Alberto Cicognani, Tenente Colonnello dei Carabinieri in comando ad Olbia, molto conosciuto anche a Castelvetrano per la sua meritevole opera svolta negli anni tra il 2006 al 2009, pubblica un post che fa riflettere. Da uomo e da Carabiniere stimato e serio si dice “amareggiato” per la sentenza di Palermo che, di fatto, condanna solo gli ufficiali dei carabinieri e i politici che non sono di sinistra o vicini alla sinistra.Politici che non potevano avere questo potere istituzionale
La sentenza dimostra che la trattativa è avvenuta e questo lo sapevano pure le pulci di Palermo. Il problema sta nel capire chi veramente ha voluto la trattativa e sopratutto perchè si scelse questa forma di confronto con dei criminali.
Occorrerà aspettare la motivazione per saperne di più. Appare strano però ,che politicamente, si tenda solo a dare colpe a Dell’Utri e a Berlusconi e invece, Napolitano, Cossiga, Mancino, Giuliano Amato, Oscar Luigi Scalfaro , Claudio Martelli e altri, non siano stati mai coinvolti.
Eppure insieme ad Andreotti ci fu un pò di gente che prese delle decisioni importanti, in un momento di grande difficoltà per la nazione. La trattativa con i mafiosi è un libro tutto da comprendere. probabilmente rimane da capire se prima della trattativa esistesse un “patto” per il controllo dei voti e del territorio . Cert0 è che non si può immaginare una trattativa gestita solo da ufficiali dei carabinieri e da Dell’Utri
Questo il pensiero di Cicognani
Sono d’accordo, è una giornata triste. Vorrei esprimere il dolore per uno Stato che colpisce i propri eroi, persone che hanno messo a rischio la propria vita e le proprie famiglie per perseguire un unico obiettivo, il bene di questo stesso Stato che amano. Oggi queste persone sono state condannate, ma, a prescindere da come si concluderanno i vari gradi di giudizio che a loro dovrebbero essere dovuti più che ai criminali che hanno combattuto, stanno già scontando una pena lunga quanto questi procedimenti perché questi anni e questa vita nessuno la restituirà né a loro, né alle loro famiglie.
Dovrebbe saperne, sulla vicenda, di più, anche il presidente Mattarella insieme a Romano Prodi che governarono l’Italia subito dopo il periodo delle stragi e fino al 2001
Nella parentesi del governo Berlusconi che dura dal 1994 al 1995, il Ministro dell’Interno fu Roberto Maroni della Lega
Il presidente Mattarella fu Ministro nei governi D’Alema e Amato che si insediarono dopo il governo Berlusconi e fu sempre vicino al potente Roano Prodi che fu presidente dopo Berlusconi nel 1996
Caduto il primo governo Prodi, Mattarella assunse la carica di Vicepresidente del Consiglio durante il governo D’Alema I,[25]con delega ai servizi segreti[36] che cercò di riformare.
La riforma dei servizi segreti proposta da Mattarella raccoglieva la indicazioni fornite dalla “Commissione Jucci”, che aveva lavorato a lungo sul tema, e puntava a rafforzare il ruolo di controllo politico dei servizi da parte della presidenza del Consiglio, in coordinamento con il Digis (Dipartimento governativo delle informazioni per la sicurezza) sottraendo potere al Viminale e alla Difesa.
I direttori delle due agenzie (il vecchio Sismi, servizio segreto militare, sarebbe diventato Aise e il Sisde si trasformò in Aisi) sarebbero stati nominati, nei propositi di Mattarella, non più dai due ministri, ma dal premier, che avrebbe potuto avvalersi di una autorità o di un sottosegretario con delega ai servizi.
Per anni , l’inchiesta sulla trattativa rimase nei cassetti Perche?
Dal blog :” iI Dubbio”
È una sentenza che lascia perplessi. Dico meglio: lascia un po’ sbigottiti.
Per cinque ragioni.
La prima è che non ci sono prove contro gli imputati. Soprattutto contro gli imputati di maggiore valore mediatico: il generale Mori ( e i suoi collaboratori) e l’ex senatore Dell’Utri. Non ci sono neanche indizi. La tesi dell’accusa si fonda tutta o su alcune testimonianze giudicate false da questo e da altri tribunali, o sulla parola di qualche mafioso, o su ricostruzioni dei pubblici ministeri molto interessanti ma costruite esclusivamente su ipotesi o sulla letteratura.
La seconda è che prima che si concludesse questo processo se ne erano svolti altri, paralleli e sulle stesse ipotesi di reato, e si erano conclusi tutti, logicamente, con le assoluzioni degli imputati ( tra i quali lo stesso Mori e l’on. Mannino). Questa sentenza, nella sostanza, ci dice che sì, probabilmente non ci fu il reato, ma ci sono i colpevoli.
La terza ragione dello stupore è il reato per il quale sono stati condannati gli imputati eccellenti.
