Tra archiviazioni, proscioglimenti, e assoluzioni le inchieste sulla ricostruzione del Belice si sono concluse, quasi sempre senza colpevoli. L’ultima sentenza su quello che i giornali hanno descritto come un caso emblematico del “sacco del Belice” – come riportato dal l’Ansa – e’ stata emessa 29 anni fa: tutti assolti gli imputati, che erano stati arrestati con accuse molto pesanti. Da allora non e’ accaduto piu’ nulla.
Cosi’ si puo’ dire che, almeno sul fronte giudiziario, il caso Belice e’ dai movimentati anni 90, definitivamente chiuso. Ben altre erano le aspettative suscitate dalle numerose iniziative della magistratura. Senza tema di smentita si può affermare che il sacco del Belice è continuato anche negli anni 90 . La mafia, lo dicono tante indagini, ci ha sguazzato per decenni. La commissione di inchiesta del Senato aveva elencato negli anni 80 oltre una trentina di casi aperti negli uffici giudiziari di Trapani, Agrigento, Sciacca, Marsala e Palermo. Un’indagine complessiva , un processo ,sui ritardi ,sulle distorsioni e sulle infiltrazioni mafiose nei piani di ricostruzione e nei piani regolatori modificati per far arricchire famiglie non solo mafiose del territorio purtroppo non c’e’ mai stata. Sono state invece aperte inchieste che hanno messo a fuoco solo casi particolari. E questa lettura parcellizzata ha impedito che il giudizio politico, fortemente critico, su cio’ che nel Belice e’ accaduto trovasse riscontro nelle aule di giustizia. Anche dai singoli casi e’ stato pero’ possibile ricavare una visione d’insieme sulle cause del grande scandalo.Il sacco del Belice che ha fatto guadagnare montagne di soldi agli amici del “coppo” è stato l’ esempio del funzionamento quasi perfetto del sistema corruttivo che metteva insieme , mafiosi, imprenditori, politici e pezzi dello Stato a vario livello. Il comune denominatore erano i soldi. Tantissimi i miliardi gestiti per opere inutili e dove il sistema si ingrassava.
Da un’analisi dei tanti filoni giudiziari aperti la commissione del Senato ha fissato le distorsioni piu’ emblematiche: “la abnorme dilatazione della spesa, la ipertrofia delle perizie suppletive e di variante, l’ampiezza patologica delle proroghe, la cattiva esecuzione delle opere, la inefficienza dei controlli sull’attivita’ degli appaltatori”. Sotto la lente di ingrandimento dei magistrati con la vista buona, era finita soprattutto la gestione degli appalti con l’opaco corollario di affari, scambi di favori tra politici e imprenditori, interessi illeciti, clientele. Tutto questo ha comportato una dilatazione della spesa che è sfuggita a un controllo sistematico. Ma un’idea sulle cause che hanno inceppato la macchina della ricostruzione e sulla dilatazione della spesa si puo’ ricavare almeno da due casi. A Menfi la costruzione di un lotto di case popolari doveva essere ultimata nell’agosto 1972. Ma i lavori si sono protratti fino alla fine del 1975 e sono costati un miliardo e 747 milioni di lire contro i 378 milioni preventivati. Ancora piu’ grave il caso di Salemi, uno dei paesi meno danneggiati dal terremoto. L’Ises, l’ispettorato per le zone terremotate creato per coordinare la ricostruzione, aveva appaltato due lotti per 135 alloggi popolari. Ma sull’appalto all’impresa di Giuseppe Pantalena aveva indagato il pm Giangiacomo Ciaccio Montalto (poi ucciso dalla mafia nel 1983) e l’inchiesta era sfociata nell’arresto dello stesso Pantalena, del direttore dei lavori Giovanni La Rocca e di tre funzionari: Arrigo Fratelli, capo dell’Ises, Salvatore Maligno e Stefano Tedesco del Genio Civile di Trapani. Erano accusati a vario titolo di avere messo in piedi un sistema di aumenti ingiustificati fino al 35%. Il resto lo avevano fatto le perizie di variante che, oltre a ritardi consistenti, avevano provocato una lievitazione dei costi da 2 miliardi e 720 milioni di lire a 8 miliardi e mezzo. Dopo le condanne di primo grado, tutti sono stati poi assolti nel 1990 a 22 anni dal terremoto e 12 dall’avvio dell’inchiesta.
Sul grande affare del terremoto e’ sempre aleggiata l’ombra degli interessi criminali e in qualche caso mafiosi. Ma solo in un caso il coinvolgimento di Cosa nostra e’ stato dimostrato in un processo che non riguardava direttamente l’affare della ricostruzione ma l’uccisione del giornalista Mario Francese che per il Giornale di Sicilia aveva curato un’inchiesta sui terreni sui quali e’ stata costruita la diga Garcia. Francese aveva rivelato che su una delle opere per le quali erano state promosse da Danilo Dolci grandi mobilitazioni popolari Toto’ Riina aveva organizzato un sistema di appropriazione dei terreni da espropriare. Francese, hanno poi accertato i giudici che hanno condannato Riina all’ergastolo, sarebbe stato eliminato proprio per avere rivelato l’interesse della mafia sulla diga che ora e’ intestata proprio al giornalista.
Insomma , sul Belice la giustizia non è mai arrivata. Così come i sequestri. In quel tempo i metodi Saguto non esistevano. Centinaia di Miliardi di vecchie lire sono finiti per anni , in un sistema che, senza dubbio, era infiltrato dalla mafia e che mafia. Ancheuno stupido oggi si chiderebbe: dove sono andati a finire i lauti guadagni del saccodel Belice? Come hanno fatto mafiosi, politica e burocrati a far sparire i soldi dei vergognosi affari del Belice? .Sono stati bravi. Le vergogne nelle inchieste sono finite nel nulla e i soldi ? Pure.Falcone e Borsellino avevano già capito che sulla ricostruzione del Belice erano stati spesi tanti miliardi finiti sicuramente nelle mani dei corleonesi e del loro amici trapanesi . Loro sono stati ammazzti e le loro indagini che seguivano i soldi anche. Quando lo Stato ha cominciato a sequestrare,probabilmente, i grandi furbi, avevano già il loro tesoro derivato dalla corruzione e mafia, molti ben nascosto e chissà dove.Un tesoro che, verosimilmente,ha anche generato guerre di mafia e omicidi eccellenti.Forse ,un giorno, qualcuno dei protagonisti di quel periodo, potrebbe lavarsi la coscienza e dire la verità.Tanto i reati sono ormai prescritti .Lo facciano magari ,per i tanti giovani a cui hanno tolto il futuro, per la loro ingordigia e arroganza. In ogni caso, rimarrà sempre il dubbio su un fatto semplice: molti soldi di quel sacco sono ancora nelle mani di chi li ha fottutti? E Matteo Messina Denaro cosa sa di quel periodo? Cosa possiede ancora di quel tesoro?
Fonte: comunicare