Per provvedere alla ricostruzione della Valle del Belice, la zona compresa tra le province di Palermo, Trapani e Agrigento, colpita dal terremoto nella notte tra il 14 e il 15 gennaio 1968, non sono bastati 12 mila miliardi delle vecchie lire.
Dopo 50 anni e un interminabile spreco di tempo e denaro da parte delle amministrazioni dello Stato, ancora si attendono fondi per completare la ricostruzione
E’ più che legittimo chiederci, a distanza di tanti anni, dove sono finiti
tutti questi soldi? La ricostruzione del Belice, la diga Garcia e l’autostrada hanno portato in queste zone montagne di denaro pubblico che, inevitabilmente ha smosso gli appetiti di politici e mafiosi
SPECULAZIONI E INFILTRAZIONI MAFIOSE. «La burocrazia uccide più del terremoto», scriveva Danilo Dolci, attivista siciliano negli anni posteriori al sisma. La ricostruzione della Valle del Belice è stata scandita da lungaggini burocratiche, ritardi relativi all’erogazione dei fondi, avvocati-avvoltoi, imprenditori senza vergogna che hanno speculato sulle opere da realizzare, infiltrazioni mafiose, inchieste su inchieste spesso senza risultati sulla lievitazione dei costi di diversi appalti.
Mentre da una parte, con fatica e operosità, si sono ricostruite alcune città (si pensi al comune di Gibellina, piena di opere artistiche), dall’altra si riscontrano ancora ritardi nella realizzazione di infrastrutture che col tempo sono diventate delle vere chimere con quartieri devastati e centinaia di persone ancora in case prefabbricate.
IL FAMOSO SACCO DEL BELICE. Nel 1976, circa otto anni dopo il sisma, si è stilato un bilancio delle spese del governo italiano per il Belice, scoprendo che i 348 miliardi e 650 milioni di vecchie lire stanziati fino a quel momento erano serviti solamente per opere di urbanizzazione e non per la costruzione di case.
Colpa del malaffare siciliano? Non proprio, visto che in quegli anni, appena dopo il terremoto del 1968, fu istituito un Ispettorato speciale per il Belice, direttamente legato al ministero dei Lavori pubblici che, dati alla mano, non svolse efficacemente il proprio lavoro.
Sempre nel 1976, mentre la stampa parlava di “sacco del Belice”, il governo erogò altri 250 miliardi di lire per la ricostruzione, delegando i comuni e le autorità siciliane a occuparsi della situazione.
Sotto la spinta energica di Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana, nei confronti dell’allora presidente del Consiglio Francesco Cossiga, arrivarono altri fondi: nel 1978 202 miliardi di lire, nel 1981 circa 400 miliardi. La ricostruzione è andata poi avanti a grandi passi, anche se il 40% dei lavori è stato realizzato con un contributo a carico dei cittadini siciliani.
Fondi scomparsi, tra burocrazia, cavilli e leggi misteriose
Nel 1987 è stata approvata una legge che equiparava i terremotati del Belice a quelli del Friuli (6 maggio 1976) e dell’Irpinia (23 novembre 1980), ma alcune inchieste giornalistiche hanno scoperto che i fondi destinati al Friuli sono stati nettamente diversi da quelli erogati al Belice.
Se in terra friulana sono arrivati circa 18 mila miliardi, in Sicilia la somma si aggirava intorno ai 2 mila e 350 miliardi di lire. Tra proteste e cortei, il governo italiano ha stanziato un nuovo fondo di 200 miliardi per il Belice che è stato successivamente bloccato per un cavillo burocratico che evitava agli enti locali di contrarre mutui.
Nel 1991, infine, è stato chiuso l’Ispettorato delle zone terremotate per far spazio al Provveditorato delle opere pubbliche che, per una strana legge regionale, non ha potuto assorbire il personale che si era occupato di tutto l’iter burocratico e finanziario del Belice. Così, in uno stato di confusione, le pratiche che avrebbero dovuto smuovere circa 40 miliardi di lire a favore dei terremotati, sono rimaste sulle scrivanie in attesa che subentrasse nuovo personale competente a smuovere questi fondi.
L’ASSESSORE ALLA CARICA. Il resto è storia nota: tra la difficoltà a reperire fondi (si era parlato di un tavolo d’intesa col governo di Silvio Berlusconi, ma non se ne fece niente), ora i sindaci della Valle del Belice, guidati dall’assessore regionale Di Betta, sono tornati nuovamente a battere cassa, richiedendo al governo circa 450 milioni di euro per completare definitivamente la lunga e annosa ricostruzione.
«Sono pronto a battermi affinché siano inseriti nella rimodulazione delle risorse Fas ancora non assegnate, almeno 100 milioni di euro per opere di urbanizzazione primaria in quel territorio, che non può essere ancora penalizzato», ha dichiarato Di Betta con convinzione. «Se vogliamo un’Italia unita e non a due velocità non possiamo permettere che ancora si discuta dei ritardi sul Belice e di mancate erogazioni di fondi, dimenticandosi dei 370 morti e dei 70 mila senzatetto».
Fonte : Lettera 43
Il Circolaccio