UN UOMO COMUNE (il vicequestore Giuseppe Peri, Trapani 1976-82) . Un grande poliziotto
Quando abbiamo letto l’amara storia del dottor Giuseppe Peri
Quel giorno la sua vita cambia per sempre.
Il vicequestore Peri ha iniziato ad indagare sul sequestro di Luigi Corleo, scomparso nel 1975 e mai più ritornato a casa. Non si tratta di un semplice sequestro di persona, come ne accadevano a decine nell’Italia di allora. Corleo è il suocero di Nino Salvo che insieme al cugino Ignazio è il potentissimo esattore delle tasse per la Sicilia, due uomini chiacchieratissimi e in odore di mafia tanto da venire imputati al maxiprocesso di Palermo (Nino morì nel 1986, prima della sentenza, mentre Ignazio, condannato per associazione mafiosa, venne ucciso in un agguato nel 1992).
I cugini Salvo erano tra gli uomini più ricchi della Sicilia, entrambi uomini d’onore. Il padre di Ignazio, Luigi, fu il capomafia di Salemi.
La loro ricchezza proveniva dalla gestione delle esattorie di cui avevano il monopolio e grazie allo statuto siciliano gli permetteva di praticare un aggio del 10 % circa. Di sospetti sui Salvo si iniziò a parlare a metà degli anni ’60 ma i CC di Marsala e Trapani a richiesta di informazioni rispondevano sempre che nulla di certo era accertato.
Pio La Torre e Cesare Terranova scrissero nella relazione di minoranza in Commissione Antimafia nel 1976 che la DC trapanese è totalmente nelle mani dei due cugini e che il rapporto tra gruppi mafiosi e potere politico andava ricercato in questa posizione di potere primo esempio di impegno imprenditoriale dei gruppi mafiosi, le cui scelte si rivolgono non solo alla speculazione edilizia ma anche a quella finanziaria.
I Salvo avevano amici politici ovunque. A Marsala l’ex deputato Salvatore Grillo padre di Massimo , A castelvetrano l’ex sindaco Vito Lipari
Con molto anticipo veniva scattata la foto di gruppo di un sistema di potere che vedeva allineati i Salvo, Lima e il capo della Cupola Stefano Bontade. Ma il rapporto tra i Salvo e Cosa Nostra non fu sempre sereno.
Nel 1975, andando contro la tradizione di non operare sequestri in Sicilia, i corleonesi fanno rapire Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo a cui vengono richiesti svariati miliardi per la liberazione. Parte dei quali saranno effettivamente pagati ma il sequestrato non tornerà mai più e lo stesso corpo fu fatto sparire. Secondo l’interpretazione corrente il sequestro è stato uno dei primi atti di guerra dei corleonesi di Riina contro i palermitani di Bontade con cui i Salvo avevano un rapporto privilegiato. Il messaggio era duplice: far fare una brutta figura agli alleati dei Salvo e fare capire a tutti che gli affari, quelli grossi, dovevano anche passare per le mani dei nuovi boss emergenti di corleone. Da quel momento la banda Riina invadeva la provincia di Trapani e si sedeva al tavolino degli affari, quelli veri, e della politica.
Sulla base delle testimonianze di Calderone e Contorno, Giovanni Falcone chiese e ottenne, alla vigilia del maxiprocesso l’arresto dei Salvo: era il 12 novembre del 1984. Il santuario del gruppo di potere più forte della Sicilia veniva toccato per la prima volta e si iniziò a parlare di terzo livello. Nino Salvo morì prima della fine del processo, Ignazio invece venne condannato, prima a sette anni, poi a tre per associazione mafiosa. I grandi elemosinieri della DC erano uomini d’onore. Ignazio Salvo muore invece nel fatidico anno 1992, per ultimo, dopo Lima, Falcone e Borsellino. Il 27 settembre ritorna a casa e trova ad attenderlo un gruppo di killer, tra cui Bagarella, che lo uccide. Il movente, come quello per Lima, era non aver saputo garantire il patto di impunità tra Cosa Nostra e la politica. Nino, il meno diplomatico dei due cugini, era addirittura uomo d’onore e da tempo finanziava grandi traffici illegali, quelli di Salvatore Zizzo che abbiamo già visto, e le sontuose campagne elettorali di alcuni big della DC, godendo di un rapporto privilegiato con Andreotti, come è stato affermato dai giudici della Cassazione secondo i quali il politico fino al 1980 intratteneva rapporti con loro e con il capo Stefano Bontade, reato questo non più punibile per il tempo trascorso.
