Sant’Agostino definiva giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie, ma qual è l’ingiustizia da punire quando la guerra sembra muoverla una parte della magistratura anche contro singoli magistrati forse ritenuti scomodi? Del caso della nomina a Procuratore di Roma di Marcello Viola, di come la stessa fu evitata grazie a giochi di prestigio – che giorno dopo giorno diventano sempre più chiari anche all’opinione pubblica – ne abbiamo già scritto e a breve torneremo a scrivere di un magistrato definito “l’unico non ricattabile”, la cui carriera è stata più volte osteggiata, mentre gli altri, quelli che di conseguenza si lascia intendere fossero “ricattabili”, rimangono al proprio posto.
Guerre tra correnti della magistratura, fughe di notizie, guerre tra procure
Smettiamola con le ipocrisie, non si tratta soltanto di guerre correntizie, non c’è in gioco soltanto il prestigio di questo o quel magistrato, di questa o di quella corrente nella nomina dei vertici di alcune importanti Procure italiane. Dalle intercettazioni del “caso Palamara” e da altre, abbiamo visto come dietro ci siano interessi politici o di altra natura, che condizionano persino le attività delle procure e il giudizio dei collegi giudicanti nell’emettere le sentenze.
Il falso pentito Scarantino
19 luglio 1992, in via Mariano D’Amelio, esplode una 126 imbottita di esplosivo. Perderanno la vita il Giudice Paolo Borsellino e i cinque agenti della scorta. Il 23 maggio, nei pressi di Capaci, in un altro attentato erano morti il Giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo – anche lei magistrato – e tre agenti della scorta.
A seguito dei due attentati, in particolare quello di via D’Amelio, iniziò la lunga saga delle ipotesi, dei coinvolgimenti di soggetti esterni a “cosa nostra”, dei falsi pentiti, dei depistaggi. Uno per tutti, quello del falso pentito Vincenzo Scarantino, le cui accuse portarono all’arresto e alla condanna di persone innocenti, fin quando un altro pentito (Gaspare Spatuzza), questa volta vero, non raccontò quello che realmente era accaduto.
Il pentimento di Gaspare Spatuzza, segnò una frattura nella magistratura, tra quanti ritenevano che le nuove rivelazioni, ancora non del tutto riscontrate, avrebbero gettato discredito sulle Istituzioni e quanti invece, avendo da tempo giudicato non attendibile Scarantino, ritenevano di dover dare protezione al nuovo pentito in attesa di verificare i riscontri delle sue propalazioni. Spatuzza, alla luce dei riscontri effettuati venne ritenuto un collaboratore affidabile, ma, nonostante tutto, le sue dichiarazioni non permisero di risolvere l’annosa questione dei cosiddetti mandanti esterni delle stragi. Per il depistaggio di Scarantino a Caltanissetta sono finiti sotto processo tre poliziotti, Bo, Mattei e Ribaudo, mentre a Messina è stata chiesta l’archiviazione dell’inchiesta sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D’Amelio aperta a carico degli ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. Una richiesta di archiviazione, alla quale si sono opposti i legali delle parti offese, gli avvocati Rosalba Di Gregorio e Giuseppe Scozzola.
Una storia tutta siciliana
Da tempo l’ex pentito Vincenzo Calcara sembrava fosse scomparso dalla scena. Dal mese di gennaio, infatti, dopo che venne arrestato per un’estorsione sui generis, commessa a Genova insieme a un complice 24enne (Santo Cangialosi), quando avrebbe filmato col cellulare un topo che entrava dentro il dehor di un ristorante, presentandosi poi dal ristoratore al quale avrebbe chiesto un pranzo gratis e del denaro in cambio del loro silenzio e della distruzione del video, di lui non si avevano più notizie dirette.
Di recente, del presunto pentito aveva parlato il procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, chiamato a testimoniare a Marsala nel corso del processo che vedeva imputato Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, e due carabinieri, per una vicenda che ha destato non poche perplessità anche nell’opinione pubblica.
