Storia della mafia del Belice: i sequestri, gli omicidi eccellenti e i grandi appalti
I collegamenti tra il colonnello Russo, gli appalti sulla Diga Garcia, La Saiseb, la mafia di Corleone, secondo la ricostruzione di Mario Francese eroico giornalista del Giornale di Sicilia
Il sequestro più «siciliano» di tutti, il più crudele (anche per i rapitori, come vedremo) e il più famoso è stato quello di Luigi Corleo, suocero del vicerè di Sicilia Nino Salvo, un «intoccabile» che qualcuno osò sfidare. Il vecchio Corleo faceva l’ esattore e il 7 luglio del 1975 fu rapito. Chiamarono subito la famiglia, chiesero 20 miliardi. In quei giorni non si sapeva ancora che dietro il sequestro c’ erano i soliti Corleonesi, volevano fare uno «sgarro» ai Salvo che erano legati mani e piedi a quell’ aristocrazia mafiosa palermitana mal sopportata dai «contadini» di Totò Riina. Il corpo di Luigi Corleo non fu mai restituito, però si verificarono fatti «misteriosi» in fondo alla Valle del Belice nei mesi seguenti. Ci furono diciassette omicidi. I diciassette uomini che per un verso o per l’ altro avevano preso parte al sequestro dell’ esattore, tutti sventurati manovali del crimine assoldati per una cosa che non avrebbero mai dovuto fare. Tutto il resto è «solo» cronaca nera e cronaca giudiziaria del passato più recente.
Il macabro ritrovamento della fossa di Roccamena
Il cimitero di mafia nella zona di Roccamena, venuto alla luce solo due anni fa, porta con sè segreti e misteri, ma anche una fetta di storia, che racconta le origini di Cosa Nostra. Da tre anni quella diga è intitolata a Mario Francese, il giornalista libero ucciso nel 79, lo stesso che ha portato alle cronache la faccia sanguinaria della Sicilia. I magistrati della Procura di Palermo lavora da tempo, cercando di dare un’identità agli uomini e la donna seppelliti nella caverna. Potrebbero essere i resti di chi si ribellò alla costruzione della diga Garcia che sorge vicino.Qualcuno che aveva scoperto gli affari loschi nella Sicilia degli anni 70.
Le inchieste del giornalista Mario Francese
Il contenuto di alcuni appunti di Russo, trovati sulla sua auto, nella sua abitazione palermitana e negli uffici della Legione, imprimono immediatamente alle indagini un indirizzo preciso: la diga Garcia.
Fu «questa la pista dei carabinieri, che si ritrovarono davanti alla formula: mafia-Garcia-sequestro Corleo», scrisse Francese. «Squadra mobile e Criminalpol indagarono, invece, sulle sue amicizie. Soprattutto una, quella dell’imprenditore di Montevago, Rosario Cascio.
Poi: il progetto di un’industria da realizzare in Liberia, alcuni suoi viaggi a Roma con Cascio, la sua partecipazione in una società, la Rudesci», aggiunse il giornalista. Infine, però, sia la polizia che i carabinieri concordarono su un punto: «Russo è caduto per aver cercato di ripristinare l’ordine ed evitare soprusi nella corsa dei gruppi mafiosi verso i remunerativi subappalti ruotanti intorno ai lavori per la costruzione della diga Garcia (costo: 350 miliardi d lire circa una cifra spaventosa per l’epoca)».Il giornalista Francese aveva un intuito davvero superiore. Sul colonnello Russo scrive:” da settimane in convalescenza, aveva già deciso di lasciare L’Arma dei Carabinieri, ma nel frattempo continuava ad indagare sul sequestro Corleo, l’atto di forza , con cui la mafia di Riina ha sfidato la vecchia mafia di Bontande.” Il colonnello Russo, secondo quanto scritto da Francese, incontra Nino Salvo al, quale era molto legato. Allo stesso tempo, Russo inizia un’attività di consulenza per la società Saiseb di Roma sulla quale lo stesso ufficiale aveva indagato La Saiseb conosciuta a Castelvetrano per il famoso contenzioso di oltre 3 milioni di Euro con il comune, gioca un ruolo importante nella ricostruzione del Belice, facendo lavori per vari miliardi di lire, giocando molto sulle perizie di variante, facendo molto lievitare i costi degli appalti. Francese si chiede come mai un pregevole colonnello dei Carabinieri, volesse andare, dopo aver lasciato, l’Arma a collaborare con questa grossa società. Francese è certo che l’omicidio Russo è collegato con la guerra di mafia che scoppia per il giro di miliardi legato alla Diga Garcia
In sostanza, secondo la ricostruzione del giornalista ucciso nel 1979, l’ufficiale dell’Arma «avrebbe tentato di non far perdere al suo amico Rosario Cascio il lavoro che si era legittimamente conquistato nella diga Garcia, da dove alcuni gruppi di mafia lo avevano cacciato con una serie di violenze. Il tentativo di Russo non è stato però gradito dalla mafia, che intravide nella sua intromissione un serio pericolo per la realizzazione dei programmi iniziati nel ’74 con alcuni sequestri dimostrativi, finalizzati al predominio assoluto nella zona di Garcia e nella valle del Belice. Un pericolo non infondato, perché i gruppi di mafia in fermento avevano già avuto modo di conoscere la tenacia di Russo, soprattutto nella lotta all’ Anonima Sequestri».
