L’ex ministro Alfano quando era suo sotto segretario lo temeva: aveva troppe amicizie nelle procure e nelle prefetture
Ecco l’uomo che ha usato il pugno di ferro su Castelvetrano su suggerimento di amici del Pd castelvetranese. A poche ore dall’elezione del nuovo parlamento, Minniti che ha nominato i commissari di Castelvetrano e ha messo a disposizione la stampa nazionale “amica” per aiutarli con una campagna spesso strumentale. oltre a far conoscere a tutta Italia, problemi vecchi come l’abusivismo di Triscina e l’evasione delle tasse già discussa in consiglio comunale nel 2014 e ampiamente divulgata da giornali locali di altro non ha sortito. Matteo Messina Denaro è in circolazione, un inchiesta suffragata da prove tangibili su chi ha sfruttato il comune, per agevolare la mafia, non è stata ancora fatta e in città molti si chiedono chi sono questi politici e massoni che hanno agevolato Matteo Messina Denaro. Un altra cosa “strana” rimane quella dell’accomunare ogni malefatta agli ultimi 5 anni d’amministrazione comunale ” dimenticando” che, negli anni precedenti, sono state realizzate molte opere incompiute, e tanto altro. Inoltre Gli amici di Minniti dimenticano che per tre anni il vice sindaco della città è stato Marco Campagna e che Errante è stato sostenuto anche da Pasquale Calamia, Monica Di Bella e Gianni Pompeo. Strane dimenticanze. Minniti è evidente, ha puntato su Castelvetrano anche per la sua carriera politica.
Le “bombe” su Castelvetrano e il lupo sempre libero
La Giustizia vera non si fa si esercita con le strumentalizzazioni politiche
Responsabile ai servizi, gode della piena fiducia di Matteo Renzi. E su alcune questioni “pesa” più di quanto fa intendere. Ha ottimi rapporti con molti magistrati
Adesso qualcuno lo vorrebbe presidente del Consiglio
Nel 1984 lei era già nei servizi segreti, gli ha chiesto un mese fa l’avvocato di Totò Riina durante la testimonianza nel processo sulla strage del treno 904. Lui all’epoca faceva l’assistente universitario, teneva un seminario su Abelardo e Eloisa. E politicamente era un comunista: se fosse stato una spia i compagni lo avrebbero individuato come infiltrato e espulso
Nessuno avrebbe potuto prevedere, trent’anni fa, che il responsabile politico dell’intelligence, l’uomo degli affari riservati e delle missioni segrete, sarebbe diventato il ragazzo di Reggio Calabria con la tessera del Partito comunista. Marco Minniti, uomo del potere complesso, oggi dovrà vedersela con un candidato del Movimento 5 Stelle .È l’unico esponente del Pd sopravvissuto sulla propria poltrona al passaggio di governo da Enrico Letta a quello dell’ex sindaco di Firenze.Minniti uno degli uomini più potenti del governo Renzi. Non è un semplice ministro. Una figura che ricorda quella, mai vista in Italia, del Consigliere per la sicurezza nazionale che affianca il presidente Usa alla Casa Bianca, nomina fiduciaria, non sottoposta all’approvazione del Senato americano. Un agente speciale, con licenza di sconfinare in altri ministeri. Al Viminale, alla Difesa, alla Farnesina. Back diplomacy, la chiamano gli esperti. È toccato a Minniti volare in Egitto il 19 febbraio 2015 come emissario di Renzi per consegnare una lettera personale del premier al presidente Al Sisi sulla Libia.È lui che ha monitorato l’infernale scacchiere libico. È stato evocato un suo ruolo nella trattativa con le autorità indiane sui due marò italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. E c’è chi ha visto la sua mano dietro le ultime nomine: il comandante dell’arma dei carabinieri Tullio Del Sette, il capo di Stato maggiore generale Claudio Graziano, il prefetto di Roma Franco Gabrielli, ex capo del Sisde. E il suo peso potrebbe essere destinato ad aumentare nei prossimi diciotto mesi. Potrebbe essere lui il nuovo premier ?Eppure Minniti, inizialmente, non faceva parte del cerchio magico renziano. Fino all’elezione di Renzi alla segreteria del Pd, nel 2013, i due non si erano mai incontrati. Ai servizi segreti sembrava destinato il fedelissimo sottosegretario Luca Lotti, molto attratto dalla materia. La conferma è stata una sorpresa. Ancor più inaspettato il feeling nato tra due personaggi distanti anni luce.n comune con Renzi c’è l’adolescenza negli scout, con l’ex direttore della Dia Arturo De Felice, il questore di Catania Marcello Cardona e l’agente del Sismi Nicola Calipari, ucciso in Iraq dieci anni fa dai soldati Usa durante la liberazione della giornalista Giuliana Sgrena. Ragazzi cresciuti nella Reggio Calabria dei primi anni Settanta, la rivolta di destra, il boia chi molla, il coprifuoco e le barricate tra un quartiere e l’altro, le scuole chiuse per mesi.Nella famiglia Minniti i militari sono di casa (il papà è generale e così i suoi fratelli) anche Marco vorrebbe arruolarsi in aviazione, invece si iscrive alla facoltà di Lettere e al Pci, la rottura di una tradizione familiare che si ricomporrà molti anni dopo. Nel 1999 Minniti è a Palazzo Chigi come sottosegretario di D’Alema che ha deciso l’intervento in Kosovo, squilla il telefono. «Domenico», si sente chiamare, è il suo primo nome ma tutti lo hanno sempre chiamato Marco, «sono fiero di te». È il fratello del padre, generale anche lui, con cui non parlava da molti anni.In questo filo biografico c’è l’intelligence guidata da Minniti. «Con lui, uno di sinistra, siamo entrati in serie A, come la diplomazia, le forze armate, le prefetture», riconoscono nell’ambiente. Ogni martedì c’è la riunione con il capo del Dis Giampiero Massolo, il generale Arturo Esposito (Aisi), Alberto Manenti (Aise). La cabina di regia che sorveglia la sicurezza nazionale su due fronti. Quello esterno, perché i confini non esistono più, la partita si gioca fuori e l’Italia è al centro del Mediterraneo, una delle aree più esplosive del mondo, di fronte alla Libia che è il crocevia delle tre grandi emergenze internazionali, il terrorismo, l’immigrazione, il controllo delle fonti energetiche. E il fronte interno: la prevenzione di possibili attentati è affidata alla tecnologia ma soprattutto all’intelligenza, alla collaborazione con le comunità islamiche, ascoltare e captare ogni segnale, perché anche il terrorista più isolato alla vigilia di un’azione cambia le sue abitudini.