Sul sequestro Corleo, invece, indagò a lungo un dirigente di Polizia, il vicequestore di Trapani Giuseppe Peri, che stilò un rapporto; secondo Peri, dietro il sequestro, ed altri rapimenti, c’era un preciso disegno politico-eversivo che legava Cosa nostra all’estrema destra. Peri venne allontanato dal suo posto, isolato e le sue indagini ridicolizzate. Morirà pochi anni solo e dimenticato.
una potente organizzazione dedita alla consumazione dei sequestri di persona, con richiesta di altissimi riscatti per fini eversivi (…). I mandanti dei sequestri vanno ricercati negli ambienti politici delle trame nere e in ambienti insospettabili; questa organizzazione si è servita e si serve delle non meno potenti organizzazioni mafiose siciliane e calabresi (…). Una centrale operativa di cui fanno parte individui al di sopra di ogni sospetto, inseriti nell’apparato statale ai vari livelli (…) sequestri di persona, attentati, omicidi, tutto fa parte di un’ identica strategia intesa a determinare il caos scardinando i poteri di difesa dello Stato al fine di instaurare nuove condizioni di potere e dominio…”.
Arrivano le prime telefonate con cui gli si “consiglia” di mollare l’inchiesta, qualcuno nottetempo entra nell’ufficio corpi di reato del tribunale allo scopo di fare sparire le prove che Giuseppe Peri sta accumulando per l’inchiesta, ma il vicequestore non molla
Nel 1976 il vicequestore Peri ha cinquant’anni e da circa un anno guida il Commissariato di P.S. di Alcamo, una cittadina del trapanese a una cinquantina chilometri dal capoluogo ed altrettanti da Palermo.
Palermitano, sposato, due figli, in Polizia da vent’anni, quasi tutti trascorsi a Trapani, Peri ha attraversato una carriera normale rischiarata da qualche encomio in riconoscimento di alcune brillanti operazioni e dalla cittadinanza onoraria di Poggioreale, la cittadina del Belice rasa al suolo dal terremoto del 1968, nella quale il dottor Peri, dirigente della Squadra Mobile di Trapani, si è distinto per l’abnegazione con la quale ha guidato i soccorsi ai terremotati.
Una carriera come quella di tanti poliziotti quindi, quella di un uomo dello Stato serio e coscienzioso anche se fino a quel momento non è mai stato considerato un segugio.
Almeno sino a quel 18 novembre 1976 quando il dottor Giuseppe Peri pone la sua firma ad un rapporto diretto all’autorità giudiziaria. Ne seguiranno altri, sino a quello clamoroso del 22 agosto 1977.
Nel rapporto Peri, oltre ai sequestri, parla di sette omicidi tra i quali quelli del giudice Occorsio e del procuratore generale di Palermo Scaglione, assassinato insieme al suo autista il 5 maggio 1971 e segnala l’analogia con un terribile incidente avvenuto esattamente un anno dopo.
Il 5 maggio 1972, l’ultimo giorno di campagna elettorale, un DC8 dell’Alitalia partito da Fiumicino si schianta contro una montagna mentre è in fase di atterraggio all’aeroporto palermitano di Punta Raisi. E’ il peggior incidente aereo della storia dell’aviazione civile italiana. 115 morti tra passeggeri e membri dell’equipaggio ma è un incidente con molti lati oscuri. La commissione d’inchiesta ha chiuso le indagini in appena un paio di settimane dando la responsabilità ai due piloti, due uomini esperti con migliaia di ore di volo al proprio attivo, parlando di errore umano e, peggio ancora, infamandoli dicendo che il pilota Bartoli fosse ai comandi sotto l’influsso di alcool o droga (circostanza smentita dall’autopsia).
Non è stato tenuto conto di ciò di cui parlano i numerosi testimoni, tra i quali due agenti di una pattuglia della stradale che viaggia sull’autostrada, i quali raccontano che il DC8 è in fiamme già prima dello schianto.
Fonte: I poliziotti .it, Blog Mario Francese
Il Circolaccio