“Io investivo da fare tremare i muri”.
Quel tesoro di Totò Riina trasferito a Castelvetrano per evitare la confisca
- Il vecchio boss in carcere venne intercettato per mesi interi . Più volte, parlò, anche in modo subliminale, dei suoi grandi investimenti a Castelvetrano dove si sentiva sicuro di affidare i suoi soldi e notevoli interessi. Qualcuno ancora ha soldi di Riina nel paese di Messina Denaro e li utilizza? Gli affari di Riina a Castelvetrano finirono con il suo arresto del 1993 ma per anni fece affari con gente del luogo. Lo di mostrano anche le dichiarazioni di Angelo Siino che intratteneva rapporti economici e affaristici con la classe dirigente dell’epoca.in periodo quello post terremoto aureo per Mafia , politica e lobby affaristiche. I soldi, in quel periodo, facevano da collante tra mafia e colletti bianchi, in modo esagerato. Siino lo spiega bene e Riina si fidava dei suoi intrecci castelvetranesi che somiglia vano ad un sistema di scatole cinesi
Le intercettazioni in carcere di Riina svelarono il reticolo di affari e interessi economici del padrino corleonese. Magazzini, casseforti piene di gioielli e oro, terreni e soldi in banca facevano da cornice al suo tesoro . Di certo, Riina mise tanti soldi nel trapa nese e in particolare a Castelvetrano. Oltre a chi è finito nelle maglie degli inquirenti ci sono personaggi che sono riusciti a nascondere i soldi del boss corleonese? In questa direzione si è indagato? Forse no. In modo astuto, qualcuno probabilmente, non fece trovare quello che aveva Riina nel territorio belicino e nel trapanese. Soldi che sfuggirono al primo sequestro che lo riguardò e che risale al 1993. Possibile anche il depistaggio di alcuni pentiti
“Perché se recupero pure un terzo di quello che ho sono sempre ricco”, diceva Riina in carcere. Il boss si faceva forte di aver beffato gli inquirenti, nonostante tutto. C’è un tesoro ,probabilmente, ancora da scovare e che non è stato trovato e affidato a chissà quali prestanome. Un tesoro che potrebbe andare oltre i beni per miliardi di euro/lire che gli sono stati finora tolti e che potrebbe dare sostegno ancora , anche al boss Matteo Messina Denaro.”Lu siccu” era figlioccio di Riina . Il capo dei capi si fidava molto della famiglioa castelvetranese. Una strategia messa a punto prima delle stragi per proteggere i miliardi della mafia corleonese attraverso nobili prestanome del territorio?
Le conversazioni del padrino corleonese con Alberto Lorusso, durante l’ora d’aria, vennero registrate dalla Direzione investigativa antimafia. Riina si è assunto, via via, la responsabilità di avere fatto saltare in aria Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Di avere ammazzato Carlo Alberto Dalla Chiesa e Rocco Chinnici. In queste conversazioni, con il suo solito fare arrogante parlò pure dei suoi soldi e degli investimenti castelvetranesi, facendo intendere che molti soldi non erano stati scoperti
I segreti di Totò Riina non finiscono mai. Come le sue ricchezze. Le ricchezze che gli hanno consentito di fare “ventiquattro anni di bella vita”. La sua è stata una lunga latitanza dorata e nonostante sia finita con l’arresto del 1993 ci sono ancora tanti misteri da svelare. A cominciare dalla ricostruzione del reticolo di interessi economici. Restano pochissimi dubbi sul fatto che Riina, si sentisse garantito dall’amicizia con Don Ciccio Messina Denaro. Castelvetrano e la valle del Belice era una zona tranquilla. A Palermo era scoppiata la guerra di mafia e c’erano stati troppi omicidi eccellenti.
