Che penoso teatrino
Prendete Pietro Grasso, presidente del Senato e oggi leader acclamato di “Liberi e uguali”, cioè di quell’inquieta sinistra che, senza trovare mai pace, sta a sinistra del Pd. Nel 2013, forte del suo onorevolissimo passato di giudice antimafia, fu iscritto da Pier Luigi Bersani ai vertici del Pd e da lì a pochi mesi divenne il principe di Palazzo Madama. Fino a quel momento non aveva altro merito – politicamente parlando, si intende – se non la sua storia di magistrato, impegnato come tantissimi altri magistrati, nella lotta ai boss e ai picciotti di Cosa nostra. Bene. Ora provate a definire Grasso un “professionista dell’antimafia”; oppure provate a ricordargli che ha fatto carriera grazie al suo ruolo: come minimo vi aggrediranno per strada o vi iscriveranno d’ufficio nella lista nera di coloro che “fanno oggettivamente il gioco della mafia”. Perchè il teorema è sempre lo stesso: tutte le caste – da quella dei politici a quella dei burocrati – troveranno in Italia una penna appuntita che le attacca e le sputtana. Tranne la casta dei magistrati. Anche se quei magistrati hanno sgomitato non poco, nel pieno del proprio splendore, per guadagnarsi un immediato trasferimento dai tribunali ai palazzi del potere.
Detto questo, bisognerà anche capire per quali ragioni la politica vada periodicamente in pellegrinaggio nei palazzi di giustizia con la speranza di trovare dentro quelle stanze il leader che non si riesce mai a trovare in nessun altro angolo della società civile. La motivazione principale, stando alle esperienze che la cronaca ha offerto in questi ultimi anni, è che un partito va in cerca del magistrato quando, non avendo più grandi idee da spendere, non trova di meglio che affidarsi al moralismo, ai moralisti e ai moralizzatori: lo ha sottolineato giorni fa, Giuliano Ferrara. E infatti chi meglio di Grasso, che è stato giudice a latere al maxiprocesso di trent’anni fa contro il gotha mafioso della Sicilia, potrà mai rappresentare sul palcoscenico della politica la lotta del bene contro il male? Ne consegue, in base a un accostamento quasi automatico, che il magistrato – specie se la sua figura porta su di sé le stimmate di un’azione eroica e straordinaria – sparge una certa luce di venerabilità su tutta la formazione politica che lo ha scelto come condottiero. Uscendo fuori dalla metafora: la leadership offerta dalle sinistre a Piero Grasso potrebbe anche significare, oltre l’effetto immediato dell’unità faticosamente ritrovata, che l’unico filo politico che accomuna Bersani a Fratoianni o D’Alema a Civati è una specie di “moralismo storico”. Che tradotto in parole povere significa, almeno da Tangentopoli in poi, delegare ai magistrati temi e problemi – come la legalità, come l’onestà – che la politica crede di non sapere più né affrontare né governare. E per rendersene conto basta ripercorrere i nomi che hanno costellato questo stranissimo firmamento, fatto per lo più di illusioni e delusioni: si comincia con Gerardo D’Ambrosio, che fu vice di Saverio Borrelli nella stagione di Mani Pulite, poi si passa da Antonio Di Pietro, che di quella stagione fu il personaggio più popolare, e si arriva a Pietro Grasso. Senza dimenticare Raffaele Cantone, il pm anticamorra che Matteo Renzi ha voluto a capo dell’agenzia contro la corruzione.
L’unica faccina triste che il piazzale degli eroi ci mostra, in questo desolato inverno palermitano, è quella di Antonio Ingroia. E dire che era stato proprio lui a tessere per anni la tela di quella boiata pazzesca che è il processo sulla Trattativa, costruito attorno alle deposizioni di un pataccaro come Massimo Ciancimino, battezzato per l’occasione “icona dell’antimafia”.
