Come avevamo anticipato nel precedente articolo sul processo che vede l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonio Vaccarino, arrestato il 16 aprile dello scorso anno nell’ambito di un’indagine su una presunta fuga di notizie, esaminiamo oggi gli aspetti tecnici che il 26 maggio, presso il tribunale di Marsala, hanno portato i pm della Dda di Palermo, Francesca Dessì e Pierangelo Padova, a chiedere sette anni di carcere per l’imputato.
Nella memoria presentata dai pm, si fa riferimento all’atto principale delle indagini, quindi all’atto principale del processo. Si tratta dell’informativa redatta dalla polizia giudiziaria. I due pubblici Ministeri nel corso dell’udienza si sono divisi i compiti. Il dottor Padova ha esposto la ricostruzione dei fatti, mentre la dottoressa Dessì ha analizzato ed esposto gli aspetti giuridici stante i quali – secondo la ricostruzione della Procura – si evincerebbero i reati commessi dall’imputato.
Anche gli avvocati della difesa di Vaccarino si sono divisi i compiti. L’avvocatessa Giovanna Angelo ha analizzato i fatti, entrando anche nel merito delle pregresse vicende che riguardano la collaborazione di Vaccarino con il Sisde e le accuse mosse allo stesso dal pentito Calcara (alle quali l’accusa aveva dato ampio spazio), mentre il collega, l’avvocato Baldassare Lauria, ha contestato sotto il profilo tecnico il castello accusatorio.
Dal 16 giugno 2016, al 23 agosto 2017, stando all’accusa, il colonnello Marco Alfio Zappalà, della Dia di Caltanissetta, intrattenne numerosi contatti telefonici con l’appuntato scelto Giuseppe Barcellona, in servizio a Castelvetrano. Contatti dai quali, ad esclusione della vicenda per la quale è processo, non sembra essere emerso nulla. I primi contatti del colonnello Zappalà con Vaccarino, iniziarono nel luglio 2016 e proseguirono anche dopo la fine del mese di novembre, quando anche l’utenza telefonica di Antonio Vaccarino venne sottoposta ad attività di intercettazione.
Dovremmo dunque dedurre che inizialmente l’utenza sottoposta a intercettazione fosse quella del Colonnello Zappalà e solo successivamente quella dell’ex sindaco di Castelvetrano. Nell’ambito di quali indagini veniva intercettato il colonnello?
Il 13 gennaio del 2017, venne intercettata la conversazione tra tali Ciro e Sebastiano, che rappresenta il corpo del reato di questo procedimento. Una conversazione che riguardava i funerali del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, per le cui esequie il Santangelo che s’interessò dei funerali, non si sarebbe fatto pagare. La trascrizione della suddetta conversazione, venne girata dall’appuntato al colonnello Zappalà (suo superiore che ben conosceva avendo anche lavorato insieme) e da questi all’ex sindaco di Castelvetrano, il quale, così come sostenuto dalla difesa, parlò con Santangelo per cercare di capire se tanto lui, quanto il figlio del Cimarosa al quale si doveva il pentimento del padre, potessero essere esposti a rischi.
Di diverso avviso l’accusa, che nella persona della dottoressa Dessì, Pubblico Ministero assieme al dottore Padova, nel corso dell’udienza rimarcava come i fatti contestati integrassero la rivelazione di segreto d’ufficio per il colonnello Zappalà in concorso con Vaccarino, al quale venne imputata la rivelazione della notizia segreta a Vincenzo Santangelo, in precedenza condannato per associazione a delinquere di stampo mafioso, da cui l’accusa di favoreggiamento con l’aggravante dell’articolo 7 per avere favorito la consorteria mafiosa.
Come affermato dal Pubblico Ministero, presupposto per il reato di favoreggiamento è il fatto che, precedentemente alla condotta stessa del favoreggiamento, sia stato commesso un reato per il quale sono in corso attività investigative. Il reato di favoreggiamento contestato a Vaccarino, nascerebbe dunque nel corso delle indagini che all’epoca la Procura della Repubblica di Palermo stava conducendo riguardo la ricostruzione e la composizione della famiglia mafiosa di Castelvetrano. La Dessì fa infatti rilevare che da precedente attività investigativa, erano emersi rapporti tra Sebastiano e diversi appartenenti alla consorteria mafiosa, in particolare con appartenenti al circuito delle relazioni di protezione di Matteo Messina Denaro.
