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LA VALLE DEI MISTERI
Perche è stato ucciso. Quale è stato il vero movente? Chi prese il comando politico a Castelvetrano dopo la sua eliminazione?
Lipari morì perche disse NO Ai corelonesi che volevano “conquistare” Castelvetrano con i loro sporchi affari? Vi presentiamo una attenta ricostruzione dei fatti attraverso la consultazione di archivi
A chi giovò la morte di Lipari a Castelvetrano?
Dirigente del Consorzio sviluppo industriale di Trapani. Dirigente della Democrazia Cristiana, fu sindaco di Castelvetrano (TP) dal 1974 al 1976. Vicino alle posizioni dell’allora ministro della Difesa, Attilio Ruffini[1].
Tornato sindaco dall’ottobre 1978 all’aprile 1979, alle elezioni politiche del 3 giugno 1979 risultò primo dei non eletti alla Camera dei deputati nella lista DC nella circoscrizione Sicilia Occidentale[2] dove, sostenuto dagli esattori Ignazio e Antonino Salvo, della stessa corrente Dorotea, ottenne ben 46 000 preferenze.[3]
Divenuto segretario provinciale della DC e tornato sindaco da appena un mese, venne assassinato il 13 agosto 1980 dopo essere uscito dalla sua casa nella frazione marinara di Triscina a colpi di pistola tra cui quello di grazia alla testa. Lipari aveva creato attorno a se un gruppo di giovani politici che lo seguiva. Era un emergente. Un leader. L’unico che politicamente sapeva imporsi nel contesto provinciale a favore della sua città

Cosa sapeva? A chi diede fastidio?
Secondo una ricostruzione investigativa, Lipari era al corrente degli imbrogli organizzati per la ricostruzione del Belice. Sapeva, per esempio, che tutto il piano di ricostruzione della zona compresa tra Castelvetrano e Gibellina era falso. Il cosiddetto Piano Comprensoriale n. 4 a cui seguì negli anni 90 il il nuovo piano regolatore di Castelvetrano . Ci vollero molti anni per avere un piano regolatore. Molti sindaci di Castelvetrano sono andati a sbattere contro questo piano.Solo Beppe Bomgiorno ci riusci con il silenzio assenso regionale dando il via alla maxi espansione di Castelvetrano
Delitto comandato dalla mafia, sentenziano gli inquirenti.
Vito Lipari era un personaggio importante della DC e puntava molto in alto. Sindaco dal 1968, alle elezioni politiche aveva ottenuto 40 mila voti di preferenza, risultando nella Sicilia occidentale il primo dei non eletti alla Camera. A poco più di quarant’anni, vantava amicizie e protezioni forti e sicure. Per esempio, quelle dell’ex ministro Attilio Ruffini, e poi quelle della famiglia Salvo, gli esattori, parenti di Luigi Corleo, il ricchissimo e vecchio proprietario terriero sequestrato e mai più tornato a casa. In quella guerra di mafia diverse furono le vittime . Nel 1982 scompare, dopo un interrogatorio con la polizia di Palermo,anche L’ingegnere Ignazio Lo Presti, fratello di Gino Lo Presti uomo forte di Mimmo Turano. Lo Presti ,ex funzionario alla Regione in pensione, per molti anni è stato stretto collaboratore tecnico ,con contratti di decine di migliaia di euro specifici e in comando, del deputato Mimmo Turano. Turano ha sempre avuto Lo Presti e Cascio che è anche presidente del consiglio comunale di Salemi. I due già dai tempi della gestione dell’assessorato agli enti locali nel 2001 erano vicino a Turano. Anche nell’ esperienza alla Provincia di Trapani dove Turano diventa presidente con l’ appoggio di Mannino ,D’ ali e Culicchia . Oggi Turano è assessore regionale alle Attività Produttive. Lo Presti e la sua famiglia lo hanno sempre votato. Turano , con la complicità politica di Massimo Grillo , a soli 32 anni, diventa deputato , battendo il castelvetranese Ninni Fiore , persona di grande spessore , finito nella trappola di Turano e Grillo che nel frattempo era diventato amico di Gianni Pompeo . I famosi ” mangrilliani’
La morte di Vito Lipari potrebbe avere diversi collegamenti indiretti con le attività dei Salvo che controllavano molte cose dell’economia trapanese. La sua morte fa diventare Castelvetrano terra di conquista politica
A Salemi i Salvo dominavano tutto. Il sindaco Cascio( sindaco per 20 anni , avvocato, arrestato nel 1984 insieme ad un figlio dei Salvo in operazione antimafia) padre di Lorenzo Cascio, attuale collaboratore dell’assessore Turano , era un loro punto di riferimento negli anni della ricostruzione del Belice
Pochi sanno che i Salvo avevano avviato la richiesta di costituzione
con autorizzazione, per una cassa rurale di Salemi da parte di un gruppo di associati il cui rappresentante amministratore si chiamava Ignazio Lo Presti notoriamente vicino ai Salvo. Ignazio Lo Presti non era uno qualunque. A Ignazio Lo Presti costruttore (scomparso insieme al suo autista sospetta lupara bianca)fece seguito come amministratore rappresentante che diventerà potente :l’ex deputato amico di Andreotti, Giuseppe Giammarinaro, anche lui molto vicino ai Salvo che divenne deputato nel 1990 . Vicino ai Salvo c’era pure Totò Grillo padre di Massimo Grillo
Quella richiesta nei primi del ’76 non fu mai dotata di parere favorevole e non ebbe mai finché rimase
Piersanti Mattarella all’Assessorato al bilancio, quindi per altri due anni e più e poi Presidente della Regione
Ebbe un parere favorevole a fine del 1980. Lipari era stato ucciso e prima di Lui Mattarella. La Banca D’Italia la bloccò. Si sospettò subito di infiltrazione di mafia . Di chi erano i soldi da mettere in quella banca?Forse non lo sapremo mai. Ciò che precede la morte di Lipari è molto confuso e costellato da diversi episodi. Perche Ignazio Lo Presti scompare nel nulla?
