Le accuse dagli investigatori della Divisione distrettuale Antimafia di Palermo, che stanno indagando su un imprenditore in odore di mafia, Giovanni Savalle, che avrebbe ottenuto un finanziamento da Banca Etruria di un milione e mezzo di euro in un periodo in cui le aziende del suo gruppo erano prossime al fallimento, tramite Alberto Rigotti.
Era il 23 maggio 2009 quando il CDA di Banca Etruria decise di silurare Elio Faralli in favore del suo vice Giuseppe Fornasari.
Con il “senno di poi” possiamo affermare oggi che era chiarissimo che la banca traballava già da allora e della questione erano al corrente un po’ tutti. Ma cosa era successo nel decennio precedente, da trasformare una piccola ma solida banca di provincia, in una mina vagante pronta ad esplodere?
Ben lontana era ancora la chiamata nel CDA di quel Pierluigi Boschi che è finito nel girarrosto come un pollo e che tanti guai ha portato al governo Renzi. Fu trascinato in questo calderone dalla propria ambizione (comprensibile) e dalla speranza del cda della banca di ingraziarsi i favori dell’astro nascente, ma che alla fine ha permesso a Travaglio di scrivere giornalmente sparando addosso alla figlia, rea della gravissima colpa di aver cercato qualunque soluzione alternativa alla dichiarazione di insolvenza, forse poprio per evitare che l’ambizione del padre travolgesse anche lei.
In realtà in Banca Etruria furono sostanzialmente inesistenti le infiltrazioni della politica perchè a differenza del Monte dei Paschi, la politica non ha mai trovato alcun interesse in una banchetta di provincia.
Era stata estromessa da oltre un decennio anche la massoneria e proprio dall’ex presidente massone, che voleva godere del completo controllo senza che alcuno potesse fargli ombra.
Simboliche le presenze delle associazioni territoriali, che mandavano un rappresentante a firmare e chiudersi gli occhi. Quando però fu fatto entrare Benito Butali, alle cui spalle operavano e lavoravano professionisti preparati, questi si dimise a tempo di record, rifiutandosi di firmare e sottoscrivere alcun bilancio.
Sembra passato un secolo ed invece parliamo di poco piu’ di un decennio fa.
Quel 23 maggio del 2009 però resta una data decisiva. La defenestrazione del vecchio presidente è pronta. La situazione della banca pretende che si prendano subito decisioni drastiche. Il CDA si prepara al golpe interno. Ma succede qualcosa di inaspettato: in un CDA composto da 15 membri, i voti sono 7 contro 7. Manca il 15mo quello di Alberto Rigotti.
Il finanziere (già sotto processo per il fallimento di una catena di giornali), chiamato nel cda dallo stesso Faralli, per statuto non poteva votare, essendo ormai già sforato pesantemente negli affidamenti goduti presso Banca Etruria.
Rigotti, vecchio amico di Marcello Dell’Utri, è finito in seguito pesantemente nei guai: nel giugno del 2014 è stato arrestato per la bancarotta della catena di giornali locali “e-polis”. Da imprenditore ha fatto affari in molti settori: dalla fibra ottica alle autostrade, passando per le costruzioni. Acquista anche il 40% della Torno, impresa di costruzioni che ha interessi nell’Expo 2015. In campo editoriale c’è anche la catena di giornali freepress Epolis, fondata da Niki Grauso.
Nel 2007 aveva ottenuto da Faralli, un prestito di 12,5 milioni di euro con una delle sue tante holding, la lussemburghese Abm Network Investment, soldi concessi mentre era membro del Cda di Banca Etruria e mai restituiti. Quando riceve il prestito, la holding di Rigotti è già in perdita per 4 milioni di euro e nel 2010, dopo che aveva già lasciato il CDA della banca, è arrivata l’istanza di fallimento del tribunale lussemburghese.
Nel 2009 dunque la situazione era pesante e gli sforamenti in conto assai pericolosi.
Ma quel 23 maggio accadde qualcosa di miracoloso: in poche ore, attraverso una serie di bonifici di cui non è mai stata chiarita la provenienza e men che meno attraverso quali garanzie e prestate da chi, (alcuni beni informati raccontano che provenissero dalla Emilia Romagna) la posizione di Rigotti viene sanata. Almeno il tempo necessario a permettergli di votare. Forti sono i dubbi in merito alla regolarità di quella votazione, ma ormai son passati 9 anni e nessuno ha voglia di scavare così tanto, eppure a rigor di logica, quella stessa votazione avrebbe permesso a Bankitalia, che pare ne fosse assolutamente consapevole, di entrare immediatamente e con entrambi i piedi nella gestione di BE. Potere che non sempre coincide con volere.
Ma le nuove accuse a Rigotti non arrivano dal tribunale di Arezzo, ma dagli investigatori della Divisione distrettuale Antimafia di Palermo, che stanno indagando su un imprenditore in odore di mafia, Giovanni Savalle, che avrebbe ottenuto un finanziamento da Banca Etruria di un milione e mezzo di euro in un periodo in cui le aziende del suo gruppo erano prossime al fallimento e proprio tramite Alberto Rigotti.
Gli importi e i beni di cui si parla sono ingenti: il sequestro a Savalle, che nel tempo avrebbe goduto dell’appoggio di influenti esponenti dell’associazione mafiosa come Filippo Gottaduro, cognato di Matteo Messina Denaro, Rosario Cascio, Giovanni Becchina, Girolamo Bellomo e Giuseppe Grigoli, riguarda 22 complessi aziendali, 12 pacchetti di partecipazione a società, 28 rapporti bancari, 47 fabbricati, 8 autoveicoli e il resort di lusso di Mazara del Vallo Kempinski.
Rigotti avrebbe indotto il cda e il collegio sindacale a concedere il prestito nonostante le difficoltà in cui si trovava Banca Etruria.
Savalle portò in Banca due scatole vuote e ottenne un mutuo.
«Quello che emerge dalle indagini, condotte dalla Procura di Arezzo – ha dichiarato Danilo Persano, colonnello del Gico della Guardia di Finanza – è che Rigotti e Savalle avevano un rapporto privilegiato tale da far ottenere un finanziamento che nessuno altro avrebbe ottenuto».
Nel 2009, subito dopo il voto che farà decadere Faralli, il finanziere esce dal consiglio di Banca Etruria. Al posto di Rigotti entra un’altra vecchia conoscenza come Felice Emilio Santonastaso, già amministratore delegato e poi presidente del gruppo pubblico Italstat tra il 1985 e il 1991. Anche Santonastaso conosceva bene Rigotti e anche lui aveva seguito da vicino l’operazione “e-polis”.
Una storia lunga e complessa, che adesso che si è posato il polverone mediatico della fuffa, dovrà essere scritta attraverso le carte – questa volta vere – degli investigatori.
Questa volta veri anche loro!
Fonte: InfomaArezzo
Il Circolaccio