Infatti, la Lodigiani, colosso imprenditoriale del Nord, che si era aggiudicato l’appalto plurimiliardario della diga Garcia, aveva estromesso da alcuni lavori la ditta Cascio, affidandoli alla «INCO», una società dell’imprenditore Francesco La Barbera di Monreale, Giovanni Lanfranca di Camporeale e il cognato Giuseppe Modesto.
«Ma l’offerta della INCO è spuntata dopo la morte di Russo e non posso neanche escludere che si tratti di un’offerta perfezionata in un secondo momento e, comunque, dopo i fatti di Ficuzza, magari per togliere da ogni imbarazzo i Lodigiani e i suoi tecnici», dichiarò Rosario Cascio.
«Alla luce di queste parole appare verosimile che Russo chiedesse il rispetto della legalità a chi della legalità è irriducibile nemico, il rispetto della giustizia per Cascio a chi nell’ingiustizia prolifera». Ma perché i killer della mafia uccisero anche Costa? Forse perché temevano che Russo gli avesse parlato dell’affare «diga Garcia. Ammesso che Russo non avesse rivelato nulla a Costa, chi avrebbe potuto convincere gli assassini?», fu la conclusione di Francese.
Come se non bastasse l’assassinio Russo era stato preceduto da tre sequestri e da una agghiacciante serie di delitti. A Roccamena, l’8 settembre 1974, fu rapito il giovane enologo monrealese Franco Madonia, rilasciato il 15 aprile 1975, dopo il pagamento di un riscatto da un miliardo di lire da parte dello zio “don” Peppino Garda. Il 1° luglio 1975 fu sequestrato il docente universitario Nicola Campisi, che sarebbe stato rilasciato l’8 agosto, dopo il pagamento di 700 milioni di riscatto. Infine, il 17 luglio, la “madre” di tutti i sequestri: quello di Luigi Corleo, il re delle esattorie, che fu misteriosamente soppresso.
La potente Saiseb si aggiudica anche i lavori delle fognature di Castelvetrano
Tre milioni e 200.000 euro. E’ questa la cifra che il Comune sta pagando alla Saiseb
Soldi tolti alla comunità castelvetranese per un appalto degli anni 80
Tutto ha inizio alla fine degli anni Ottanta, quando Selinunte non aveva ancora le fognature .L’amministrazione a guida democristiana e sostenuta dal partito comunista ,sindaco Vito Li Causi gestisce l’affidamento dei lavori alla Saiseb, per 8 miliardi delle vecchie lire. Una serie di interminabili vicende burocratiche e giudiziarie gestite dal sindaco Beppe Bongiorno e Gianni Pompeo portarono al contenzioso conclusosi con il pagamento della somma stabilita dalla sentenza
Da vari documenti investigativi risulta un nome che lega i lavori per le reti fognarie di Marinella di Selinunte agli appalti per la superstrada Palermo – Sciacca, alle fognature di Petrosino e alla galleria paramassi di Sclafani Bagni e probabilmente anche ai lavori di ricostruzione nel Belice e anche alla Diga Garcia. E’ quello di Angelo Siino, il ” ministro dei lavori pubblici” della mafia di Corleone.
Il “metodo Siino”, era quello che cercava di accontentare tutti : dirigenti pubblici, impiegati , politici . La sua arma le tangenti. Una specie di corruzione mirata
La vicenda delle fognature Saiseb non è di poco conto
Nei primi anni 90 scoppia un’inchiesta che tocca i colletti bianchi. Vengono arrestati anche l’ingegnere Attilio Bandiera, progettista dei lavori della rete fognaria di Selinunte e Gaspare Rizzo, funzionario del comune di Castelvetrano. Secondo l’accusa, tra il ‘91 e il ’92, Bandiera avrebbe intascato assieme ad altri funzionari del Comune, una tangente di 113 milioni di lire per pilotare la gara d’appalto. Mentre Gaspare Rizzo avrebbe provveduto, in cambio di tre milioni a velocizzare l’emissione dei mandati di pagamento.
In quel periodo a gestire la città c’era il commissario Amindore Ambrosetti, arrivato a Castelvetrano, per l’ennesimo scioglimento per motivi politici del comune.Secondo alcune fonti , Ambrosetti venne minacciato e picchiato. Le lesioni personali al commissario sarebbero state causate da un certo Pino Capo, di Gibellina. Un “lavoro” ordinato dall’emergente Matteo Messina denaro su ordine dei corleonesi.
Secondo Angelo Siino , lo stesso Matteo Messina Denaro, uccise Pino Capo con due colpi di pistola alla testa. Il picciotto di Gibellina sapeva troppo.
Fonte: Gli Insabbiati di Luciano Mirrone; Repubblica; Blog La pazienza è finita, Mario Francese
Il Circolaccio