, all’epoca Questore Vicario, Pantaleo, Culicchia etc etc.
Un incontro tra pentiti che – oltre ad essere vietato – era evidentemente funzionale a depistare ulteriormente le indagini su quei soggetti mafiosi che furono gli artefici delle stragi degli anni novanta, calunniando persone innocenti.
Se l’attività di depistaggio, stando agli esiti investigativi, appare ormai certa, poco chiare, per chi non conosce i fatti, potrebbero apparire le ragioni delle calunnie specificatamente contro Germanà, Messineo , Vaccarino, Pantaleo, Culicchia.
Germanà, vivo per miracolo, insieme a Messineo, all’epoca Primo Dirigente più giovane d’Italia, erano stati i firmatari dei primi provvedimenti giudiziari che coinvolgevano Matteo Messina Denaro. Un motivo più che valido per Messina Denaro per poterli infangare.
Lo stesso dicasi per Vaccarino, massacrato a Pianosa, che aveva mandato all’aria la cooperativa “Agricola Mediterranea perché ne facevano parte tutti gli indiziati mafiosi come in seguito l’Autorità Giudiziaria avrebbe sentenziato. Al depistaggio, si aggiungeva dunque la soddisfazione di una vendetta contro i nemici della consorteria mafiosa. Si aggiungeva l’infamante accusa di traffici di droga voluta proprio da quelli che , veri manovratori di morte , vedevano in Vaccarino un acerrimo nemico che , assieme anche al Giudice Borsellino, lottava strenuamente chiunque e comunque favorisse tali immondi traffici.
Quanto ha verbalizzato Benedetto Pellegrino viene ora nel complesso certificato con risultati di indagini Istituzionali svolte negli anni delle stragi, prima della inumana condanna di Vaccarino.
“Avrei dovuto calunniare Germana Messineo, Vaccarino, Culicchia…” dichiara il nuovo pentito, accusando Calcara, definito a suo tempo dal Procuratore Zuccaro,“elemento sfrontatamente portato al mendacio…”, come di uguale gravità riportato nella più recente sentenza del Presidente Pellino.
L’accettazione, come fosse oro colato, della catena delle menzogne, fu frutto di errori, di negligenze o cosa altro? A poco, purtroppo, serve oggi la denuncia del Giudice Russo nei confronti del Calcara per autocalunnia e calunnia aggravata, per la quale la pubblica accusa chiedeva 8 anni di reclusione. Il reato è ormai prescritto e nonostante avesse rovinato oltre cinquanta famiglie nulla potrà restituire loro ciò che gli fu tolto.
Sarebbe invece certamente importante capire come e perché si è potuto credere al pentito Vincenzo Calcara, sconfessato da un’incredibile sequela di sentenze, che – come evidenziato dal Pubblico Ministero Massimo Russo – si diceva conoscitore della mafia e ometteva dì conoscere proprio Matteo Messina Denaro, quasi che questi fosse “uno qualunque” e non un mafioso di spessore, suo coetaneo e compaesano.
Soprattutto, sarebbe essenziale capire grazie a chi e perché saltò la copertura di Svetonio-Vaccarino che avrebbe portato all’arresto del boss.
Senza queste risposte, finiremmo con il ritrovarci a correre il rischio di nuove azioni di depistaggio volte a coprire i veri responsabili delle stragi degli anni novanta. L’ennesimo torto ai familiari delle vittime che non conosceranno mai la verità e ai tanti, come Vaccarino, Messineo, Germanà e altri, che in vario modo hanno pagato l’allegra gestione di pentiti sui quali oggi ci si interroga per capire per conto di chi facessero le false dichiarazioni.
Il processo in corso a Caltanissetta, potrebbe dunque rappresentare la svolta che permetterebbe di fare piena luce su uno dei periodi più bui della storia italiana.
Anni di stragi, assassini, mandanti più o meno occulti, misteri ancora tutti da svelare, rispetto i quali continueremo ad indagare portando a conoscenza i nostri lettori di aspetti tutt’ora inediti, a partire dalle false accuse di un altro teste, dal processo scaturito da queste e concluso con gravissime dichiarazioni da parte dello stesso; riservando a voi lettori un’ulteriore sorpresa in merito agli incontri tenutisi a Castelvetrano – non solo tra mafiosi – prodromici alle stragi degli anni 90.
Fonte: Gian J. Morici
il circolaccio