L’ex 007 ripercorre la querela del 2007 in cui denunciava gli attacchi contro di lui. Nella denuncia emerge anche il giallo su chi per primo diffuse la falsa notizia della sua presenza sul luogo in cui morirono Borsellino e i cinque agenti della sua scorta
«Un piano di depistaggio di indagini, di destabilizzazione, di attacco alla mia persona». È Bruno Contrada che scrive in un esposto – querela presentata nel 2007 prima di varcare il carcere e fa riferimento al depistaggio. Una querela con nomi e cognomi, fatti e circostanze ben precise che cristallizzano un quadro di menzogne, quelle di pentiti e poliziotti, che lo avrebbero segnato per sempre. Ricordiamo che l’Italia, per la condanna di Contrada, è stata sanzionata nel 2015 dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Secondo i giudici di Strasburgo, Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché il reato è il risultato di un’evoluzione della giurisprudenza italiana successiva all’epoca dei fatti.
È su di lui, ex uomo del Sisde a cui nell’ordine il maggiore dei carabinieri Sinico Carmelo, il maresciallo Canale Carmelo e poi i pentiti Gaspare Mutolo e Francesco Elmo rivolsero le loro dichiarazioni accusatorie, in merito al suo ritenuto coinvolgimento nelle stragi mafiose di Capaci e Via D’Amelio. Ci vollero 3 anni perché le dichiarazioni mai riscontrare dei primi due venissero archiviate: era il 7 marzo del 1995 che il gip di Caltanissetta provvedeva all’archiviazione del procedimento, che nel frattempo era stato aperto con la contestazione dell’art 422 cp, cioè per il delitto di strage nell’attentato di Via D’Amelio, dove moriva Paolo Borsellino.
Si legge sempre nell’esposto che Contrada seppe casualmente dell’apertura di questo procedimento, proprio attraverso le notizie che diffusero i giornali. Scrive il gip di Caltanissetta a proposito della traccia investigativa che fu offerta dal maresciallo Canale: «le congetture, cioè quelle scaturite dalle dichiarazioni del Canale, erano state alimentate da alcune dichiarazioni testimoniali che riferivano della presenza di Contrada nei pressi di Via D’Amelio poco dopo l’esplosione. In particolare il Cap Cc Sinico Umberto dichiarò di aver appreso da fonte assolutamente attendibile, di cui si riservava di fornire il nominativo, che la prima Volante della Polizia sopraggiunta in Via D’Amelio pochissimo tempo dopo l’esplosione avrebbe fermato e generalizzato una persona che si trovava sul posto rispondente al nome di Bruno Contrada…». E’ su queste tracce che il gip espresse giudizi di inconsistenza, di non conducibilità e non aderenza alla realtà, quando osservava senza dubbi che «nessun elemento è stato acquisito a conferma di quanto riferito dal M. llo Canale».
Ugualmente, anche per l’asserita dichiarazione del Sinico, il gip non si lascia andare a tentennamenti, ma esprime chiaramente nel decreto di archiviazione che «quanto alla dichiarazione del Cap. Sinico circa la presenza di Contrada in Via D’Amelio nell’immediatezza dell’esplosione, nessun elemento è stato acquisito nel corso delle indagini tale da suffragare detto assunto». A ciò si aggiunge il fatto è che Contrada, parlando con gli inquirenti, provava, anche citando testimoni a sostegno delle sue affermazioni, che in quei giorni non era neppure a Palermo ma che si trovasse a bordo di una barca: il giudice definisce questa circostanza come un «alibi di forte persuasività, in quanto confermato da diversi testimoni che hanno riferito che l’indagato si trovava sulla barca in loro compagnia quando fu compiuta la strage».
A smentire Sinico, in realtà, ci furono testimonianze dirette che in modo indiscutibile provavano come fosse falsa la notizia che aveva ricevuto, il quale a sua volta l’aveva appresa da una fonte da lui rivelata a fatica solo anni più tardi. La stessa fonte, a sua volta, disse di aver appreso la notizia dagli agenti della Volante presente per prima sul luogo della strage: quest’ultimi, poi ascoltati, confermarono di non aver mai visto Contrada dopo l’esplosione in Via D’Amelio. Del resto, sul posto, tutti negarono di aver visto Bruno Contrada in quel tragico 19 luglio in Via D’Amelio.
