Capaci e Via D’Amelio, la mafia eseguì ordini esterni. Ecco le prove
Pubblichiamo l’agghiacciante ricostruzione dei fatti relativi alle stragi , in un articolo firmato da Alberto Di Pisa
sul giornale online SI
Forse si avvicina la verità tanto chiesta dai figli di Paolo Borsellino
Davvero Arnaldo La Barbera, ex questore deceduto, fece il doppio gioco?
Qual’è stato il ruolo di Di Matteo nelle fasi processuali ? Chi ha favorito i depistaggi in tutti questi anni?
Sembrerebbe aprire scenari che per la strage di Capaci ricondurrebbero non soltanto alla mafia ma anche ad entità esterne quanto dichiarato da Francesco di Carlo, legato ai Servizi, pentito dal 1996 e che per trent’anni ha fatto da ponte tra Stato e mafia. Questi ha riferito ai magistrati che mentre si trovava detenuto in Inghilterra erano venuti a trovarlo più volte, dopo l’attentato all’Addaura, agenti dei servizi segreti che parlavano in inglese insieme ad altri agenti che parlavano italiano e tra questi Arnaldo La Barbera già dirigente della Squadra mobile di Palermo, colui che gestì le indagini per le stragi di Capaci e via D’Amelio e che convinse a collaborare il falso pentito Vincenzo Scarantino, condannato per la strage di via D’amelio e le cui dichiarazioni autoaccusatorie sono state clamorosamente smentite 17 anni dopo dal collaboratore Gaspare Spatuzza, nel processo Borsellino quater. Ebbene il Di Carlo ha riferito che i suddetti personaggi lo avevano contattato per avere indicazioni su un esperto in esplosivi. che lui aveva indicato nella persona di Antonino Gioè (suicidatosi in carcere) che a sua volta gli aveva indicato Pietro Rampulla. Particolare non privo di importanza : Pietro Rampulla, condannato per la strage di Capaci nella quale ebbe il ruolo di artificiere, in passato è stato militante di Ordine Nuovo, legato alla destra eversiva, e a Rosario Cattafi, l’avvocato di Barcellona, anche lui esponente in passato di Ordine Nuovo ed oggi testimone nel processo trattativa Stato- Mafia.
Ha in particolare dichiarato Di Carlo : ““Quando ero agli arresti in Inghilterra, prima dell’attentato all’Addaura, in carcere mi vennero a trovare tre persone. Uno di questi si presentò come Giovanni e mi disse che mi portava i saluti di Mario (un altro soggetto appartenente ai servizi segreti). Mi hanno chiesto un contatto con i corleonesi di Totò Riina. Mi dissero ‘Ci devi fare avere un contatto a Palermo con i corleonesi. A noi ci interessa il ramo politico di certe situazioni’. Volevano mandare via Falcone da Palermo perché stava facendo la Dia e la Procura nazionale. Mi raccontavano che i politici erano preoccupati, che ne dicevano di tutti i colori perché Falcone voleva indagare su tutto e mettere tutti sotto processo. Loro volevano soltanto mandarlo fuori e per fare qualcosa in Sicilia volevano avere le spalle coperte”. Il collaboratore proseguiva dicendo che aveva messo i suoi interlocutori in contatto con Ignazio Salvo, l’esattore di Salemi condannato per associazione mafiosa ed ucciso a Palermo nel 1992 ,ricevendo conferma dell’avvenuto incontro.
In una intervista rilasciata il 2 ottobre 2015 al “Fatto Quotidiano” parlando di La Babera, Di Carlo afferma : “…Ho accusato Arnaldo la Barbera che non era il solito agente segreto, ma un superpoliziotto in carriera messo dal capo della polizia Vincenzo Parisi alla guida del pool che indagava sulle stragi. Cosa che non ho mai capito. La Barbera stava li per spiarlo.(il pool,n.d.r.), lo considero il più grande depistatore di tutti i tempi. Era nel Sisde fino all “88” ma nell’ “89” è venuto a trovarmi in Inghilterra insieme a Giovannino del Sismi, si era portato a Palermo la squadretta che aveva a Venezia, ha arrestato Scarantino che non sapeva neppure il proprio nome. Ma a Caltanissetta dicono : “ Si il depistaggio è tutta colpa di La Barbera, lui è morto chiudiamola qui. Incredibile”. Queste rivelazioni mi inducono a porre iseguenti interrogativi: Ma per ordine o imput di chi agiva La Barbera ? E il depistaggio quali responsabilità nella strage mirava a coprire?”