Di conseguenza – secondo l’accusa – Vaccarino, avendo rivelato a un soggetto già condannato per mafia l’esistenza di attività investigativa, avrebbe svolto un’attività idonea ad ostacolare le indagini in corso.
A replicare al pm, l’avvocato Baldassarre Lauria, difensore – con l’avvocatessa Giovanna Angelo – di Antonio Vaccarino. Secondo la difesa, la procura avrebbe assunto che Vaccarino, benché non ci fosse un minimo elemento di fatto che potesse provare l’istigazione alla rivelazione del segreto da parte del colonnello Zappalà, andrebbe condannato poiché si tratterebbe di un fatto di assoluta verosimiglianza. Lauria ha ricordato come il primo Tribunale del Riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare per Vaccarino, sostenendo che non c’era né la rivelazione del segreto d’ufficio, né il favoreggiamento aggravato dall’attività mafiosa, e che il Pubblico Ministero aveva presentato ricorso esclusivamente per il favoreggiamento e non per la rivelazione del segreto d’ufficio. “Io vi sfido, Signori del Tribunale, a trovare nella realtà processuale un solo elemento che non sia la congettura, un solo elemento che non sia la mera ipotesi, un solo elemento che non sia il pregiudizio della pubblica accusa per dimostrare che il Vaccarino abbia istigato, chiesto, determinato il colonnello Zappalà a concedergli quello che è il segreto d’ufficio” – ha ribadito in aula l’avvocato Lauria, dicendo di non dover aggiungere altro in merito alla rivelazione del segreto d’ufficio, perché c’è soltanto un nulla probatorio già rilevato nella fase in cui non si chiedeva la prova della colpevolezza dell’imputato, ma soltanto una certa quantità indiziaria che potesse dimostrare che probabilmente Vaccarino aveva commesso il reato.
Non soltanto su questo si è soffermata la difesa, evidenziando come Vaccarino non avrebbe mai potuto comprendere la natura giuridica del documento che aveva ricevuto dal colonnello Zappalà. 4 fotogrammi che contenevano la conversazione tra due soggetti che parlavano se il Santangelo fosse stato pagato meno per il funerale del collaboratore di giustizia Cimarosa, quindi qualcosa che secondo la difesa non poteva avere nessun interesse neppure per la Direzione Distrettuale Antimafia.
“Mi chiedo e vi chiedo – continua l’avvocato Lauria – ma sulla scorta di quale elemento, l’odierno imputato avrebbe dovuto capire che era un intercettazione segreta, ancora segretata, e non invece uno stralcio di sentenza?”
Secondo l’accusa, l’aver rivelato a Santangelo l’esistenza dell’attività di un’intercettazione svolta nei confronti di Sebastiano e Ciro, dopo che fu commesso il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa, avrebbe aiutato il Santangelo e gli altri associati mafiosi a eludere le investigazioni. La domanda spontanea, sarebbe “chi, dove e quando commise il delitto di partecipazione ad associazione mafiosa?” Presumibilmente il Santangelo, o gli stessi Ciro e Sebastiano. Invece, così come ammesso dalla Dessì nel corso dell’udienza, nessuno dei tre risultava neppure indagato. Quindi?
Santangelo è comunque un soggetto già condannato per mafia, pertanto afferma il Pubblico Ministero che il di svelare a un soggetto condannato in via irrevocabile per associazione mafiosa l’esistenza di un attività di intercettazione sui due soggetti e il contenuto della stessa intercettazione era idoneo a ostacolare le indagini in corso, favorendo così la consorteria mafiosa.
Ne dovremmo dedurre che per la Procura, Santangelo, condannato per associazione mafiosa e in quanto tale evidentemente ancora oggi farebbe parte dell’organizzazione. Eppure, lo stesso non risultava indagato, né, quantomeno, pare sia stato indagato per favoreggiamento successivamente all’aver trasferito ai due soggetti intercettati (così come desunto dalla procura) le notizie in merito all’attività investigativa che li riguardava. Dovremmo dunque ritenere che indagati fossero proprio Ciro e Sebastiano, ai quali comunque Vaccarino non avrebbe consegnato direttamente alcuna notizia (non li conosceva neppure, tanto da chiederne al Santangelo) e invece, neppure questo.
