“In Italia il partito dei giudici fa e disfa le leggi da decenni”
A dirlo il professore Giuseppe Valditara Ordinario di Diritto Romano all’Università di Torino. Una dichiarazione che rappresenta ormai una vasta linea di pensiero di molti luminari del diritto. La magistratura in Italia è più potente della politica. I magistrati spesso chiudono gli occhi in certe regione rosse e sono molto più attivi nelle regioni di centro destra. Lo dicono le statistiche. Ad esempio ,la magistratura, ha sempre indagato poco sulle coop rosse che hanno gestito miliardi di Euro di lavori pubblici e molto di più su attività piu vicine al centro destra. Due pesi e due misure?. L’attacco della sinistra a Berlusconi tramite la Giustizia ha favorito il caso Palamara. Bisogna stare attenti anche ad avere posizioni critiche seppur motivate. A sbatterti dentro o a distruggerti la vita con inchieste basate su sospetti e lontane dalle prove, frutto anche di leggi approssimative, non ci pensano due volte. Loro si sentono intoccabili. I magistrati politicizzati non dovrebbero esistere
Il Professore Valditara ed ex senatore cosi spiega il problema: «Le continue invasioni di campo non nascono per caso. I magistrati si sentono depositari della volontà popolare, un’anomalia, visto che la Costotuzione li limita al potere giudiziario e non politico»
Prende una sentenza del 2009. E legge il passo decisivo in cui la Cassazione rivendica, testualmente, «la funzione interpretativa del giudice in ordine alla formazione della cosiddetta giurisprudenza-normativa, quale autonoma fonte di diritto».
«Ecco – riprende Giuseppe Valditara- la Suprema corte ci dice che il giudice è una fonte autonoma di diritto. È sconvolgente, si capisce? Perché solo in Italia la magistratura arriva a concepirsi come soggetto normativo che affianca e sostituisce il legislatore. Le leggi, per capirci, le fa il Parlamento, ma la Cassazione si mette sullo stesso piano. Succede solo nel nostro Paese, ma la nostra storia è un susseguirsi di anomalie, una più inaccettabile dell’altra. Tutto si tiene». Tutto si spiega. Anche le feroci polemiche di queste ore. Piercamillo Davigo, neopresidente dell’Associazione nazionale magistrati, parla al Corriere della Sera e liquida la nostra classe dirigente: «I politici rubano più di prima, ma adesso non si vergognano». Scintille e ancora scintille sullo sfondo di un conflitto fra poteri che va avanti da troppi anni. Valditara ha appena scritto il libro Giudici e legge che vorrebbe essere una meditazione scientifica e tecnica sulla magistratura tricolore, ma basta sfogliare quelle trecento pagine dense di citazioni per incrociare l’attualità bruciante, le polemiche chi si ripetono sempre uguali, le esternazioni del partito dei giudici e di tutto l’armamentario del giustizialismo italiano.
Professor Valditara, perché parla di anomalie italiane?
«Perché le continue invasioni di campo delle toghe non nascono per caso».
Più d’uno a sinistra ci aveva spiegato che i giudici alzavano la voce per rispondere alle provocazioni e agli sconfinamenti di Berlusconi.
«Ma no. Quella è una battaglia dentro una guerra molto più lunga e complessa. Bisogna tornare indietro agli anni ’50».
No, un attimo, partiamo dalla diagnosi: qual è la malattia?
«Gliel’ho detto: i giudici italiani si considerano in qualche modo i depositari della volontà popolare e di fatto scrivono e riscrivono le leggi, le interpretano, le disapplicano, fanno un po’ quello che gli pare».
Non le pare di esagerare?
«Ma no. Sono loro a parlare di tutte queste cose. Prendiamo il testo della norma sulla legittima difesa, modificato nel 2006».
D’accordo, ma che c’entra?
«C’entra perché la modifica è stata di fatto annullata dai giudici che, interpretando le parole, spesso finiscono per rimettere il padrone di casa che si ribella ai ladri sul banco degli imputati. L’esatto opposto di quel che voleva il legislatore».
Ma come è possibile?
«Non solo è possibile, questo è solo un episodio dentro una strategia molto più aggressiva».
Addirittura?
«La sentenza che riguarda il rapporto fra la Renault e le concessionarie arriva ad un punto estremo: il giudice è autorizzato a modificare il contratto fra le parti. Non so se ci rendiamo conto della portata di questa considerazione: c’è un contratto e la toga lo modifica in base a sue valutazioni. Altro che equilibrio fra i poteri. Qua il partito dei giudici fa e disfa a suo piacimento. E d’altra parte, la sentenza numero uno della Corte costituzionale, nel 1956…»
Si fermi, non possiamo tornare all’ormai lontano 1956.