Crocetta doveva salvare la Sicilia dopo gli anni del “clientelismo” di Cuffaro ritenuti disastrosi dagli amici dell’attuale governatore. Crocetta ,doveva portare la Sicilia ai primi posti delle regioni italiane invece i conti dicono il contrario. Il Governo Crocetta però ha mantenuto bene tanti consulenti con contratti esterni e amici di partito
Il calvario della legislatura continua. Con un governo alle battute finali, un’Ars in stallo e un’aria dolente da fine impero. E adesso anche il macigno della Corte dei conti che non concede la parifica e rimanda la Regione al 19 luglio con il pg che ha denunciato irregolarità nel bilancio. È la prima volta che la Sicilia arriva a questo punto, affacciandosi su un baratro senza precedenti.
È inutile condire i commenti con parole già scritte e riscritte. Il disastro di questi anni è talmente evidente, oggettivo e avvilente da presentarsi come uno spettacolo che non richiede parole di contorno.
Quello che sta maturando in Sicilia è il disfacimento totale.
Il disfacimento delle Istituzioni, anzitutto. Un governo regionale allo sbando, con le sue porte girevoli e i suoi precari della poltrona. E con i suoi ormai fisiologici ritardi, basti pensare a quanto accaduto in questi giorni sul fronte degli incendi. La rapsodia del fallimento del sedicente governo di Rosario Crocetta volge al termine su uno spartito di sventura. Che sì, è stato scritto anche dai governi precedenti, che hanno lasciato eredità devastanti frutto di scelte sconsiderate e poco lungimiranti. Ma che ha avuto il suo climax in questi anni di improvvisazione totale. Di naufragio di un’Isola senza guida e senza bussola.
Gli anni del ‘ma anche’ alla siciliana. In cui si fanno le riforme come quella sventurata delle Province, ma anche si sfanno, una tela di Penelope senza pace, che produce disastri, con enti alla canna del gas, servizi cancellati, incertezza su presente e futuro e democrazia sospesa da anni. L’era in cui i partiti lasciano la giunta ma anche ci restano, con i loro assessori tecnici fuori controllo. L’era in cui si cambiano i manager della sanità ma anche no, perché spunta sempre una proroga da qualche parte. L’era in cui si mettono i conti in sicurezza, quante volte lo abbiamo sentito ripetere, ma anche si porta la Regione sul baratro del fallimento secondo la procura generale della Corte dei conti.
Il disfacimento delle Istituzioni è anche quello dell’Ars. Un Parlamento impantanato, improduttivo, disertato dai suoi inquilini, incapace di legiferare senza pastrocchi che portano a impugnative. Impelagato ormai da anni a scrivere e riscrivere finanziarie per spartire i pochi spiccioli rimasti in un forziere depredato, dagli sprechi, dallo stipendificio a cui nessuno vuol mettere mano, dai tagli selvaggi del governo nazionale, dall’incapacità di attuare politiche di sviluppo.
Ma è anche il disfacimento dei corpi sociali. Che si sono squagliati come neve al sole, umiliati e annientati da capipopolo e masanielli, raffinati o rozzi che siano. Sono morti i partiti, caricature di quello che furono in tempo, ridotti a taxi su cui salire e scendere a seconda delle esigenze, perché ormai percepiti come tutti uguali. Sono morti i sindacati, che non riescono a incidere positivamente in nulla, con la loro immagine usurata per i troppi no del passato. Boccheggiano o peggio le associazioni di categoria, scosse da scandali ai livelli apicali, e spesso avvertite come poco rappresentative delle reali istanze di un mondo produttivo orfano e disperato. Non è servita a invertire la rotta la lunga presenza nelle stanze dei bottoni del potere politico di esponenti confindustriali. Basti pensare a titolo d’esempio che la legge di riforma delle attività produttive si è impantanata all’Ars con una dinamica sconfortante. È il disfacimento di quella che si chiamava società civile, che viene solleticata dalla retorica di campagne elettorali condotte in nome del “civismo” e vinte grazie al voto strutturato di capibastone e segreterie.
È il disfacimento dei conti, della fiducia, della speranza. L’atto d’accusa della magistratura contabile pronunciato in assenza di Crocetta, assenza singolare di fronte a un singolarissimo evento come la mancata concessione della parifica, è un’immagine emblematica. Non serve sguazzare tra le intercettazioni sui capricci eoliani, veri o mistificati, del governatore per decretarne la fine politica. Non sta lì il senso di questo tempo. Per coglierne la cifra invece basta soffermarsi su un altro fatto, ossia su come il partito che governa da anni la Sicilia stia cercando di far carte false per candidare alle Regionali l’unico suo esponente di rilievo che in Sicilia praticamente non ha mai fatto politica. Non serve un maresciallo con le cuffiette per intercettare un fallimento quando questo si staglia in modo così lampante.
Fonte Live Sicilia