Alla domanda poi dell’intervistatore sul perché fossero stati uccisi Falcone e Borsellino così rispondeva Francesco di Carlo : “La mafia da sola non avrebbe avuto il coraggio di uccidere Falcone e Borsellino. Ma i due giudici non colpivano soltanto la mafia. Per scoprire i flussi di denaro sporco hanno introdotto il segreto bancario perfino in Svizzera: bisognava fermarli e lo hanno fatto. Anche dentro Cosa Nostra ci sono uomini di potere in grado di dialogare con il mondo esterno….”
Sempre in tale intervista Di Carlo parla di una riunione che molti anni dopo il 1980 sarebbe avvenuta. in una villa del Circeo e dove erano presenti mafiosi ed uomini di Stato per decidere i destini d’Italia. Afferma in proposito : “La riunione si tenne nella villa di Umberto Ortolani a San felice Circeo, lui era già fuggito in Brasile, la P2 non era stata ancora scoperta, ma c’era aria di tempesta. Era inverno, febbraio forse : Piersanti Mattarella era stato ucciso da poco, dio sa se mi sono battuto per salvarlo. Ricordo che accompagnai da Roma un paio di persone, salimmo lungo un sentiero di montagna, ma dal promontorio si vedeva il mare”.
Alla domanda poi del giornalista che gli chiedeva se a questa riunione fosse presente Andreotti rispondeva : “Non c’era, però c’erano Nino Salvo, l’avvocato Vito Guarrasi, il capo del Sismi Giuseppe Santovito e un politico, forse un ministro, di cui non ricordo il nome. Di sicuro non si parlò di stragi, semmai di colpo di Stato (parola mai usata però). C’erano gli scandali giudiziari, la sinistra comandava troppo, bisognava intervenire e c’era bisogno di Cosa Nostra che stava li a difendere i suoi interessi. Tutto doveva ancora succedere, la P2 non era stata ancora scoperta e i generali erano tutti al loro posto”.
Da quanto dichiarato da Francesco Di Carlo, collaboratore ritenuto dai magistrati altamente attendibile, emerge con tutta evidenza quella convergenza di interessi tra mafia, politica, finanza, servizi segreti che potrebbe avere determinato le stragi fino a quelle di Capaci e via D’Amelio, convergenza finalizzata alla realizzazione e al mantenimento degli interessi propri di ciascuna delle suddette componenti non esitandosi a ricorrere ad azioni delittuose oggi qualvolta tali interessi venissero posti in pericolo.
Alla luce di quanto fin qui detto può sostenersi che la mafia soltanto in parte debba ritenersi responsabile delle stragi di Capaci e via D’Amelio, convinzione che troverebbe riscontro in quanto affermato da Tommaso Buscetta nel corso di un colloquio casuale intervenuto tra lo stesso e il giudice Ferdinando Imposimato. Riferisce infatti quest’ultimo in una intervista rilasciata ad una emittente televisiva : “Io stavo andando nell’America latina per incarico delle Nazioni Unite per degli addestrarmenti di giudici boliviani colombiani ed ecuadoregni. Sull’aereo mi sono trovato per caso accanto a Tommaso Buscetta. Siamo stati 12 ore insieme e Buscetta mi ha fatto una serie di rivelazioni ma con molta capacità logica. Mi diceva: scusi parliamo dell’omicidio di Dalla Chiesa, mi ricordo benissimo. Noi mafiosi che interesse avevamo a colpire un generale che non ci aveva fatto proprio niente? Ma scusi lei che cosa vuole dire ? Che è stata la mafia ma non per volontà della mafia ma per ordini che venivano dall’esterno? Cioè lui mi ha fatto tutta una serie di casi di delitti di mafia che la mafia aveva interesse a non eseguire comprese le stragi di Capaci e via D’Amelio perché avrebbero portato dei danni alla propria esistenza perché poi da li è cominciata la fuga da Cosa Nostra. Non c’entra la legge sui pentiti. Il fenomeno del pentitismo si è verificato prima della legge sui pentiti . Loro stavano facendo una cosa che non serviva a Cosa nostra ma serviva ad altre entità.” Anche per ciò che riguarda gli attentati del “93” Buscetta sosteneva che anche questi erano delitti che Cosa Nostra non voleva commettere. Cosa Nostra non sapeva nemmeno che esistevano la galleria degli Uffizi e gli altri monumenti storici.