Ma i killer di Vito Lipari non avevano previsto tutto. Nel cassetto della sua scrivania, il sindaco di Castelvetrano aveva conservato le prove, nero su bianco, degli intrallazzi del Belice. E cioè il piano del quarto comprensorio che comprende dieci Comuni, tra cui Gibellina, Partanna, Salaparuta, Campobello, Castelvetrano. Il documento, nella versione “vera” e in quella “falsa” (e vedremo più avanti cosa significa), passa prima dalle mani dei carabinieri di Castelvetrano al sostituto procuratore della Repubblica, Fausto Cardella, e poi al sostituto procuratore di Palermo, Francesco Scozzari.
E le indagini prendono una svolta clamorosa, perché accertano che il piano del quarto comprensorio del Belice può essere la causa anche dell’assassinio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione, ucciso il 6 gennaio 1980. Gli inquirenti sono convinti, infatti, che tra gli omicidi Mattarella e Lipari ci sia un collegamento diretto. Dalle prove balistiche risulta che i proiettili che hanno ucciso il presidente della Regione presentano sorprendenti analogie con quelli estratti dal cadavere di Lipari. Più tardi si scopre che la stessa P38 special è stata utilizzata per portare a termine anche un altro delitto mafioso.
Ma esistono altri motivi per ritenere che i due omicidi abbiano la stessa matrice. Piersanti Mattarella aveva voluto rivedere, a partire dall’autunno 1979 i piani di ricostruzione del Belice, e sul famoso piano numero quattro aveva fissato la sua attenzione, perché aveva deciso di scoprire da chi e per quale motivo era stato falsificato. D’altra parte, Vito Lipari, sette mesi dopo la morte di Mattarella, custodiva ancora gelosamente il piano, nella versione vera e in quella falsa, e come sindaco di Castelvetrano era direttamente coinvolto nella vicenda.
Ma cos’è esattamente il documento che è costato la vita di Lipari e forse di Mattarella? Si tratta dei piani urbanistici relativi al quarto comprensorio della Valle del Belice che comprende dieci Comuni: complessivamente un territorio di 77 mila ettari con una popolazione di circa 100 mila persone. Fu il presidente della Regione, il democristiano Angelo Bonfiglio, che nel maggio del 1977, si dice per fare dispetto ai socialisti, affidò all’ispettore della presidenza regionale l’indagine sul quarto comprensorio. L’ispettore scoprì che gli atti che aveva esaminato erano falsi. Chi aveva interesse a falsificarli? Nel 1972, il gruppo regionale del Psi aveva presentato un emendamento per cui i piani particolareggiati del piano numero quattro non solo potessero essere elaborati prima che il piano stesso fosse approvato, ma addirittura che venissero resi esecutivi senza nessuna approvazione. Il tentativo dei socialisti fu bloccato dall’intervento del comunista Pancrazio de Pasquale e dal democristiano Gaetano Trincanato, che riuscirono a sventare la manovra.
L’emendamento non passò, ma il piano numero quattro sparì. Al suo posto circolò una versione “rettificata” che ha permesso di costruire migliaia di alloggi laddove il piano vero prevedeva verde a rispetto del parco archeologico e di alterare completamente i valori immobiliari dell’intero territorio su quale, poi, ha scorazzato la mafia degli appalti.