“Ebbene, nel caso in specie non c’è nulla di tutto ciò, il Pubblico Ministero con estrema onestà intellettuale, oggi ha ammesso che non esisteva un’indagine né nei confronti di Santangelo Vincenzo, né nei confronti di Ciro e Sebastiano – ha affermato l’avvocato Lauria nel corso dell’udienza.
Ancora una volta è l’avvocato Lauria che evidenzia come si tratti della prima volta che il Pubblico Ministero dichiara che la condotta di Vaccarino sarebbe stata finalizzata a impedire alla cattura di Matteo Messina Denaro, aspetto questo che non venne neppure contestato all’imputato.Non mancano solo gli indagati, manca anche l’indagine. E allora? ecco che viene fuori un’indagine della quale non si era neppure parlato, quella relativa alla ricerca e alla cattura di Matteo Messina Denaro.
Infatti l’unica indicazione che si aveva dalla quale scaturiva il capo d’imputazione, era che la condotta di Vaccarino era stata utile eludere le investigazioni rispetto al reato di associazione mafiosa. Una contestazione generica, mentre l’accusa specifica in merito alle vicende che riguardano la cattura del boss latitante, pare che per la difesa abbia rappresentato un fatto assolutamente nuovo per il quale non può essere costretta a difendersi da accusa che non era neppure stata mossa. Peraltro evidenzia l’avvocato Lauria, come non abbia senso dal punto di vista giuridico affermare che il Santangelo molti anni fa era stato condannato, quasi rimanesse un associato di mafia avendo conseguito uno status anagrafico che tale lo farebbe ritenere per tutta la sua vita.
Quale indagine avrebbe dunque deviato o impedito Vaccarino? Quella nei confronti di Ciro e Sebastiano che non erano indagati? Quella inesistente nei confronti nel Santangelo, sì condannato per mafia ma oltre vent’anni fa, e che a sua volta non risulta indagato durante il periodo di quelle intercettazioni e neppure successivamente alle stesse, pur avendo avanzato l’ipotesi che il Santangelo avesse trasferito ai due intercettati la notizia delle attività investigative in corso?
Anche su questo è intervenuto l’avvocato Lauria, il quale ha precisato come l’acquisizione della sentenza irrevocabile è sì una prerogativa contemplata dal Codice di Procedura Penale, il quale dice che le sentenze irrevocabili fanno prova dei fatti affermati, prova dei fatti storici, ma che la norma non dice che tutto ciò che viene riportato in quelle sentenze, compreso le dichiarazioni testimoniali o perfino anche la stessa dichiarazione dell’imputato assunto quale testimone in quell’altro procedimento, possa essere veicolato tout court nell’attuale procedimento. Anzi – sostiene la difesa di Vaccarino – dice l’esatto contrario, perché la riforma legislativa esprime un concetto che è sacrosanto e che tra l’altro è espressione del principio del giusto processo, il principio del contraddittorio, precisando dunque come in assenza del consenso della difesa quegli atti non possono essere utilizzabili.Restano dunque, ancorché smentite dall’intervento dell’ avvocatessa Giovanna Angelo e da alcuni testi sentiti nel corso di questo procedimento giudiziario, le accuse mosse a suo tempo dall’ex pentito Vincenzo Calcara e i trascorsi dell’ex sindaco di Castelvetrano. È proprio su questo aspetto che pare abbia fatto affidamento la procura, chiedendo che fosse acquisita documentazione relativa al vissuto storico di Vaccarino, atti che il Pubblico Ministero ha chiesto di produrre e che sono stati acquisiti senza il consenso della difesa.
A tal proposito Lauria fa un breve inciso facendo riferimento al processo di revisione della precedente condanna riportata dall’imputato, precisando che non riguarda il processo in corso, ma visto che il Pubblico Ministero ha parlato del vissuto storico e poco del processo attuale, il procedimento di revisione ha dimostrato che la tesi del Vaccarino dell’ingiustizia e della falsità del pentito Calcara, non era una tesi campata in aria, ma era una tesi suffragata da concreti elementi probatori.