Ma non finì qui. Anche dopo l’archiviazione, complice la stampa che non perdeva occasione di dare la notizia sul numero tre del Sisde, Bruno Contrada doveva rendersi conto che le sue vicissitudini giudiziarie non erano affatto terminate. Si trovò a dover far fronte agli attacchi di Gaspare Mutolo, il pentito che, a un anno esatto dall’archiviazione che era nata dalle “congetture” di Canale e dalle non riscontrate dichiarazioni di Sinico, nel corso dell’udienza del 22.2.1996 durante il processo per la “Strage Falcone” ( il procedimento n. 3/ 95 – 5/ 95 RG), dinnanzi la Corte d’Assise di Caltanissetta riferiva che durante uno degli interrogatori con Paolo Borsellino, quest’ultimo dopo averlo sospeso per andare a rispondere a una telefonata, tornò confessandogli che aveva parlato con il Capo della Polizia Parisi e con Bruno Contrada, definendo il Magistrato come “stizzito” ed “arrabbiato”; aggiungeva anche di aver ricevuto confidenze da Paolo Borsellino sul Magistrato Signorino e su Bruno Contrada in un altro interrogatorio e che una volta «telefonò anche il Ministro».
Del resto parrebbe strano pensare che il Giudice Borsellino si potesse fidare del pentito Mutolo più che del collega Procuratore Aggiunto Aliquò, con cui conduceva gli interrogatori del pentito, ai quali peraltro non si recava mai solo: secondo l’esposto querela di Contrada, risulterebbe infatti agli atti che Borsellino all’interrogatorio del 1 luglio 1992 partecipò proprio con Vittorio Aliquò, e che al secondo e al terzo interrogatorio, quelli dei successivi 16 e 17 luglio, parteciparono con lui anche gli allora Sostituti Procuratori Lo Forte e Natoli. Ma non fu la prima volta che Mutolo fece dichiarazioni di questo tipo: a dire il vero, Contrada stesso conferma – dietro anche riscontro dei Magistrati De Luca e Sinesio reso nel corso delle testimonianze del maggio 1994 innanzi il Tribunale di Palermo per il processo in corso nei confronti dello stesso Contrada -, di aver avuto notizia che Mutolo stesse facendo propalazioni su di lui a proposito delle stragi già dal giorno 23 luglio 1992. Dopodiché, nel 1998 Contrada presentò un’ulteriore denuncia alla Procura di Caltanissetta: era l’occasione per ribadire che il 19 luglio 1992 si trovava in alto mare; che mai incontrò Paolo Borsellino durante alcuno degli interrogatori che lo stesso tenne con Mutolo alla presenza di altri Magistrati; che mai incontrò il Capo della Polizia Parisi con Paolo Borsellino: circostanza che poi anche Parisi aveva confermato, cioè di mai aver visto Paolo Borsellino con Contrada. La denuncia fu l’occasione per approfondire la ricerca sulla fonte da cui sarebbero scaturite le dichiarazioni di Sinico e Canale, quelle sulla presenza di Contrada sul luogo della strage di Via D’Amelio: la smentita venne proprio dall’equipaggio della prima Volante intervenuta sul posto che confermò di non aver visto Contrada lì e di aver redatto una relazione sul loro intervento: la sua assenza era il motivo della mancanza di qualsiasi verbale di identificazione. Nel frattempo – si legge sempre nella querela del 2007si aggiunsero anche le dichiarazioni di un altro pentito, tale Francesco Elmo, che furono dal Gip considerate tardive e inverosimili, anche se non fu provato che ne conoscesse la falsità al momento in cui le metteva in circolazione: «Carenza di dolo della calunnia», scrive il giudice. Anche questa denuncia che fece Contrada contro del pentito fu portata verso la via dell’archiviazione.
Nella querela Contrada esprime di restare con l’amaro in bocca: quello di non sapere chi poteva essere stato il soggetto che per primo diffuse la notizia calunniosa della sua presenza sul luogo della strage in quel 19 luglio 1992; di certo appare che la notizia raggiunse gli inquirenti della Procura di Palermo e di Caltanissetta, che stavano indagando, e poi trapelò tra gli organi della stampa che ne diedero ampia diffusione, compreso la realizzazione di un film, nel 1993, dove lo ritraeva presente sul luogo della strage. Denunciò, ma le indagini finirono in archiviazione, ritenendo che quella presenza fosse frutto di congetture, di cui mai si saprà l’artefice. «Non è possibile che restino impuniti comportamenti che mi hanno ingiustamente procurato un enorme e irreversibile danno sotto ogni aspetto», conclude amaramente Contrada nella querela del 2007 che poi verrà archiviata.
Fonte :Il Dubbio