Antimafia, “I Tragediatori”: un libro che ne racconta ombre e luci
Ci piace far conoscere questo libro di Francesco Forgione che contiene importanti spunti di riflessione verso un periodo storico complesso
La lotta alla mafia non può essere una moda e neanche una scelta politica di convenienza. La lotta alla mafia deve essere una scelta valoriale . I grandi maestri del contrasto al crimine mafioso rimangono Falcone e Borsellino che hanno saputo gestire bene le indagini e avevano capito fino in fondo il sistema che univa la mafia con parte delle istituzioni e per queste ragioni sono stata ammazzati insieme a umili servitori dello Stato. Falcone e Borsellino non facevano politica. cercavano di stanare i colpevoli attraverso le leggi e il diritto
La lotta alla mafia si fa con la ricerca della verità, cercando di colpire chi si nasconde nelle grigie tenebre del potere economico-politico-mafioso con prove concrete e non con congetture da bar, investendo sui giovani e sostenendo chi aiuta lo Stato a riprendere il controllo dei territori nella legalità. Le purghe generiche usate ai tempi di Stalin, fanno spesso scappare i buoi dalla stalla e non sempre fanno male a chi lo merita veramente
Usare l’antimafia per vendicarsi o per eliminare avversari non è ricercare la verità ed un metodo lontano dal combattere il cancro mafioso. E’ solo un modo per avere “ragione” sugli avversari usando spesso il fango. Noi de “il Circolaccio” siamo ispirati agli insegnamenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. In ogni caso ,rispettiamo chi non ha la nostra stessa visione e non ci riteniamo depositari della verità. Non possiamo piacere a tutti e non chiudiamo le porte a chi intende scrivere senza offendere o violentare le persone, anche criticando il nostro blog. Non ci nascondiamo ma amiamo il confronto leale e non a “futti cumpagnu”. Abbiamo le nostre idee e intendiamo divulgarle nel rispetto della verità e dei fatti documentabili e non su facili strumentalizzazioni o peggio ancora, su rancorose vendette che poco sanno di lotta alla vera mafia . La mafia, le falsità ,le “tragedie” costruite ad arte ,hanno distrutto questa bellissima terra e non hanno ancora portato il delinquente Messina Denaro in carcere. Tanti arresti, tanti indagati e processati e il boss ,e suoi alti protettori, ancora in libertà.
Certa antimafia ha sempre fatto quadrato per difendere posizioni di vantaggio. Non esiste democrazia senza libero confronto.
Chi si è permesso di criticare certa antimafia o alcune posizioni politiche da loro rappresentate in passato, è stato tacciato di essere collaboratore occulto della mafia e guardato con sospetto. Gli attivisti di certa antimafia si sono sostituiti ai giudici del Tribunale nel dare sentenze. Tutto questo non solo non è più sopportabile ma ha generato solo fallimenti sociali e poco aiuto ai magistrati seriamente impegnati a colpire i mafiosi potenti che controllano montagne di denaro anche pubblico.
“Non rimanere mai da solo a lottare per le tue idee di cambiamento. In Sicilia rischi molto . Se cerchi la verità e combatti per le tue idee da solo ,o ti uccide la Mafia, o ti uccide la parte segreta dello Stato che non conosci anche con il fango sputato da certi paladini dell’antimafia salottiera”
Il Libro di Forgione
E’ il libro dell’ex presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, Francesco Forgione, che racconta come una parte dell’antimafia abbia “tragediato”, per divorare se stessa, “in un disegno in cui la lotta alla mafia era spesso solo un pretesto”. Un testo “trasgressivo” che sfida ipocrisie e tabù e racconta un mondo “strano e difficile, con ruoli mutevoli e più parti in commedia, con santi ed eroi sempre sull’orlo di un baratro aperto dalle loro stesse mani”. Un libro critico ma volto in positivo: “per sconfiggere gli opportunismi e ricompattare un fronte antimafia credibile che sia di sostegno, però non acritico, al lavoro dei magistrati”, scrive nella prefazione Giuseppe Di Lello, giudice istruttore nella fase repressiva dei maxiprocessi ed estensore della legge 109/96 sulla destinazione sociale dei beni confiscati.
La sfida ai tragediatori. La sfida di Francesco Forgione inizia già nel titolo. Chi sono i “tragediatori” lo spiegò bene il vecchio boss Tommaso Buscetta davanti alla Commissione: “chi di noi, nel raccontare fatti di Cosa Nostra non dice la verità, noi li chiamiamo tragediaturi”. Sono dunque il disonore degli uomini d’onore. Forgione ribalta il termine nel campo, ma non nella sostanza, indirizzandolo alle persone che disonorano l’antimafia pur essendoci dentro. E le racconta, impietosamente. “Ora – scrive – è il tempo di rompere il silenzio e l’omertà che, per lungo periodo, hanno avvolto anche il mondo dell’antimafia e lasciato che alcuni suoi paladini ne espropriassero l’intera rappresentanza. Tanti di noi, preoccupati dal nemico che avevamo di fronte, non ci siamo occupati di alcuni compagni di viaggio che avevamo al nostro fianco”.
