Nell’autunno del 1991 Matteo Messina Denaro era già il capo mafia della provincia di Trapani, in sostituzione del padre Francesco, malato. E il pentito Vincenzo Sinacori dichiararlo: “C’era anche Matteo alla riunione di fine settembre di quell’anno, tenuta a Castelvetrano, in cui Salvatore Riina comunicò l’avvio della strategia stragista”. Per questo, la procura di Caltanissetta ne ha chiesto il processo per Messina Denaro, imprendibile dal 1993. La richiesta di rinvio a giudizio è stata consegnata dagli ufficiali della Dia nissena alla madre del boss, a Castelvetrano, nell’ultimo domicilio noto del super latitante, via Alberto Mario numero 51.
Dal gennaio 2016, Matteo Messina Denaro è ricercato anche per le bombe del 1992, che uccisero Giovanni Falcone, la moglie, Paolo Borsellino, e i poliziotti delle scorte. Per le stragi del 1993, quelle di Roma, Milano e Firenze, il padrino trapanese ha già un ergastolo ( corte d’assise di Firenze ) condanna confermata in Cassazione.
Questo nuovo processo sul boss potrebbe portare alla luce i collegamenti tra mafia, servizi segreti e istituzioni corrotte. Cosa sa veramente di pericoloso Messina Denaro? Che ruolo ha avuto nelle complicate relazioni tra Stato e Mafia? E se tutta questa pressione da parte dello Stato, avvenuta solo negli ultimi anni , si basasse su una sorta di ricatto tra il super latitante e pezzi dello Stato?
Potrebbe Messina Denaro custodire segreti in grado di scardinare equilibri di Stato? Come mai per almeno 15 anni si è fatto “finta” di cercarlo , fino al punto che “lu siccu” si è sentito più forte dello stesso Stato?
Il dubbio su questo braccio di ferro tra gli uomini “scuri” dentro i gangli del potere e Messina Denaro rimane. Potrebbero esistere anche “pizzini” che dimostrano contatti tra il boss di Castelvetrano e uomini delle istituzioni.
Dopo anni di azione delle forze dell’ordine a “bruciare la terra” attorno a Lui, si è distrutto tutto, tranne il suo vero sistema segreto di relazioni con il potere detto: “legale” e che all’interno ha diverse sfaccettature.
Se questa ipotesi avesse una sua valenza, potrebbe anche significare che ci sia, in atto, una trattativa di resa in corso tra il boss e chi lo ha protetto. una sorta di guerra al latitante per costringerlo ad ingoiare quel che sa.
Tutto questo potrebbe sembrare fantascienza ma la storia italiana è farcita di tanti misteri difficili da capire.
Certo è che i Messina Denaro “boss” fin’ora, l’hanno sempre fatta franca.Lui e suo padre non hanno fatto un giorno di galera.
Da punto di vista storico una cosa è certa: negli anni 80/90 nel trapanese si è concentrato un “pentolone” di intrghi di ogni sorta: da Gladio alla mafia, allo spaccio di droga agli appalti del Belice. Tutti interessi che avevano un comune denominatore: il controllo del territorio a qualsiasi costo. Da Trapani doveva passare tutto: soldi, armi, droga, documenti segreti e forse anche rifiuti nucleari. Cosa sa di quel tormentato periodo Messina Denaro? Cosa custodisce tra le sue mani?
L’indagine della Procura di Caltanissetta, diretta da Amedeo Bertone, consegna un nuovo ritratto importante di quel trentenne. Come nasce un boss? Su Repubblica di Palermo, un ritratto di Salvo Palazzolo, come delineato dai magistrati. Fu Matteo che mi portò Riina in gioielleria, ha raccontato Francesco Geraci, anche lui oggi collaboratore di giustizia ai procuratori aggiunti Gabriele Paci, Lia Sava e al sostituto Stefano Luciani. “C’erano anche la moglie e le due figlie di Riina. Mi affidarono una borsa con gioielli di famiglia, perché li custodissi. Erano orecchini, monili e altro, che io ho occultato in un nascondiglio segreto della mia abitazione, unitamente ai dei lingotti d’oro che in un’altra occasione Matteo mi aveva portato dicendomi che erano di Riina”.
Riina aveva già dato l’ordine di uccidere Giovanni Falcone. Matteo era sempre accanto a Riina. Racconta Geraci: “In due occasioni, feci fare insieme a Matteo delle gite in barca a tutti e quattro i figli di Riina. C’erano anche le figlie di Pietro Giambalvo e di tale Vartuliddu di Corleone, entrambi all’epoca dimoranti a Triscina”. Giambalvo era l’intestatario della tenuta di campagna di Riina a Castelvetrano, dove si tenne la riunione per le stragi. “A quella riunione – ricordano adesso i pm di Caltanissetta – c’erano anche i boss di Brancaccio, Filippo e Giuseppe Graviano”.
In quei giorni – si ricostruisce su Repubblica – a Matteo Messina Denaro sembrava interessare solo una cosa: compiacere il gotha di Cosa nostra. “Matteo regalò un Rolex Daytona, in oro e acciaio, a Gianni Riina, uno dei figli del capo di Cosa nostra – ha aggiunto Geraci – e anch’io volli fare un regalo identico, all’altro figlio del padrino, Salvatore”. Messina Denaro alle spalle aveva già decine di omicidi. E a lui Riina affidò la missione di fare fuori Falcone, a Roma. Sinacori ricorda Messina Denaro che carica una macchina “con mitra, kalashnikov e alcuni revolver. Aveva pure due 357 cromate nuove. Procurò anche dell’esplosivo nella zona di Menfi- Sciacca”. La missione a Roma era di morte ma Matteo aveva in programma di approfittarne per fare bella vita: “Mi disse di portare degli abiti adeguati – racconta Geraci – a Roma avremmo frequentato dei locali alla moda”. Nella Capitale, Matteo cercò casa nell’elegante quartiere Parioli.
Totò Riina con accanto il giovane Messina Denaro, quasi una foto costante di quel tempo. Tutti i giorni, anche a Natale. Inseparabili.
Lo stesso Riina, intercettato nel carcere di Opera, diceva: “Ora, se ci fosse suo padre… questo figlio lo ha dato a me per farne quello che dovevo fare, è stato qualche quattro o cinque anni con me, impara bene… “. Messina Denaro sapeva come tenere le relazioni all’interno di Cosa Nostra. Alle fine del 1991, regalò un girocollo di 50 milioni a Giuseppe Graviano, per la fidanzata. E Giuseppe Graviano è tra i boss che firmarono l’estate delle stragi.
Fonte :Globalist
Il Circolaccio