Il potere dell’ antimafia
La procura di Caltanissetta, che dovrebbe dare la caccia ai boss, è schiacciata dalle inchieste sulle storture nella lotta a Cosa nostra.
Le inchieste non riguardano solo il caso Saguto. Ci sono diversi fascicoli su chi, in nome della lotta alla mafia di convenienza ,ha depistato o si è arricchito sputando veleno sugli altri e godendo di protezioni all’interno della stessa magistratura
Se chi razzola nel nome della legalità e della giustizia, criticando tutto il resto sfrutta la propria posizione per intimidire o averne vantaggi personali come lo definireste? Noi non aggettiviamo questi”furbi” la loro coscienza sarà il giudice più severo. Dell’antimafia se ne parla e se ne discute troppo. Poi ci ha messo le mani la politica e questo già dice tutto. per capire meglio cosa significa politica e antimafia,basta guardare cosa accade alla procura di Caltanissetta, dove ormai si lavora in servizio permanente ed effettivo la Direzione distrettuale anti antimafia. C’è un anti di troppo. Imposture, comitati di affari e carriere sono proliferati sotto l’ombrello della lotta a Cosa nostra. E ora sul campo restano le macerie. Sul campo anche le tante vittime di attacchi di procure fortemente condizionate dal carrierismo antimafioso. Una brodaglia giustizialista che ha finito per favorire i “veri” potenti mafiosi e i loro potenti amici.E’ un caso che a Catania, dopo lo scandalo sui rifiuti per 350 milioni di Euro, finito in una copiosa inchiesta e con sospetto d’infiltrazione mafiosa, nessuno parla di scioglimento e nessuno sta attaccando il sindaco Bianco?
Era il 1991 quando si colse l’importanza del coordinamento delle indagini sulla criminalità organizzata. La repressione del terrorismo lasciava in dote, oltre alle lacrime e al sangue per i morti ammazzati, un vincente modello investigativo. Lo scambio di informazioni fra magistrati e polizia giudiziaria non poteva più essere demandato alla lungimiranza dei singoli. Bisognava mettere a regime esperienze come quella del pool antimafia di Palermo guidato da Antonino Caponnetto. Il giudice istruttore Rocco Chinnici fu il primo a comprendere la forza della circolazione delle notizie. Non gli diedero il tempo di verificare la bontà della sua intuizione. Lo ammazzarono un decennio prima che la mafia spingesse l’asticella oltre l’orrore con le stragi del ’92-’93.
Dai pentiti ai pm che trattano con loro. L’emergenza ha creato nuove categorie di intoccabili.
Occorre stare attenti a parlare di queste cose- ci hanno detto-, potreste finire in qualche inchiesta
La verità ci rende liberi
Nel novembre 1991 nacquero le procure distrettuali antimafia, coordinate da quella nazionale. Ventisei pool di magistrati specializzati nelle indagini sulla criminalità organizzata. Una per ciascun distretto di Corte d’appello. Lo spiegamento di forze e risorse ha prodotto risultati che ormai appartengono alla storia del Paese. Cosa nostra, almeno nella sua declinazione corleonese, è stata sconfitta nonostante corleonese sia l’ultimo dei padrini latitanti. E cioè quel Matteo Messina Denaro che appare più preoccupato a nascondersi che a gestire il territorio. Le sue impronte sono impalpabili. Sembra un fantasma, a dispetto di una onnipresenza sbandierata nei dispacci ufficiali. Tutto viene ricondotto all’immanenza del padrino di Castelvetrano. La mafia trapanese appare priva di un’esistenza autonoma dal latitante, che c’è sempre e comunque. Tutti gli altri corleonesi sono detenuti al 41 bis. Alcuni ci sono pure morti al regime del carcere duro, come Bernardo Provenzano.
L’attuale lavoro investigativo si muove su due linee. La prima è quella che tiene sotto osservazione i mafiosi che escono dal carcere, ancor più di quelli che vi finiscono dentro. Le cronache sono zeppe di scarcerazioni per fine pena. E’ la mafia dei soliti noti. Di chi, dopo una parentesi di apparente buona condotta, torna agli affari sporchi. Lo fa per necessità – altrimenti gli toccherebbe andare a lavorare – oppure perché animato dall’istinto di autoconservazione dell’organizzazione, il cui spessore criminale si livella sempre più verso il basso. Qualcuno deve pur sobbarcarsi l’onere di guidare i picciotti della manovalanza che chiede il pizzo in giro per i negozi e spaccia droga. Si muovono, però, dentro la gabbia delle conoscenze acquisite dagli investigatori. E’ solo questione di tempo. Prima o poi finiranno di nuovo sotto accusa. Non per questo, però, il fenomeno mafioso può essere archiviato del tutto. Si correrebbe il rischio, un giorno, di pagare un dazio pesantissimo. Ci sono sacche di popolazione che subiscono ancora il fascino, oltre che le angherie, degli uomini d’onore.
La seconda linea investigativa guarda invece – ed è la più interessante – a quella sfilza di professionisti che hanno consentito alle storiche famiglie mafiose di schermare patrimoni che nel frattempo puzzano sempre meno di mafia.
Ai magistrati di Caltanissetta è toccato sperimentarne una terza di via, quella dell’anti antimafia. I segnali c’erano stati e anche fragorosi. Per una volta, però, non occorre rinverdire il dibattito sui professionisti dell’antimafia di sciasciana memoria. Basta guardarsi attorno, attenersi agli atti giudiziari, pur nella presunzione di non colpevolezza che vale per i mafiosi come per gli antimafiosi. I clan Di Gristina, Madonia ed Emanuello – per citare solo alcuni dei potentati mafiosi del Nisseno – sono stati decimati dagli arresti. I magistrati, oggi guidati da Amedeo Bertone, sono impegnati a smascherare chi – e se – abbia sfruttato la divisa dell’antimafia con il solo scopo di confondere le acque. I cattivi si sarebbero vestiti da buoni. O addirittura, fanno delle toga un vessillo per l’impunità.
Ci vuole poco, insomma, a finire sotto i denti aguzzi di certa antimafia che fa filiera con strutture molto bene organizzate. E’ chiaro che non si può fare di tutta un’erba un fascio. Sarebbe ingiusto verso chi ha denunciato e ci ha messo la faccia senza averne tornaconti politici o economici
A Castelvetrano la struttura dell”antimafia” ha solo fatto danno allo Stato e alla legalità. Sono stati bruciati centinaia di posti di lavoro, messi ai raggi x solo certi politici e di certa area politica e mentre chi ha gestito il comune per tanti anni e con tanto potere non è stato mai indagato. Probabilmente la Procura di Caltanissetta dovrebbe occuparsi su come è stato gestito lo scioglimento del comune di Castelvetrano
Fonte: il foglio(RC), Live Sicilia
Il Circolaccio
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Salvo Serra