Anche da queste affermazioni di Buscetta, riportate da Imposimato, si intuisce l’esistenza di entità esterne dalle quali sarebbe partito l’imput alla realizzazione delle stragi. Falcone aveva capito tutto ciò come può dedursi dal fatto che dopo il fallito attentato dell’Addaura parlò di “menti raffinatissime” che non potevano certo essere quelle di esponenti di Cosa Nostra e che, dopo l’attentato, tentarono di far apparire quello dell’Addaura un falso attentato organizzato dallo stesso Falcone.
D’altra parte, l’allora vicedirettore della Direzione investigativa antimafia, in un appunto riservato del 27 luglio 1992, otto giorni dopo l’eccidio di via D’Amelio, scriveva che dalla strage emergeva “un contesto delinquenziale in cui da un lato trova conferma l’attualità di una strategia destabilizzante nei confronti delle istituzioni e, dall’altro, si intravedono elementi tali da far sospettare che il progetto eversivo non sia di esclusiva gestione dei vertici di Cosa Nostra, ma che allo stesso possano aver contribuito e partecipato altri esponenti del potere criminale, sia a livello nazionale che internazionale” Come dire : le stragi non furono solo un fatto di mafia ma videro coinvolte altre entità a livello nazionale ed internazionale.
E sempre De Gennaro esprimeva tale convinzione allorquando, parlando dinanzi alla Commissione parlamentare antimafia dell’omicidio di Paolo Borsellino affermava che tale omicidio presentava “una chiara anomalia del tradizionale comportamento mafioso, aduso a calibrare le proprie azioni delittuose si da raggiungere il massimo risultato con il minimo danno”. Ciò significa, considerati i notevoli danni che derivarono per Cosa Nostra dalla strage di via D’Amelio (l’immediata applicazione del decreto legge, emanato dopo la strage di Capaci, che prevedeva il carcere duro per i mafiosi) che non Cosa Nostra ma altri rimasti nell’ombra, decisero la realizzazione del nuovo eclatante delitto a così poca distanza di tempo da Capaci. E d’altra parte le indagini hanno accertato che le stragi non possono essere addebitate al solo Riina se è vero che, prima della loro attuazione, questi consultò ed incontrò persone esterne a Cosa Nostra tra cui massoni, neofascisti, esponenti dei servizi segreti.
Bisogna evitare tuttavia un equivoco che si verifica quando si parla di mandanti esterni a Cosa Nostra. E’noto che l’organizzazione mafiosa non è adusa a prendere ordini da altri ma agisce quando si verifica una convergenza di interessi alla realizzazione di un delitto, tra la stessa organizzazione e entità esterne ad essa quali possono essere soggetti politici, massoneria, servizi deviati, ambienti imprenditoriali. Questo concetto è stato affermato anche dal collaboratore Antonino Giuffrè il quale appunto ha parlato di “interessi convergenti” alla eliminazione di Falcone provenienti dai suddetti ambienti esterni. Si pensi alla presenza sul luogo delle stragi di soggetti appartenenti ai Servizi deviati.
E che la strategia stragista del 1992-93 sia stata caratterizzata da una convergenza di interessi tra mafia ed altre forze criminali trova conferma in una informativa del 1993 della Direzione investigativa antimafia nella quale si legge che dietro le stragi si muoveva una “«aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse»; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano «dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali».
