Prima di concludere la serie delle interviste all’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, è necessario che tutti possano conoscere gli atti processuali e le dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, che stanno alla base dei tanti dubbi che ci siamo posti in merito alla mancata cattura di Matteo Messina Denaro e ai possibili depistaggi che permisero il compimento della strage di via D’Amelio nella quale vennero uccisi il giudice Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta.
Dubbi che trovano ulteriore conferma nell’ultima lettera che Matteo Messina Denaro scrisse ad Antonio Vaccarino, pubblicata, a firma di Egidio Morici, su TP24.
Come riportato nell’articolo dal titolo L’ultima lettera di Messina Denaro a Vaccarino, tutte le parole del boss “tradito”, Matteo Messina Denaro nel suo scritto fa riferimento a un mentitore spregiudicato e all’omicidio Lipari. Il boss, “dopo aver appreso che Svetonio (il nuovo nome che Messina Denaro aveva dato a Vaccarino nel noto carteggio di pizzini tra il 2004 e il 2006) lavorava con i servizi segreti per catturarlo” oltre la breve nota conosciuta (Ha buttato la sua famiglia in un inferno… la sua illustre persona fa già parte del mio testamento… in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti) nell’accusare Vaccarino di averlo tradito.
Una lettera con la quale il boss accusa l’ex sindaco di Castelvetrano di essere coinvolto nella vicenda dell’omicidio di Vito Lipari (“Le ricordo, nel caso so avesse scordato, stante l’apparente crisi mistica che lo ha colpito, che lei è il mandante dell’assassinio del sindaco Vito Lipari (ucciso il 13 agosto 1980, ndr), è stato lei che lo ha voluto morto a tutti i costi ed a decretarne la morte” riporta TP24) ma dalla quale emerge la figura dell’ex pentito Vincenzo Calcara quale artefice di una grave ingiustizia.
Fa riferimento “alla condanna che Vaccarino ha ricevuto in passato, considerata da Matteo Messina Denaro “una delle pagine più ingiuste della giustizia italiana, poiché si basava sul mendacio di un volgare e spregiudicato mentitore”. Il riferimento al controverso pentito Vincenzo Calcara è evidente, riporta TP24, il cui giornalista, nel ricordare che il processo di revisione della condanna per droga nei confronti di Vaccarino (1997) è ormai alle battute conclusive e la sua assoluzione è stata chiesta perfino dalla stessa procura, conclude chiedendosi perché questa lettera del capo di Cosa nostra trapanese sia rimasta nei cassetti per 12 anni, in favore di un brevissimo estratto.
Già, perché nascondere che Calcara mentiva (come dichiarato da diversi collaboratori che dalla bocca di Matteo Messina Denaro avevano appreso l’inconsistenza delle sue accuse, rivolte a Vaccarino che era assolutamente estraneo ai fatti a lui imputati) e che questa presunta collaborazione era stata funzionale a mantenere al riparo la figura del boss che nel frattempo progettava le stragi?
Ma non soltanto Matteo Messina Denaro veniva protetto, visto che le accuse rivolte a Vaccarino, non ritenute credibili dalla Corte d’Appello di Palermo, in realtà erano funzionali a indirizzare le indagini sull’omicidio Lipari verso soggetti estranei ai fatti, salvando dalle maglie della giustizia boss del calibro Santapaola, Agate, Mangion (condannati in primo grado).
Cosa lega dunque Calcara a Matteo Messina Denaro? Che Vincenzo Calcara non sia mai stato l’uomo d’onore che dichiarava di essere, è ormai sancito da diverse sentenze, ma il legame con l’attuale boss latitante, o comunque l’utilizzo da parte di questi dell’ex pentito per indirizzarne – direttamente o indirettamente – le propalazioni, lo si evince dalle tante testimonianze rese da collaboratori di giustizia e dalle stesse accuse che Matteo Messina Denaro, appresa la collaborazione di Svetonio-Vaccarino con il Sisde – per questo inviperito e consapevole che tali affermazioni sarebbero arrivate a quanti di competenza – muove all’ex sindaco di Castelvetrano.
Chi era dunque il suggeritore occulto di quelle accuse?
L’inattendibilità di Calcara si evince chiaramente dalla sentenza per l’omicidio del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto, da quella per l’omicidio del giornalista Mauro Rostagno e altre ancora, come la sentenza Aspromonte.
Quello che ad oggi non sappiamo è perché si è permesso che Calcara, dal 92 in poi – o comunque dalle prime sentenze degli anni ’90 che ne dichiaravano l’assoluta – e fino ai giorni nostri, creasse una cortina fumogena atta ad impedire che si facesse piena luce sulle stragi, la cui motivazione – secondo le più recenti risultanze – sarebbe da ricercare in quell’inchiesta “mafia-appalti” avviata da Giovanni Falcone (e che Paolo Borsellino avrebbe voluto proseguire) spostando le attenzioni degli inquirenti da Matteo Messina Denaro a soggetti poi risultati innocenti dalle accuse di mafia, come nel caso dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino, definito in quel momento l’astro nascente della Democrazia Cristiana.
Se l’inattendibilità di Calcara era conosciuta da decenni grazie alle propalazioni di collaboratori di giustizia di notevole spessore, grazie all’esito di attività investigative e atti giudiziari, chi e per quale motivo ha avuto interesse a cercare di mantenerne integra la credibilità?
Gian J. Morici