Il reato si chiama così: «Attentato e minaccia a corpo politico dello Stato». Gli esperti e i professori dicono che nella storia d’Italia questo reato è stato contestato una sola volta. Nessuno però ricorda bene quando. Ma comunque quella volta non fu per minacce nei confronti del governo – ed è di questo che sono accusati Mori e Dell’Utri – perché esiste nel codice un reato specifico, scritto nell’art 289 del codice penale, che prevede appunto l’attentato contro un organismo costituzionale ( cioè il governo).
La quarta ragione non è di diritto ma è di buon senso. E sta nella assoluzione ( seppure per prescrizione) del capo della mafia ( Giovanni Brusca, uno dei boss più feroci del dopoguerra) che sarebbe l’autore della minaccia, contrapposta alla condanna del generale Mo- ri che è forse il militare che ha catturato più mafiosi dai giorni dell’Unità d’Italia ad oggi e che dalla mafia è stato sempre considerato nemico acerrimo La quinta ragione del nostro sincero sbigottimento sta nello scenario kafkiano che viene disegnato da questa sentenza. Lasciamo stare per un momento il dettaglio dell’assenza di prove. Cerchiamo di capire cosa l’accusa e la giuria ritengono che sia successo nel 1993- 94. Sarebbe successo questo: la mafia, guidata da Riina avrebbe minacciato lo Stato, prima e dopo le uccisioni di Falcone, Borsellino e delle loro scorte. Avrebbero chiesto l’allentamento del rigore carcerario con un ricatto: «Altrimenti seminiamo l’Italia di stragi». In una prima fase questa minaccia sarebbe stata mediata sempre da Dell’Utri e Mori, evidentemente con Ciampi e Scalfaro. Questa però è solo la tesi dell’accusa, perché la giuria non ci ha creduto, gli è parsa davvero troppo inverosimile. Poi succede che Mori – evidentemente mentre trattava con lui – arresta Riina assestando alla mafia il colpo più pesante dal dopoguerra. In una seconda fase, dopo gli attentati del ‘ 93 ( uno dei quali contro un giornalista Mediaset molto legato a Berlusconi, e cioè Maurizio Costanzo) la minaccia sarebbe stata portata a Berlusconi, che nel frattempo era diventato Presidente del Consiglio, attraverso Marcello Dell’Utri e forse attraverso lo stesso Mori, evidentemente colpito da un fenomeno grave di schizofrenia. Nessuna delle richieste dei mafiosi, però, fu accolta. E questo, in teoria, dimostrerebbe un comportamento rigorosissimo di Berlusconi: uomo davvero incorruttibile. E infatti la sentenza condanna gli imputati a risarcire con 10 milioni la presidenza del Consiglio, cioè Berlusconi. Le richieste mafiose che Dell’Utri, e forse Mori, avrebbero portato a Berlusconi ( e forse a Mancino, ministro dell’Interno, che però ha negato, è stato imputato per falso e poi assolto) erano contenute in un “papello” consegnato dall’ex sindaco Ciancimino, così sostiene il figlio dell’ex sindaco che però è stato a sua volta condannato per calunnia ( e dunque il papello è falso).
Ma una persona che legge queste cose qui e ha un po’ di sale in zucca, che deve pensare?
Beh, probabilmente gli viene in mente un’idea molto semplice: che quello di Palermo sia stato semplicemente un processo politico. E qualche conferma a questo sospetto viene da un paio di elementi. Il primo è che il Pubblico ministero che ha condotto l’accusa fino all’ultimo minuto, si è candidato a fare il ministro coi 5 Stelle, ha partecipato a diversi convegni politici dei 5 Stelle, ha presentato a nome dei 5 Stelle un programma per riformare la giustizia, e, appena emessa la sentenza, ha rilasciato dichiarazioni feroci contro Berlusconi, che oltretutto è parte lesa e non imputato. Possiamo tranquillamente dire che il Pubblico ministero era un uomo politico. Il suo predecessore, quello che avviò il processo ( si chiama Antonio Ingroia) ha partecipato recentemente alle elezioni in qualità di candidato premier con una lista di sinistra.
Anche questa circostanza ( almeno in forma così esplicita) è senza precedenti, credo, in tutti i paesi dell’Occidente.
Il secondo elemento sta in tutto quello che ha preceduto il processo. E cioè il processo mediatico, che difficilmente non ha condizionato fortemente la giuria di Palermo.
Ho sentito molti commentatori dire che comunque ci sarà un processo di appello, che potrà correggere gli errori del primo grado. Vero. Per fortuna l’impianto della nostra giustizia è solido. Però è difficile digerire l’arroganza del processo di Palermo, e la sua superficialità, e l’ingiustizia palese di alcune condanne, come quella contro il generale Mori. Ed è difficile non considerare il fatto che l’ex senatore Dell’Utri, che sta in cella in condizioni di salute gravissime, difficilmente, dopo questa nuova stangata, potrà sperare di ottenere cure adeguate e di rivedere il cielo senza sbarre.
No, non è stata una bella giornata.
Il Circolaccio