- Il processo sulla trattativa Stato Mafia ha riempito migliaia di pagine con varie dichiarazioni. Ancora una volta ,spunta il nome di Matteo Messina Denaro e e della cosca di Castelvetrano. Totò Riina si fidava del giovane rampollo figlio di Don Ciccio e anche del gioielliere “pentito” Francesco Geraci detto “tistuni”. Cosa è accaduto a Castelvetrano in quegli anni? Cosa sa Matteo Messina Denaro dei rapporti avvenuti in quegli anni tra lo Stato e i mafiosi?
- “Venne chiesto a Messina Denaro di procurare delle opere – spiega il pm Roberto Tartaglia – alcuni mafiosi fecero un incontro nella gioielleria di Francesco Geraci a Castelvetrano”. Opere d’arte che erano state rubate negli anni dai clan e poi nascosti.
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Trattativa. Il pentito Onorato: ”Dopo la sentenza del maxi, Riina diceva che li voleva ammazzare a tutti”
- LA SECONDA TRATTATIVA
Dice il pubblico ministero Roberto Tartaglia: “C’è stato un secondo piano di trattativa, che è passato alla storia, per semplificazione, come ‘Seconda trattativa’ o ‘trattativa delle opere d’arte’. E’ un canale di trattativa assolutamente sincronico, perfettamente coincidente con le tappe della trattativa principale”. La requisitoria prosegue con un altro mistero di quella stagione del 1992, il dialogo fra Paolo Bellini, ex esponente di Avanguardia nazionale vicino al mondo dell’eversione nera, e il maresciallo Roberto Tempesta. Un infiltrato nel mondo delle cosche e un investigatore in contatto con il generale Mori.
“Quando la trattativa con Vito Ciancimino va avanti – dice Tartaglia – quella delle opere d’arte si ferma, mentre quando quella principale rallenta e Riina dice: ‘Ci vorrebbe un altro colpettino’, quella delle opera d’arte va avanti, fino alla conclusione che è sovrapponibile alla conclusione dell’altra”.
Bellini era in contatto con il boss Antonino Gioè. Oggetto della trattativa-scambio erano alcune opere d’arte in possesso di Cosa nostra, i mafiosi chiedevano in cambio un trattamento carcerario di favore per alcuni vecchi boss.
“Venne chiesto a Messina Denaro di procurare delle opere – spiega il pm Roberto Tartaglia – alcuni mafiosi fecero un incontro nella gioielleria di Francesco Geraci a Castelvetrano”. Opere d’arte che erano state rubate negli anni dai clan e poi nascosti.
“Com’è possibile – si chiede il magistrato – che i carabinieri non seguirono Bellini, che aveva ripetuti contatti con autorevoli mafiosi?” Per la procura, il comportamento del generale Mori è stato sempre “oltre e contro le regole”
Francesco Geraci, fedelissimo di Matteo Messina Denaro, prima di pentirsi, non era uno qualunque. Addirittura Totò Riina gli affidò il suo tesoro
I gioielli “di famiglia”, collier, orecchini, Cartier, crocifissi tempestati di brillanti, diamanti, sterline e lingotti d’ oro ed altri preziosi per un valore di oltre due miliardi di lire, Totò Riina, il capo di Cosa Nostra, li teneva nascosti sotto il classico mattone.Li teneva il gioielliere, Francesco Geraci, uomo d’ onore del Trapanese. Fu trovato con grande sorpresa degli inquirenti, sotto il pavimento di un’ anonima abitazione di Castelvetrano, un paese del Trapanese dove Totò Riina e la sua famiglia avevano trascorso gran parte della loro lunga latitanza. Un tesoro che il boss aveva affidato al gioielliere nel ‘ 92 dopo aver lasciato il covo di Castelvetrano per trasferirsi nella lussuosa villa di Palermo in via Bernini, nei pressi della quale il 15 gennaio del ‘ 93 fu arrestato.
Matteo Messina Denaro, Ciro Nuvoletta, figlio del boss napoletano, ed altri mafiosi, si diedero appuntamento a Fontana di Trevi, a Roma. Geraci e Vincenzo Sinacori, altro boss attualmente in carcere, ebbero il compito di studiare i movimenti di Maurizio Costanzo. E per la trasferta a Roma Geraci aveva comprato un guardaroba, oltre 12 milioni spesi in camicie, pantaloni ed altro “abbigliamento sportivo”. Del popolare presentatore i due mafiosi sapevano tutto: “Quando usciva dal Teatro Parioli dove registrava la trasmissione, il Maurizio Costanzo Show, noi non lo perdevamo di vista un attimo”. “Per i suoi spostamenti – ha detto il pentito – Costanzo usava una Mercedes ed era scortato da una Alfa 164. Le armi erano già state trasferite dalla Sicilia nella capitale. Poi però non se ne fece più niente e dopo 10-12 giorni facemmo rientro a Trapani”. Alcuni mesi dopo Matteo Messina Denaro, che con Bernardo Provenzano è il boss che più di tutti aveva contatti con Totò Riina e i suoi familiari, tornò alla carica: “Mi domandò nuovamente – ha affermato il pentito – cosa ne pensavo di attentati contro monumenti antichi, con il solito fine di destabilizzare lo Stato e costringerlo a scendere a compromessi, ma non mi spiegò come ciò doveva avvenire”. Poi, dopo l’ arresto di Totò Riina “Denaro mi disse che se si fossero compiute azioni terroristiche non solo nei confronti di persone ma anche contro dei monumenti, qualcuno sarebbe andato a trattare con Riina”.
Fonte : repubblica, Palermoday
Il Circolaccio