Ed è parlando di alcuni terreni di Castelvetrano che nelle conversazioni in carcere Riina lega la famiglia del boss locale ai suoi interessi : “… una persona responsabile ce l’ho e sarebbe Messina Denaro. Però che cosa fa per ora questo Matteo Messina Denaro non lo so. Suo padre era uno con i coglioni”
Riina sapendo di essere intrcettato faceva sapere , – di non avere un giudizio positivo sulle scelte di investire sull’Eolico . Sa di essere ascoltato e l’unico modo per comunicare al 41 bis è questo. Parla in codice. Forse parla anche a qualcuno “complice” dentro le istituzioni. In ogni caso, le parole di Riina non sono buttate a caso. Il messaggio è rivolto a chi sta sbagliando ad investire i suoi soldi sporchi. Quei soldi affidati ai Messina Denaro e ai suoi potenti amici che probabilmente , nonostante tutto, ne hanno ancora pieno possesso
Era stato affidato al latitante di Castelvetrano il compito di custodire le ricchezze di Riina in caso di arresto? La domanda trova risposta parziale in quello che Ciccio Geraci fece trovare agli inquirenti. Il boss prima di morire ha parlato di una “cassaforte che ho comprato e c’è rimasta… “ e di una valanga di investimenti. In qualche modo Riina probabilmente , fa sapere a qualcuno, sapendo di essere intercettato di non scherzare con i suoi i soldi. Una cosa è certa. Quando Ciccio Messina Denaro fa l’accordo con Riina , alla fine degli anni 70, la famiglia mafiosa di Castelvetrano comincia a girare soldi a palate.
La mafia castelvetranese dei Rizzo e Messina Denaro era ancora era legata alla vecchia scuola economica del subito dopo guerra. Non era economicamente evoluta . Riina sapeva che a Castelvetrano e Trapani la mafia aveva collegamenti trasversali. Banche, politici, massoneria . Erudisce i suoi amici e li accosta alla scuola palermitana. I mafiosi locali castelvetranesi, seppur di rango basso, hanno contatti ampi. L’ipotesi che i Messina Denaro e i loro più stretti sodali siano stati essi stessi, attraverso una rete di insospettabili amici “depositari” delle enormi ricchezze di Riina e company non è da scartare. Una parte del tesoro è stato trovato nella gioielleria Geraci. Poco, molto poco, considerato il potere dei corleonesi dagli anni 70 in poi.
E’ anche possibile che la cassaforte dei “peri incritati” sia stata lasciata in custodia ai Messina Denaro e che molti amici loro , tra gli anni 80 e 90 abbiano nascosto una quantità enorme di soldi da riciclare per paura della legge Rognoni La Torre del 1981. Anche questa tesi, avrebbe molti riscontri. Tanti castelvetranesi nati scarsi, nel giro di pochi anni si sono ritrovati al vertice di sistemi economici di alto livello. Gli esempi ci sono. Alcuni di questi castelvetranesi sono finiti sotto inchiesta e hanno perso tutto. Di certo si può dire che i corelonesi hanno investito molto e diversificando come è stato appurato dai sequestri. Dai terreni agricoli che hanno cambiato destinazione urbanistica, nell’edilizia, nelle banche, nel traffico di beni archeologici e nei settori legati all’ambiente. Non si può escludere anche la loro azione nel sistema finanziario e azionario. Probabilmente quello più complicato da scoprire. E allora una domanda nasce spontanea: e se molti soldi gestiti dalla cosca di Castelvetrano erano “prestati” da Totò lu curtu e suoi compari palermitani? E ancora, ma i soldi di Riina erano solo di Riina? “Lu curtu” faceva affari con politici e potenti burocrati. Il passaggio sembra banale ma non lo è . Se i soldi venivano portati a Castelvetrano, da Castelvetrano dovevano tornare al potente boss e ai suoi amici , sfuggendo dal rischio confisca. Operazioni economiche che non possono essere effettuate solo da chi ha la 5 elementare o non sa scrivere. Totò Riina non era solo. I miliardi li ha fatti con i suoi amici. E gli amici non prendevano nulla?
Noi non ci crediamo. Questa deduzione, peraltro avvalorata dalle parole di Riina, porta ad un semplice ragionamento: tutto questo ” oro mafioso” non era nella piena disponibilità dei Messina Denaro ma loro, semmai ,dovevano gestirlo e nasconderlo avendone grandi vantaggi e creando valore. Il rimprovero d Riina per gli investimenti eolici dice tutto.
L’unico che potrebbe spiegare tutto è l’imprendibile Matteo Messina Denaro e qualche amico potente che è riuscito a farla franca in questi lunghi anni di sequestri. Lui potrebbe sapere dove è nascosto l’enorme patrimonio della mafia palermitana e trapanese. Nonostante le tante confische , nel conto del malaffare mafioso mancano molti soldi. Si potrebbero spiegare così anche le impennate imprenditoriali degli ultimi 30 anni di tanti “sperti” ma nati scarsi che con la complicità politica hanno fatto grandi fortune economiche. La latitanza costa. 27 anni di “macchia” richiedono soldi a palate. Se il boss è ancora in giro i soldi li trova ancora e ne trova ancora molti
Fonte : Repubblica, Live Sicilia
Il Circolaccio