Le occasioni perdute. Il libro racconta, con sguardo indagatore, associazioni vere e sigle inventate, fondazioni finanziate solo per la forza evocativa del nome cui sono intitolate, movimenti che per motivare soldi pubblici ricevuti e legittimare la propria esistenza, organizzano ogni anno un convegno più o meno pretestuoso. Familiari di vittime di mafia diventati parlamentari “senza alcuna ragione politica o di impegno sociale, grazie solo al loro nome”, partiti che avanzano candidature antimafia senza aver mai combattuto la mafia, fino al caso più eclatante in cui “l’antimafia ha colpito l’antimafia”: la vicenda di Carolina Girasole, sindaco antimafia di Capo Rizzuto finita “tra i cattivi” in un gioco di specchi in cui si sono persi il senso e la percezione della realtà e della verità.
Il disorientamento dei giovani. Forgione si rivolge a tutti quei ragazzi ed a tutte quelle ragazze che da oltre due anni vedono il susseguirsi di inchieste, arresti, polemiche aspre e titoli di giornali che parlano e alludono al fatto che “l’antimafia indaga sull’antimafia”, ma che ancora credono nei valori della legalità. Si rivolge a loro per spiegare le vicissitudini italiane, da Andreotti ai giorni nostri, e la caduta di alcuni dei “dall’Olimpo dell’antimafia”. E sottolinea come, tra le tante posizioni e sfaccettature interne al mondo dell’antimafia, sia prevalsa quella del ripiegamento in una sfera esclusivamente etica, perdendo cosi il nesso tra l’antimafia ed il modello economico e sociale che favorisce la mafia.
I beni confiscati. E’questo l’oggetto reale di tutte le contese che investono l’antimafia perché è sui beni confiscati che si concretizza la relazione tra lotta alla criminalità, trasparenza dell’economia e possibilità materiale. Si tratta di gestire miliardi di euro di valore senza disperderli e senza farli marcire nelle paludi della burocrazia dei ministeri e nelle pastoie della pubblica amministrazione. “E’ questa – scrive Forgione – la sfida più difficile da vincere per affermare un’antimafia concreta, dalla forte ispirazione sociale; ben altra cosa dalla diffusa convegnistica antimafiosa, che non solo non manca ma quando c’è non serve, pur costando notevoli quantità di soldi pubblici”. Anche qui sfida dei tabù, compreso quello della vendita dei beni confiscati: “è ipocrita tacere che i Comuni non possono gestirli se non si superano i vincoli del patto di stabilità che ha tagliato tutte le risorse agli enti locali”. E ancora: “siamo davvero convinti, ad esempio, che sia compito dello Stato gestire una discoteca nella periferia romana le cui uniche dipendenti sono dieci signorine rumene, assunte con un contratto da ballerine finalizzato esclusivamente al rilascio del permesso di soggiorno che arrivano alla guida di costosissimi fuoristrada e le cui esibizioni artistiche avvengono solo nei privé del locale?”
Fuoco amico. Forgione racconta l’esperienza vissuta da presidente della Commissione antimafia, quando “ho vissuto sulla mia pelle cosa significhi diventare obiettivo di alcune campagne mediatiche, costruite in concorso tra qualche magistrato, qualche giornalista e qualche politico”. Nel libro racconta i fuochi incrociati che lo accusarono di aver tradito i valori dell’antimafia, la parabola di Sonia Alfano, dalla rottura con don Ciotti alla fondazione di una sua associazione, “che servirà come sigla da utilizzare per iniziative pubbliche e incontri istituzionali”; il movimento Agende rosse, nato nel 2009 su iniziativa di Paolo Borsellino; i ragazzi di Addio Pizzo; il viaggio a Palermo durante il processo Cuffaro, quando “dopo aver speso anni di impegno a denunciare i rapporti tra mafia e politica, da presidente della Commissione quasi mi ritrovai addosso il marchio dell’insabbiatore”. Dimenticando che nel 2005 Forgione fu aggredito proprio dal cognato dell’allora presidente della Regione (che fu condannato per questo) mentre raccoglieva firme su una petizione, proprio contro Cuffaro e la mafia nel centro di Palermo.
Gli dei caduti. Il libro ripercorre i colpi che l’antimafia ha subito in questi anni, ferite alla credibilità ed alla sua auto rappresentazione. La caduta di alcuni ex personaggi dell’Olimpo dell’antimafia, da Pino Maniaci, conduttore di Telejato (a Partinico) alla grande “impostura” di Confidustria Sicilia, che con il marchio di garanzia “antimafia e legalità” ha innalzato a paladini persone finite poi sotto inchiesta. Il libro riporta parte dell’audizione, davanti alla Commissione Antimafia, di Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica che per primo scoprì e denunciò quanto stava accadendo in Confindustria Sicilia: eventi che hanno fatto entrare il concetto di “impostura” nelle relazioni dell’anno giudiziario palermitano e nisseno. “Certo – scrive Forgione – in una regione che dal 2001 al 2008 ha avuto un presidente condannato per mafia, l’antimafia è stata usata sia nelle lotte intestine interne ai partiti che per sostituire un blocco di potere a un altro”.
Fonte: Repubblica
Il Circolaccio