“Tra le tante questioni che nacquero – ha raccontato Paci nel corso dell’udienza -, c’era proprio quella della infondatezza delle dichiarazioni di Calcara, sulla base di un presupposto più ampio: cioè che Calcara non fosse un pentito autogestito, ma che potesse essere stato eterodiretto, e che poi avevano portato anche all’arresto di Vaccarino. Così come per esempio l’assoluta totale assenza delle dichiarazioni di Calcara, che oggi rivendica il diritto di andare a processo per testimoniare contro Matteo Messina Denaro, che lui non toccò mai con le sue dichiarazioni del passato”.
Anche nel corso della sua requisitoria al processo che vede Matteo Messina Denaro accusato di essere uno dei mandanti degli attentati di Capaci e Via D’Amelio, il pm Gabriele Paci ha ricordato come sulla base delle false notizie date dal collaboratore Vincenzo Calcara le indagini si concentrarono su Mariano Agate, credendo fosse il rappresentante di Cosa Nostra trapanese. False notizie, quelle di Calcara, che avrebbero di fatto distolto l’attenzione dai Messina Denaro proprio nel periodo in cui questi progettavano le stragi di Capaci e di via D’Amelio.
Più volte abbiamo ipotizzato un possibile depistaggio messo in atto – consapevolmente o meno – da Calcara, e che lo stesso, come affermato dal pm Paci, “non fosse un pentito autogestito, ma che potesse essere stato eterodiretto”. Un’ipotesi avvalorata dalle conclusioni della Procura generale di Catania, nel corso della revisione del processo di Antonio Vaccarino, che nel chiederne l’accoglimento ha fatto riferimento a Calcara, suo principale accusatore, evidenziando le falsità delle accuse e facendo riferimento a un depistaggio operato dall’ex pentito.
Il ritorno di Calcara
“Carissime amiche, carissimi amici, per quanto riguarda l’arresto e la condanna dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino si è fatto riferimento alla mia persona, tanto è vero che la procura di Palermo ha chiesto che fosse acquisita la documentazione da me fornita relativa al vissuto storico del Vaccarino. Atti che durante il dibattimento i PM della DDA di Palermo, Padova e Dessì, hanno chiesto di produrre e che sono stati acquisiti. L’accusa ha fatto riferimento a tutto ciò che ho sempre dichiarato sul Vaccarino, definendo quest’ultimo un doppiogiochista affiliato a “cosa nostra”.
Con queste parole l’ex pentito ha commentato la condanna dell’ex sindaco di Castelvetrano. Parole che, purtroppo, non sono riconducibili a possibili vaneggiamenti dell’ex pentito, poiché la stessa ordinanza di custodia cautelare che il 16 aprile dello scorso anno portò in carcere Vaccarino e i due carabinieri, proprio alle dichiarazioni di Calcara ha dedicato ampi spazi, nonostante Vaccarino da quelle accuse fosse stato assolto, nonostante le tante sentenze di vari tribunali che hanno giudicato inattendibile l’ex pentito, nonostante la Procura generale di Catania abbia ipotizzato un depistaggio messo in atto da Calcara, nonostante quanto dichiarato recentemente dal Procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, in merito al fatto che Calcara spostò l’attenzione da Francesco Messina Denaro su Agate Mariano, accusando questi, nel ’91, di essere a capo di “cosa nostra” trapanese, mentre già dai primi anni ’80 lo era proprio quel Francesco Messina Denaro del quale Calcara riferiva di essere “uomo d’onore riservato”. Senza con ciò trascurare il ruolo di Matteo Messina Denaro, che proprio durante quel periodo sostituiva il padre in molti summit, tanto da essere lui – del quale Calcara non parlò mai – a partecipare agli incontri nel corso dei quali vennero organizzate le stragi del ’92.
