Strage di via d’Amelio, il Viminale chiede i danni ai poliziotti accusati del depistaggio: 60 milioni
Prima udienza del processo per il dirigente e i due sottufficiali accusati di aver costruito il falso pentito Scarantino
GLI IMPUTATI
Nell’aula del tribunale di Caltanissetta ci sono i componenti del gruppo di indagine sulle stragi finito sotto accusa: gli ispettori (oggi in pensione) Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, il dirigente Mario Bò. A loro si era rivolta, in una pausa dell’udienza preliminare, Fiammetta Borsellino: “Aiutatemi a trovare la verità”, aveva detto. Agli atti dell’inchiesta, ci sono gli appunti che l’ispettore Mattei passava a Scarantino, per indottrinarlo a dovere prima delle audizioni con i magistrati. “Da chi aveva ricevuto l’ordine?”, è la domanda che Fiammetta ribadisce. Una domanda ancora senza risposta.
Però, adesso, i poliziotti annunciano che daranno battaglia. “Nell’inchiesta sulla strage Borsellino non ci fu mai alcuna iniziativa autonoma della polizia”, ha spiegato il legale del dottore Bò, Nino Caleca, presentando la lista dei testimoni chiamati a deporre. Bò fu responsabile del gruppo Falcone e Borsellino, ora chiama in aula i pubblici ministeri dell’allora procura di Caltanissetta: Fausto Cardella, Annamaria Palma, Carmelo Petralia, Nino Di Matteo, Francesco Paolo Giordano, Roberto Saieva. E, poi, anche Ilda Boccassini, che per un certo periodo fu applicata in Sicilia, ma poi andò via perché non credeva più alla collaborazione di Vincenzo Scarantino, il falso pentito creato ad arte (da chi?).
Bò (in servizio a Trieste) e gli altri due poliziotti in pensione sono imputati di calunnia, con l’aggravante di aver favorito l’organizzazione mafiosa. “Servitori dello Stato hanno deviato il corso delle indagini”, dice in aula il procuratore aggiuinto Gabriele Paci, accanto a lui c’è il procuratore capo Amedeo Bertone