L’editore del Giornale di Sicilia e i suoi giornalisti dipendenti “attaccano ” la ficiton di Canale 5 su Mario Francese e dimenticano la vergognosa pubblicazione del necrologio di Francesco Messina Denaro padrino di Cosa Nostra e padre di Matteo Messina Denaro
Francesco La Licata, giornalista e scrittore, buon conoscitore delle faccende siciliane, raccolta dall’ultimo rapporto dell’osservatorio “la sofferenza della Sicilia sul piano della produzione editoriale riguarda soprattutto il fatto che l’intero territorio siciliano, per decenni, è stato in mano a un duopolio che si è diviso il territorio. Da un lato Ciancio per Catania e la Sicilia orientale con il quotidiano La Sicilia, dall’altro gli Ardizzone con il Giornale di Sicilia.
Il terzo incomodo era la Rai, che però già allora si presentava imbrigliata dalla funzione di servizio pubblico e proprio in quanto tale era fortemente condizionata dalle forze politiche locali”. Infatti a Rai Sicilia non si mai capito come avvenissero le assunzioni dei giornalisti
Adesso la commissione nazionale antimafia nella relazione appena approvata sui giornalisti minacciati dalle mafie, annota: “Tra le condizioni non risolte dell’informazione in Sicilia, il fatto che i due principali quotidiani, La Sicilia e il Giornale di Sicilia, conoscono, ormai da lunghissimo tempo, l’identificazione della figura del direttore politico con quella dell’editore, con una sovrapposizione di funzioni, responsabilità e interessi che non sempre risulta d’aiuto alla qualità dell’informazione”
“sull’informazione in Sicilia e sui suoi due principali quotidiani il Comitato ha raccolto – attraverso le numerose audizioni e gli atti giudiziari acquisiti – un quadro complesso, con ombre e luci“
Lettere pubblicate ai mafiosi e necrologi negati ai familiari delle vittime di mafia.
Nell’ottobre del 1985, ricorrendo il terzo trigesimo dell’omicidio del commissario Beppe Montana, il padre Luigi Montana si vide respingere il necrologio presentato allo sportello del giornale La Sicilia “su disposizione del vice direttore Corigliano e del direttore Mario Ciancio”, come risulta in calce al testo del necrologio. La spiegazione del quotidiano catanese venne affidata all’inviato Tony Zermo: il necrologio in ricordo di Beppe Montana – scrisse Zermo – era stato rifiutato perché “il testo parlava di un delitto di mafia dagli alti mandanti”. In realtà il testo del ricordo funebre di un uomo dello Stato ucciso da cosa nostra diceva semplicemente: “La famiglia con rabbioso rimpianto ricorda alla collettività il sacrificio di Beppe Montana, commissario P.S. Rinnovando ogni disprezzo at mafia et suoi anonimi sostenitori”. Anni dopo La Sicilia non mostrerà gli stessi scrupoli quando – il 30 luglio 2012, il giorno dopo la morte del capomafia Giuseppe Ercolano (lo stesso ricevuto da Ciancio nel suo ufficio in occasione della reprimenda verso il suo cronista) – il giornale pubblicherà ben tre necrologi di amici e parenti che ricordano l’Ercolano, compreso il figlio Aldo, oggi all’ergastolo in qualità di autore materiale dell’omicidio del giornalista Giuseppe Fava. Nino Milazzo è condirettore responsabile del quotidiano La Sicilia: l’unico a interrompere, per una breve parentesi, il lungo periodo in cui la responsabilità della direzione è stata assunta direttamente dall’editore Mario Ciancio.
Il Giornale di Sicilia.
Anche il Giornale di Sicilia si è caratterizzato, oltre che per opacità, anche per iniziative positive che sono state oggetto – entrambe – di approfondimento del Comitato nella ricostruzione di fatti critici. Nella ricostruzione dei fatti non si poteva non muovere da una vicenda che ha avuto direttamente e dolorosamente protagonista proprio il Giornale di Sicilia, ovvero l’uccisione per mano mafiosa del suo cronista di giudiziaria Mario Francese, assassinato da cosa nostra il 26 gennaio 1979.
Lo ha rievocato, nella sua audizione, il giornalista de la Repubblica Roberto Bellavia: “La compiacenza è legata a dinamiche spesso impalpabili. Per spiegare meglio quello che penso ricorro all’esperienza del processo per l’omicidio di Mario Francese. È particolarmente significativa la chiave di difesa che ha utilizzato Michele Greco, l’allora Papa della mafia e capo della Commissione (condannato, a trenta anni, assieme ad altri sei boss di cosa nostra, per l’omicidio Francese, ndr.): «Come facevo io a dire “sì” all’omicidio di Mario Francese, se ero amico del suo editore?», il che è una circostanza di fatto, assolutamente autentica. L’allora editore del Giornale di Sicilia, Ardizzone, frequentava lo stesso tiro al piattello di Michele Greco”. Sempre Bellavia, sul Giornale di Sicilia e sugli ultimi mesi di vita di Mario Francese: “Io penso che Francese sia stato piuttosto isolato all’interno del suo stesso corpo redazionale e che si sia tentato in tutti i modi di salvargli la vita ricorrendo a quell’area che era contigua alla mafia palermitana e che i vecchi giornalisti vedono quasi con qualche nostalgia, come se fosse meno sanguinaria e meno violenta di quella successiva. Parlo dei gruppi Bontate e Teresi, che aveva vari collegamenti con uomini che lavoravano in quel giornale.
C’era un posto a Palermo, il Circolo della stampa, che si trovava dietro al Teatro Massimo. (…) Il Circolo della stampa era aperto alla crème della società siciliana ed era frequentato per lo più dai mafiosi.
La sera si trasformava in una gigantesca bisca. Era una camera di compensazione di vari interessi e vi si trovavano uomini che avevano rapporti con Bontate e Teresi e che lavoravano al Giornale di Sicilia”. Anche il giornalista dell’Espresso Lirio Abbate si è voluto soffermare nella sua audizione sull’omicidio del giornalista Mario Francese, partendo dalle motivazioni della sentenza di condanna: “Sono queste motivazioni che danno il quadro dell’ambiente degli anni Settanta del giornalismo e, in particolare, di quel giornalismo palermitano e di quel giornale, il Giornale di Sicilia, nonché di quello che avveniva dentro il Giornale di Sicilia e attorno ai colleghi. I giudici ci scrivono che «era proprio l’attività giornalistica di Mario Francese a fare di lui un possibile obiettivo di Cosa nostra, per lo straordinario impegno civile con cui egli aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia verificatesi negli anni Settanta, in un periodo nel quale, per la mancanza di collaboratori di giustizia, le informazioni sulla struttura e sull’attività dell’organizzazione mafiosa erano assai limitate”. “Molti passaggi della motivazione della sentenza fanno rabbrividire, se si pensa a quel giornalismo e al mondo in cui i colleghi erano costretti a lavorare. Fra l’altro vengono fuori […]due fatti di cronaca che coinvolsero all’epoca i giornalisti del Giornale di Sicilia e di cui non si ebbe grande eco sulla stampa. Il primo riguarda Lino Rizzi, che all’epoca era il direttore del Giornale di Sicilia. Lino Rizzi subì un attentato incendiario dopo la morte di Mario Francese, il 22 settembre 1978. Gli venne bruciata la macchina sotto casa.
Fonte : Articolo 21
Il Circolaccio