Il “caso Ingroia” è qualcosa di più di uno scivolone di un personaggio marginale ed un po’ grottesco, tipico di un’epoca, che ha tentato il passo più lungo della gamba,
Non dimentichiamo che è stato proprio Ingroia, nel presentare un suo progetto di “sistema penale” ispirato ai principi di quello nazista, per il quale i reati vanno puniti prima che siano commessi da quelli che “sono capaci di commetterli”, a lanciare un appello ai “Cinque Stelle” perché “uscissero da loro isolamento” e si facessero propugnatori di tale sua innovazione del diritto e della convivenza civile.
La vocazione, peraltro, di questo grottesco personaggio per gli “aspetti collaterali”, del potere del Partito dei Magistrati e della sua ala estremista Palermitana, non è mai stata una novità. Ma lo scivolone, che interviene proprio nel momento in cui i Grillini fanno irruzione fuori “dell’isolamento” e rischiano di rinchiuderci gli altri, ne fa, proprio in quella che sembra sia la sua caduta un po’ vergognosetta un protagonista di una fase mai realizzata se non nella sua fine ingloriosa.
Che, poi, la fine del personaggio Ingroia (se di fine si tratta) chiuda la prospettiva di un altro e più radicato e pericoloso connubio dei “5 Stelle” col Partito dei Magistrati è cosa purtroppo ben diversa.
Mentre la figura di Ingroia svanisce nella nebbia del grottesco e del solito affarismo, la figura di Di Matteo, ritenuto suo allievo e pupillo, rimasto fuori dei poco fortunati conati elettorali dell’ala “tutto e subito” della magistratura, pur essendo interrotto il flusso del conferimento delle cittadinanze onorarie, collezione non utilizzata sul piano elettorale cui sembrava destinata (l’ultima “cittadinanza onoraria” l’hanno data alla moglie, aprendo una nuova categoria di “eroine coniugali dell’antimafia”) non solo non esce di scena col suo “maestro”, né solo si prepara a resistere alle evenienze della conclusione dell’ultradecennale processo della “Trattativa”. Di Matteo si sente un maestro, un uomo cui la Patria, distratta da bazzecole, dovrebbe guardare per farsi indicare la via della grandezza e dei successi. Lancia severi ammonimenti, non solo alla “vecchia” classe dirigente, non solo ai colpevoli e presunti tali di “trattative”, ma anche ai giornalisti, a quelli su cui contava il suo maestro Ingroia, ma anche ai Di Maio, ai nati dopo che il delitto della trattativa tra il bene ed il male, con la redazione del “papello” era stata già consumata. Dove hanno lasciato l’impegno fondamentale, la nuova Bibbia politico-sociale, l’Antimafia? Perché l’hanno lasciata fuori della campagna elettorale?
Questo Di Matteo assume ora toni patetici. Collezionista di onori, di cittadinanze, di titoli di credito per una clamorosa irruzione in politica, rischia di vedere tutti quei titoli, tutto quel ben di Dio, ridotto a ben poco da una sciagurata inflazione.
E gli altri? Si direbbe che, mentre l’erosione del sistema liberale, democratico, parlamentare della nostra Repubblica ha in questi ultimi tempi progredito paurosamente (il procedimento per danni della Corte dei Conti per la “crisi illegittima” del Governo Prodi) ne è un dato emblematico e gravissimo lo “squadrismo giudiziario” mena colpi a destra ed a manca facendo da contraltare ad elezioni sempre meno sentite dalla gente come espressione della propria volontà, la “scheggia impazzita” del Partito dei Magistrati, quello del “tutto e subito”, pare abbia sofferto un brutto colpo, magari soppiantato dalla tendenziale eversione da esso stesso seminata e coltivata.
Senza troppo sicurezza nel pronosticare la fine dell’epoca dei semidei in toga, dei Di Pietro, degli Ingroia, dei Di Matteo, e dei tanti altri la cui parabola, in verità si è conclusa molto tempo fa (chi ricorda più, che so, Palermo, quello del processo “armi e droga”?) si può cominciare a fare un’analisi antropologica e psichiatrica di questi signori.
Sì, proprio un’analisi psichiatrica.
C’è un pizzico di follia in un po’ tutti quelli che hanno tentato di imporsi al Mondo con il potere della retorica, prigionieri del culto della propria personalità. Lo erano i dittatori del secolo scorso. Non si può vedere, oggi, un filmato di Mussolini senza domandarsi se la mimica e la gestualità gaglioffa di quel personaggio non dovesse figurare nei trattati di psichiatria, anziché nei testi della storia. Non parliamo, poi, degli isterismi di Hitler.
L’eredità di questa sindrome patologica direi che spetta ora alla categoria dei magistrati.
Se si considera che quelli ordinari sono circa 8000 e se si fa un inventario di quelli più o meno gravemente affetti da patologie mentali ed in particolare di quelle che comportano una irrefrenabile tendenza al culto della propria personalità, si deve constatare che questa è una sindrome epidermica con manifestazioni in casi tutt’altro che episodici.
Vi sono stati magistrati dichiarati affetti da patologie mentali che hanno continuato tranquillamente ad amministrare giustizia (si fa per dire). Ne ho scritto varie volte. Ma non sono né sono stati i più pericolosi.
C’è la sindrome specifica, alla quale potrà darsi facilmente un nome che include, che so, il riferimento alla toga, al diritto etc. etc. di cui sempre più chiaramente possono definirsi e descriversi le manifestazioni in un numero crescente di soggetti.
Certo, occorrerebbe anche analizzare la sindrome, facilmente e sbrigativamente definibile come “coglioneria”, diffusa assai di più e, forse non meno pericolosamente, tra quelli che fanno da coro, da tifoseria alle follie propriamente togate.
Ma è sindrome talmente diffusa che forse dovremo domandarci, quanti non ne siamo affetti, se dagli psichiatri non dobbiamo andare noi. A curarci la “normalità”, la ragionevolezza.
Malattie di stagione, non rare. E gravi.
Mauro Mellini
lavalledeitempli.net