A 31 anni di distanza dall’uccisione del giornalista Mauro Rostagno, avvenuta a Valderice (Trapani) il 26 settembre 1988, il gup del Tribunale di Trapani, Emanuele Cersosimo, ha rinviato a giudizio tredici testi con l’accusa di aver testimoniato il falso nel corso del processo di primo grado.
Imputati, al processo che inizierà il prossimo 9 aprile, sono il luogotenente dei carabinieri Beniamino Cannas, il luogotenente della guardia di finanza Angelo Voza, Caterina Ingrasciotta, editore di Rtc, Natale Torregrossa, Leonie Chizzoni Heur, vedova del generale dei Servizi Angelo Chizzoni, il giornalista Salvatore Vassallo, Antonio Gianquinto, Liborio Fiorino, Salvatore Martines e Rocco Polisano.
La Corte d’Appello di Palermo, lo scorso anno, aveva confermato la condanna emessa in primo grado al boss Vincenzo Virga, quale mandante dell’omicidio del giornalista, assolvendo invece il presunto killer Vito Mazzara.
Un omicidio, quello di Rostagno, sul quale si sono sempre generati non pochi interrogativi, a tal punto che i giudici della Corte d’Assise non hanno esitato a parlare di depistaggio. Nel corso del processo di primo grado, oltre le testimonianze che hanno portato all’incriminazione dei testi rinviati a giudizio, è stato sentito un testimone che ha dichiarato di aver commesso un omicidio rimasto impunito.
Vincenzo Calcara, ex pentito assai discusso, già condannato per aver ucciso Francesco Tilotta, al quale aveva truffato un milione di vecchie lire, che la vittima chiedeva gli fossero restituite, nel corso della sua deposizione ha narrato di un altro omicidio commesso.
Come riportato dalla sentenza di primo grado del processo Rostagno, “sull’omicidio Tilotta il sedicente collaboratore di giustizia (Calcara – ndr) ha reso dinanzi a questa Corte dichiarazioni assolutamente sconcertanti.
In un primo tempo lo ha annoverato tra i reati che ha commesso per conto di Cosa Nostra, che ha confessato al dott. Borsellino e per i quali è stato condannato. Ha precisato di averlo commesso nel gennaio del 1977. Poi, alla fine della sua deposizione, su domande della Corte, ha prima confermato di avere commesso un solo omicidio; di essere stato condannato per un omicidio.
E di esserne stato l’esecutore materiale avendo sparato. Quando però gli è stato chiesto con che arma avesse sparato, ha tergiversato dicendo che dopo 35 anni non può ricordarlo; e inopinatamente se ne è uscito con una verità inedita: dell’unico omicidio per cui è stato condannato, si è sempre proclamato innocente e lo è perché in effetti l’omicidio che ha commesso è un altro.
Avvalendosi della facoltà di cui all’art. 198, comma 2 c.p., non ha però voluto aggiungere altro: né chi fosse la vittima, e quando sia stato commesso questo misterioso omicidio, né se ne abbia ai riferito all’autorità giudiziaria (…)
Volendo tentare di ricomporre queste dichiarazioni in una versione unitaria e coerente si può, non senza sforzo, concludere che il Calcara ha concorso alla realizzazione dell’omicidio Tilotta, ma se ne è sempre proclamato innocente nel senso che non è stato lui, materialmente a sporcarsi le mani di sangue, cioè a sparare. Ma resta il dato, devastante per la genuinità della collaborazione, di un altro omicidio mai confessato ed effettivamente commesso, questa volta, sporcandosi le mani, cioè sparando lui personalmente.”
Un omicidio per il quale – come dal Calcara stesso affermato nel corso di recenti conversazioni telefoniche – “il sedicente collaboratore di giustizia” non è mai stato neppure indagato, adducendo – nel corso della telefonata – la folle motivazione che non sarebbe stato indagato in quanto avrebbe ucciso per difendere un altro soggetto, facendo rientrare tale azione in una sorta di legittima difesa.
Calcara ci ha ormai abituati alle sue fantasiose ricostruzioni dei fatti, coinvolgendo in maniera vergognosa persone che ben altra stima e rispetto meritano, come nel caso del Giudice Paolo Borsellino del quale ha affermato che lo fece uscire dal carcere nonostante la legge non prevedesse questa possibilità.
Insignificanti, inoltre, ai fini processuali, le dichiarazioni rese dal teste Calcara in merito all’omicidio Rostagno.
“Di mero chiacchiericcio o al più opinioni, pareri e convinzioni si deve parlare con riferimento invece alle testimonianze di altri due collaboratori di giustizia o sedicenti tali, quali Rosario Satola e Vincenzo Calcara – scrivono i giudici del processo Rostagno esprimendo in più passaggi della sentenza un giudizio severissimo su questa “figura molto discussa di collaboratore di giustizia”.
Calcara, è bene ricordare che ha anche affermato di aver trasportato il tritolo per l’attentato al Giudice Paolo Borsellino. Anche in questo caso non ci si risulta sia mai stato indagato e punito per aver concorso alla strage di via D’Amelio.
Può la scarsa considerazione che si ha di questo sedicente pentito, impedire l’apertura di indagini a suo carico finanche dinanzi l’ammissione in un’aula giudiziaria di un omicidio rimasto impunito?
“Ho commesso un omicidio, ma…” e qui i ma cominciano a essere troppi…
Gian Joseph Morici