In termini più semplici la informativa del 1993 della DIA vuol dire che accanto ai boss di Cosa Nostra, cioè personaggi come Totò Riina, Messina Denaro, i Graviano che perseguivano gli interessi propri dell’organizzazione mafiosa, vi erano altri elementi che si servirono della mafia per destabilizzare, con le stragi di Capaci, via D’amelio e quelle del “93” l’assetto politico
Alcuni collaboratori di giustizia hanno parlato di un summit di mafia che verso la fine del 1991 ebbe luogo in un casolare delle campagne di Enna e al quale parteciparono tutti i capi mafia. della Sicilia convocati da Totò Riina. Nel corso di questa riunione fu fatto credere agli intervenuti che occorreva effettuare le stragi al fine di costringere lo Stato a venire a patti per ottenere l’ impunità e benefici penitenziari. Totò Riina disse che bisognava prima fare la guerra per poi fare la pace.
In realtà in quella riunione si celava un progetto politico che stava dietro alle stragi e che era a conoscenza soltanto di Totò Riina e di alcuni vertici di Cosa nostra ma che rimase nascosto ad altri capi ed esponenti mafiosi di minore rilievo; il che è significativo di contatti ed incontri che Riina aveva intrattenuto con entità esterne a Cosa nostra, interessate alla realizzazione di quel progetto e che solo lui e pochi altri come i fratelli Graviano, Santapaola , Madonia ed altri capi detenuti conoscevano.
Il capomafia Giovanni Ilardo, legato ai servizi segreti e alla destra eversiva che aveva iniziato a collaborare e che era intenzionato a rivelare ai magistrati il coinvolgimento di apparati deviati dello Stato in stragi ed omicidi eseguiti dalla mafia, venne assassinato prima che potesse mettere a verbale le sue propalazioni. E alla presenza di elementi esterni a Cosa nostra riportano le dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza, che ha confessato la sua partecipazione alla strage di via D’Amelio, e che ha riferito di un personaggio, non appartenente a Cosa Nostra, che assistette al collocamento dell’esplosivo all’interno dell’autovettura utilizzata per la strage di via D’Amelio, personaggio che non è stato possibile identificare.
Come è stato osservato in proposito dal Procuratore Generale di Palermo “Chi conosce le regole della mafia sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri compartecipi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentissima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi”. E la presenza di elementi esterni a Cosa Nostra emerge anche da una intercettazione telefonica del 14 dicembre 1993 relativa ad una conversazione intervenuta tra il collaboratore Santino Di Matteo e la moglie Francesca Castellese, dopo il rapimento del figlio e nella quale quest’ultima scongiura il marito di non parlare ai magistrati degli “infiltrati” intervenuti nella strage di Via D’Amelio. Infiltrati che purtroppo non è stato possibile identificare.
Ancora oggi sussistono numerose ombre su quelle che possono essere state le responsabilità nelle stragi di Capaci e via D’amelio e sul ruolo che hanno avuto in questi gravi delitti apparati investigativi e organismi nazionali ed internazionali nonché pezzi dello Stato che potrebbero avere fornito copertura alla organizzazione mafiosa anche istaurando con questa, in cambio di una sospensione della strategia stragista, un dialogo; ipotesi questa la cui fondatezza attualmente è al vaglio dei giudici di Palermo e che costituisce oggetto del processo noto come trattativa Stato-Mafia.
Soltanto un collaboratore del peso di Totò Riina o un pentito all’interno delle istituzioni potrebbe fare luce sulle motivazioni reali che determinarono la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ma anche sui cosiddetti “omicidi politici” quali quelli di Michele Reina, Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa. Si tratta di omicidi che sono stati commessi non solo per fare fronte ad interessi di Cosa Nostra ma per attuare una strategia che era perseguita da altre entità politiche, finanziarie, imprenditoriali non soltanto nazionali ma anche internazionali. E d’altra parte, come sostenuto da Buscetta ma anche da altri pentiti, si tratta di delitti che la mafia era sotto un certo aspetto restia ad eseguire ma che ha eseguito anche per esigenze estranee a Cosa Nostra, nell’interesse cioè di entità esterne con le quali i contatti venivano tenuti soltanto dai vertici di Cosa Nostra e di cui venivano tenuti all’oscuro gli appartenenti di rango inferiore.
Fonte : Sicilia informazioni
Il Circolaccio