Ma sull’intera vicenda grava il mistero. Chi ha, infatti, falsificato il piano? Chi ha intascato i quattrini? Perché Lipari conservava le due versioni del piano? Nessuno lo sa. Per fare luce su questi torbidi retroscena, sugli assassini e sulle ruberie, era stata istituita una commissione parlamentare d’inchiesta. La commissione ha finito i suoi lavori e nulla è trapelato. Li aveva inaugurati la mattina di mercoledì 12 dicembre 1979. In tutto, quarantuno sedute. Il presidente, Luciano Dal Falco, ha consegnato la relazione conclusiva ai presidenti della Camera e del Senato. Sono 690 pagine, fitte di cifre e di date. In realtà, a leggerle bene, sembra di sfogliare l’album completo dei misteri della Valle del Belice. Perché gli interrogativi per tanti anni restano più inquietanti di prima.
E i morti ammazzati, le faide mafiose, le risse politiche, gli intrallazzi dei funzionari pubblici, le ingordigie dei costruttori, le tentazioni dei ministri, la spesa di 1.833 miliardi? Non c’è traccia: tutto è stato appiattito e sdarmmatizzato: è come se un “giallo” così denso di colpi di scena fosse stato affidato alla penna di Liala, quando tutti si aspettavano quella di Leonardo Sciascia. Nomi non ci sono: ministri, funzionari, palazzinari: chi sono? Di fronte alle sfacciate ruberie di costruttori protetti dalla lupara, la commissione parlamentare non ha battuto ciglio. Sulla vicenda della costruzione della diga di Gracia, uno dei capitoli più sanguinosi della storia mafiosa degli anni ’80, la relazione della commissione così si esprime:”non si evidenziano apparenti anomalie nell’appalto dei lavori”.
Di fronte alla lievitazione dei costi dell’esproprio dei terreni, che dagli iniziali 2,587 miliardi sono passati a 21,085 miliardi, la commissione finalmente si scuote e riesce a dire: “Questo appare davvero piuttosto forte”.
Nemmeno di fronte al rapporto della Guardia di finanza sulle irregolarità nell’aggiudicazione degli appalti, la commissione s’impressiona. Che c’è di strano se l’importo iniziale di 44 miliardi previsto per i lavori di trasferimento di alcuni abitati sale senza una plausibile giustificazione a 165 miliardi?
Ed è stata subito battaglia. Appena conclusi i lavori della commissione, i comunisti sono partiti all’attacco accusando tutti: democristiani, socialisti e repubblicani, colpevoli, secondo loro, di avere firmato la relazione di maggioranza. I comunisti hanno presentato una loro relazione firmata dall’onorevole Agostino Spataro che definisce generica la relazione di maggioranza dove “tutto appare da condannare e nello stesso tempo da assolvere”. Un’altra relazione di minoranza è stata presentata dal Msi ed è firmata da Guido Lo Porto. I democristiani hanno reagito prendendosela con i socialisti, ricordando che Salvatore Lauricella e Giacomo Mancini sono stati ministri dei Lavori Pubblici negli anni caldi del Belice. I socialisti hanno replicato, prima, ai democristiani, facendo i nomi di due ministri dei Lavori Pubblici anch’essi implicati nel Belice, Lorenzo Natali e Antonino Gullotti; e, poi, ai comunisti, ricordando che molti sindaci dei Comuni del Belice hanno la tessera del Pci. Ad attizzare il fuoco è intervenuto il repubblicano Enrico Ermelli Cupelli che, dopo aver votato la relazione di maggioranza, ha chiesto che gli atti della commissione venissero inviati alla Procura generale presso la Corte d’Appello di Palermo.
Sul ruolo della magistratura siciliana nelle vicende della ricostruzione del Belice sono tutti d’accordo. E’ stata assente di fronte agli intrallazzi e agli omicidi, e alle sfide della mafia. A Palermo, Sciacca, Trapani e Marsala sono in corso complessivamente 27 inchieste che non fanno progressi. Fino a tutto il 1980 risulta adottato un solo provvedimento restrittivo seguito comunque dalla libertà provvisoria. Non verrà emessa nessuna sentenza di condanna. Ma i comunisti sono decisi a fare del Belice il loro cavallo di battaglia . Il loro intento era quello di sollecitare la magistratura a iniziare inchieste sui casi più clamorosi di furfanterie avvenute nella valle del terremoto dal ’68 in poi. Con la speranza di vedere implicati, finalmente, i nomi di qualche ministro dei Lavori Pubblici. Così scatterebbe l’intervento della commissione inquirente.
Gli altri patiti rispondono con il silenzio. Il caldo, la noia, pensano, aiuteranno a dimenticare questa interminabile vicenda. E come primo traguardo si propongono di ostacolare la pubblicazione delle tre relazioni di maggioranza e di minoranza. E tutto finisce nel dimenticatoio. A distanza di 37 anni dall’omicidio di Lipari molte cose rimangono incomprensibili
Fonte : Documenti
Il Circolaccio |