L’elogio alla Procura di Palermo e la collaborazione odierna di Calcara
“Nonostante testimoni chiamati in difesa del Vaccarino – prosegue Calcara -, l’esito del processo di primo grado è stata una condanna per Antonio Vaccarino a sei anni di reclusione per concorso in rivelazione di segreto d’ufficio con l’aggravante di favoreggiamento personale alla mafia”.
È il primo piccolo affondo che Calcara porta in direzione dei testi, prima di lasciarsi andare a quello che in termini giornalistici sarebbe un autentico scoop, la sua attuale collaborazione con la Procura di Palermo:
“Come tutti sapete, la Procura di Palermo, fino ad ultimamente, ha avuto degli ottimi risultati per quanto riguarda la lotta a “cosa nostra” (il Dottor Paolo Borsellino faceva parte di questa Procura). Non dimentichiamoci che grazie al lavoro integerrimo e professionale svolto dalla Procura di Palermo sono stati arrestati Totò Riina, Provenzano e tantissimi altri pericolosi latitanti mafiosi. Dalla fine del ‘91 fino in data odierna ho collaborato con questa Procura che fino ad oggi mi ritiene un Collaboratore di Giustizia attendibile e di questo ne sono molto orgoglioso!!!
Con l’affetto e la stima di sempre , mando ad ognuno di Voi un caloroso e fortissimo abbraccio”
Mafia: processo Messina Denaro. Pm, pentito ha ‘inquinato pozzi
Intanto, è di oggi una notizia che riguarda ancora una volta l’ex pentito Vincenzo Calcara, riportata dall’Agi:
Caltanissetta, 7 lug. – “Calcara è un collaboratore che ha inquinato l’acqua nel pozzo per chiarire i vertici della mafia trapanese”. Lo ha detto il pm Gabriele Paci, nella sua requisitoria in Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta da Roberta Serio, nel processo a Matteo Messina Denaro, imputato come mandante delle stragi di Capaci e via d’Amelio, in riferimento alle dichiarazioni sugli eccidi mafiosi da parte di collaboratori di giustizia come Vincenzo Calcara. Sentenze come quella della Corte d’Assise d’Appello di Caltanissetta “si basarono sul dato di fatto che Agate fosse un boss riconosciuto e molto influente nella zona trapanese”, ha aggiunto il magistrato durante la requisitoria, giunta alla quinta udienza consecutiva. “La sentenza di primo grado aveva stroncato le accuse per Agate, confermando che non era capo della mafia di Trapani, come invece aveva dichiarato il pentito Vincenzo Calcara e adottato dai giudici di Appello”, ha aggiunto il pm”
I dubbi
Le parole di Calcara sono uno schiaffo alla Procura di Caltanissetta, in particolar modo al Procuratore Paci. Calcara già in passato aveva fatto illazioni su presunte protezioni di cui lui godeva da parte di alti magistrati. Non gli abbiamo creduto, così come non crediamo e non vogliamo credere che ancora oggi uno dei pentiti più screditati del pianeta possa continuare a collaborare con la Procura di Palermo.
Sulla genesi delle stragi ci sono varie ipotesi, che vanno dalla “trattativa Stato-mafia” all’inchiesta “mafia-appalti”, quella voluta da Falcone e Borsellino, e condotta dal Generale Mario Mori e dal Colonnello Giuseppe De Donno.
In questo contesto, le attività d’intercettazione condotte nei riguardi di ufficiali della Procura di Caltanissetta, che potevano trovarsi a condurre indagini anche su alcuni magistrati della Procura panormita, o su un possibile depistaggio ante-stragi, non avrebbero potuto permettere a quest’ultima procura di venire a conoscenza di attività d’indagine che sarebbero dovute rimanere segrete? Perchè, inoltre, Calcara parrebbe ancora tenuto in così alta considerazione, al punto di potersi permettere di dichiarare di essere considerato attendibile dalla Procura di Palermo con la quale si fa vanto di continuare a collaborare? Una guerra tra procure?