“Vorrà dire qualcosa, Presidente, se un Procuratore Generale della Corte d’Appello chiede l’annullamento della sentenza che riguarda il Vaccarino. Probabilmente vorrà dire qualcosa. È chiaro però che questo Tribunale non può lasciarsi condurre in un sentiero come fa il Pubblico Ministero, che bontà sua crede ancora al dogma del giudicato. Ammiro sotto questo punto di vista il Pubblico Ministero. A me l’esperienza ha insegnato che il giudicato non è affatto un dogma, è un’opinione che può essere impugnata, e se così non fosse, casi come quello di Giuseppe Gulotta assolto dopo 36 anni, casi come quelli di quanti sono stati condannati per la strage Borsellino e dopo 14 anni sono stati assolti e via dicendo… è chiaro quindi che anche il giudicato, o meglio il contenuto al giudicato, non può essere plasticamente applicato alla decisione come se fosse un dogma assoluto”.
L’accusa, secondo la difesa, rileva i presunti trascorsi di Vaccarino per poterlo definire un doppiogiochista associato alla consorteria mafiosa. Fa riferimento a quanto a suo tempo disse l’ex pentito Vincenzo Calcara – sulle cui propalazioni si espressero in maniera fortemente negativa più magistrati – quello stesso ex pentito che, autodefinitosi uomo d’onore riservato di Francesco Messina Denaro, non soltanto non veniva riconosciuto da tutti gli altri collaboratori di giustizia, ma non fece mai, come di recente ha dichiarato anche il Procuratore aggiunto di Caltanissetta, dott. Gabriele Paci, il nome del boss latitante Matteo Messina Denaro, il quale proprio durante quel periodo organizzava le stragi nel corso delle quali morirono Giovanni Falcone e la moglie, Paolo Borsellino, e le loro scorte.
“Voi dovete verificare la prova su quel documento, non sulla storia del Vaccarino e sulle idee assolutamente malsane della Procura, che lo vedono affiliato a “cosa nostra”, perché questo scrivono nella memoria, Presidente. Io non voglio fare un processo, una difesa di un soggetto che non è accusato di associazione mafiosa, solo perché lo dice il Pubblico Ministero in una memoria. Io sono pagato per difendere Vaccarino in relazione a un semplice episodio, l’ipotesi di favoreggiamento attraverso la veicolazione di quei quattro fotogrammi che sono assolutamente muti” – sottolinea nel corso dell’udienza l’avvocato Lauria, aggiungendo, rispetto l’aggravante del favoreggiamento alla mafia da parte di Vaccarino, da quale elemento, anche uno soltanto, si possa dimostrare che Vaccarino, oltre che favorire i tre soggetti non indagati, per un’indagine che non esiste, volesse anche deviare le indagini. “Ma di cosa stiamo parlando… cioè un’aggravante messa lì, giusto per abbellire il capo di imputazione, per aggravare la posizione del Vaccarino…”
Un’indagine inesistente su indagati che non erano indagati? L’intralcio alle indagini su Matteo Messina Denaro, senza che sia stato contestato?
Altre domande rimangono senza risposta.
Nell’ambito di quali indagini e per quale ragione venne intercettato un colonnello della Direzione Investigativa Antimafia che operava presso una procura – anch’essa Direzione Distrettuale Antimafia – alla quale spetta il compito di condurre eventuali indagini che riguardino i magistrati del Tribunale di Palermo, compreso gli aspetti relativi alle stragi di Capaci e di via D’Amelio?
Per quale motivo, per le attuali vicende processuali che riguardano l’ex sindaco di Castelvetrano, ampio spazio è stato dato alle dichiarazioni di un pentito (Vincenzo Calcara) ormai considerato inattendibile da più tribunali (Caltanissetta, Catania, Marsala, Trapani, Reggio Calabria ecc) per rappresentare il vissuto storico di Vaccarino e non per provare i fatti per i quali è processo?
Non sarebbe come ostinarsi, ancora oggi, a sostenere quanto dichiarò Vincenzo Scarantino in merito alla strage di via D’Amelio?
Non rimane che aspettare la prossima udienza per vedere se, e come, l’accusa riuscirà a smontare la difesa…