La conclusione del processo sulla trattativa stato-mafia è di quelle che potrebbero cambiare il corso della storia. Ormai sono passati troppi anni e probabilmente molte cose andranno in prescrizione. Vi è però un esigenza di verità. Quella verità che consentirà alle giovani generazioni di vomitare su chi ha fatto il doppio gioco e ha giocato con la pelle di tante vittime innocenti. La condanna è stata invocata anche per l’ex ministro democristiano Nicola Mancino che fu responsabile degli Interni nel periodo delle stragi e fino al 1994.
Il Circolaccio ne ricorda le gesta a favore anche dei più giovani
Mancino,Il pupillo di De Mita Buttiglione e Mattarella
Vicino alla corrente demitiana della Democrazia Cristiana, tra i fondatori e maggiori esponenti della corrente della DC detta “Sinistra di base”, proveniente dall’avellinese come Gerardo Bianco, Attilio Fierro, Aristide Savignano e altri, divenne segretario dapprima della provincia di Avellino e poi della regione Campania (di cui fu due volte presidente della giunta regionale), fu eletto per la prima volta senatore nel 1976 e da allora è stato sempre riconfermato fino al 2008.
Capogruppo al Senato della DC durante il Governo De Mita, è stato Ministro dell’interno dal 1992 al 1994: in questa veste firmò il Decreto per il Riordino della finanza degli enti territoriali DM 504 /1992, decreto che introdusse l’ICI Imposta Comunale sugli Immobili. Firmò anche il decreto che istituiva il reato per istigazione razziale, che ebbe come conseguenza la chiusura di numerose associazioni neofasciste come Meridiano Zero. Durante il suo mandato fu modificato l’Articolo 41 bis, che stabilì condizioni di carcere duro per i boss mafiosi, furono sciolte decine di consigli comunali per infiltrazione mafiose e le forze dell’ordine assicurarono alla giustizia alcuni tra i più pericolosi capi di Cosa nostra, tra cui Totò Riina e Nitto Santapaola.
Nel 1994 dopo lo scioglimento della DC aderisce al Partito Popolare Italiano ed è tra i più stretti collaboratori di Mino Martinazzoli. Nel luglio 1994 partecipa al congresso del PPI ed è tra i principali esponenti contrari ad alleanze col centrodestra di Silvio Berlusconi e all’elezione di Rocco Buttiglione alla segreteria del partito. Nell’ultimo giorno del congresso viene scelto dall’ala sinistra del PPI come candidato alla segreteria da contrapporre a Buttiglione. Tuttavia non riesce a coagulare attorno a sé la maggioranza del partito.
Dopo la vittoria elettorale di Romano Prodi e dell’Ulivo, è stato Presidente del Senato della Repubblica dal 9 maggio 1996 al 29 maggio 2001, durante la XIII Legislatura.
È stato rieletto senatore alle elezioni politiche del 2006, sempre per la Margherita. Il 24 luglio 2006 lascia il Senato dopo 30 anni di attività parlamentare perché eletto dal Parlamento in seduta comune con 751 voti come componente del Consiglio Superiore della Magistratura in quota DS, in seno al quale ha ricoperto l’ufficio di vicepresidente dal 1º agosto 2006 al 1º agosto 2010 con elezione unanime.
Secondo testimonianze di alcuni collaboratori di giustizia dopo la strage di Capaci si è avviata una trattativa tra pezzi dello Stato Italiano e Cosa Nostra di cui il giudice Paolo Borsellino sarebbe verosimilmente stato al corrente[1] poco prima di venire ucciso il 19 luglio 1992. In quest’ottica diventa importante sapere se e quando Borsellino abbia appreso dell’esistenza della trattativa in quanto una sua mancata adesione avrebbe potuto essere un movente per l’omicidio. Secondo Massimo Ciancimino la trattativa era gestita dal padre Vito Ciancimino che avrebbe chiesto – sempre secondo la testimonianza del figlio – ed ottenuto di informare Mancino. Mancino dal canto suo nega di aver avuto questa informazione.
Il 1º luglio 1992 alle ore 19:30 Paolo Borsellino aveva un appuntamento al Viminale con Mancino che in quel giorno assumeva la carica di ministro: così è segnato nell’agenda del magistrato e così è confermato dalla ricostruzione della giornata di Rita Borsellino secondo la quale vi si sarebbe recato in seguito ad una telefonata del ministro. Il collaboratore di giustizia Mutolo al riguardo racconta che Borsellino gli disse «mi ha telefonato il ministro, manco due ore e poi torno» e poi racconta però «[Borsellino] molto preoccupato e serio, mi fa che viceversa del ministro, si è incontrato con il dottor Parisi [l’allora capo della Polizia] e il dottor Contrada». Tuttavia l’avvocato generale di Palermo Vittorio Aliquò racconta che quel giorno accompagnò Borsellino sulla soglia della stanza del neo-ministro, lo vide entrare, lo vide uscire poco dopo e quindi entrò a sua volta, ma da solo[2], non ricorda di aver incontrato Bruno Contrada ed esclude che Borsellino gliene abbia parlato. Mancino interpellato sulla vicenda ha sostenuto «Non ho precisa memoria di tale circostanza, anche se non posso escluderla, era il giorno del mio insediamento, mi vennero presentati numerosi funzionari e direttori generali. Non escludo che tra le persone che possono essermi state presentate ci fosse anche il dottor Borsellino. Con lui però non ho avuto alcuno specifico colloquio e perciò non posso ricordare in modo sicuro la circostanza» e inoltre nega di averlo convocato.[3]
In seguito a tali dichiarazioni Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, ha accusato Mancino di non essere credibile quando afferma di non ricordare di un eventuale incontro con Paolo considerata la visibilità mediatica che stava avendo il magistrato dopo la strage di Capaci.[4] Mancino ha replicato con una lettera al Corriere.it del 17 luglio 2009[5] dove fa presente che stando a quanto racconta Mutolo il giudice Borsellino non avrebbe incontrato lui ma altre persone, Mancino sostiene anche che non avrebbe comunque nessun motivo di negare quell’incontro nel caso ci fosse stato e fa notare che il giorno del presunto incontro era per lui il primo giorno di insediamento al Viminale.
Fonte: documenti storici
Il Circolaccio