Ingroia, a quel tempo procuratore aggiunto, convinto di avere toccato con la sua inchiesta il vertice della popolarità mediatica – Michele Santoro e Marco Travaglio se lo strappavano dalle mani come drappo prezioso – fondò un partito e nella primavera del 2013 si lanciò, manco a dirlo, alla conquista di Palazzo Chigi. Il responso delle urne fu un disastro: lo zero virgola. E Ingroia, che a quel tempo giocava con i palazzi del potere con la stessa padronanza con cui si muove un tenore al Teatro alla Scala, oggi si trova a cantare nei matrimoni: accucciato nel posticino di sottogoverno messogli a disposizione dal fraternissimo amico Rosario Crocetta, aspetta con trepidazione di conoscere la sorte che gli riserverà Musumeci, nuovo presidente della Regione.
Ed ecco allora un Duro attacco di Natale dell’ex magistrato Antonio Ingroia all’ex magistrato ora presidente del Senato Piero Grasso,che ha inaugurato il proprio comitato elettorale a Palermo proprio qualche giorno fa. “Ora che è ufficialmente in campagna elettorale, pur senza aver lasciato la presidenza del Senato, come invece avrebbe dovuto fare, visto il palese conflitto d’interessi in cui si trova, Piero Grasso si rivela per quel politicante che è sempre stato. Perché solo un politicante può dire che ‘governerà l’Italia’, come ha annunciato ieri a Palermo, essendo ora a capo del partitino di D’Alema e Bersani che a malapena può superare la soglia di sbarramento”.
Ingroia ipotizza quindi quali possono essere i prossimi passi dell’ex collega: “Le cose sono due: o Grasso con D’Alema e Bersani pensano di fare l’accordo col Pd per governare l’Italia nel peggiore dei modi, come hanno fatto in questa pessima legislatura Renzi e Gentiloni, oppure prende in giro gli elettori perché col 3% o poco più non si governa un bel nulla. Inoltre, come può pensare di essere credibile un Grasso che per cinque anni è stato complice e spettatore pilatesco dell’approvazione delle peggiori leggi volute da Renzi, dal Jobs Act alla ‘buona scuola’, fino all’incostituzionale Rosatellum? Ora si traveste da ‘innovatore’, ma in questa veste di leader della sinistra, lui che non è mai stato di sinistra, può sperare di ingannare qualcuno, ma di certo non può ingannare la stragrande maggioranza degli italiani”.
“Caro Grasso – conclude quindi l’ex aggiunto – come diceva un grande della storia come Abramo Lincoln, puoi ingannare tutti per qualche tempo e qualcuno per sempre, ma non puoi ingannare tutti per sempre”.
Ma veniamo al Capo della DNA prima, ora corrente Vicecapo dello Stato più capopartito. Grasso, SuperProcuratore antimafia, messo a conoscenza dell’operazione SSS (Servizi Segreti Svetonio), passa le carte alla Dia di Trapani e, immediatamente , viene pubblicata ogni cosa sulla stampa nazionale e non solo! Non era obbligato ad indagare sul come e, soprattutto , sul perché si era annullata ogni segretezza???!
Non è dato saperlo, ad oggi! Certo è che i Servizi non più segreti si videro svanire in 24 ore una complessa operazione di quattro anni che mirava alla cattura di Matteo Messina Denaro, se non si fosse convinto a costituirsi! V’è da chiedersi quanti hanno conosciuto le patrie galere per avere consumato “colpevolmente” un caffè con qualche vicino di casa di un cugino acquisito del latitante?! Grasso “magistrato pilatesco” ieri e “2^ Carica dello Stato politicante” oggi. Dice Ingroia!! Considerato l’immenso potere che entrambi hanno gestito, richiede troppo coraggio esprimere le più evidenti constatazioni. Sono “compagni” e lo è anche il Ministro degli Interni. Già troppo impegnato a colpire ogni malcostume mentre Castelvetrano annega nella munnizza i cui miasmi compromettono la salute di tutti i suoi abitanti così responsabili di vivere nella città che ha dato i natali al ricercato n.1 del mondo. Poco importando se gli sia stata opportunamente tolta la cittadinanza. Sarebbe allora il caso di raccomandare “acqua in bocca” ? Nemmeno quello è possibile, è stata annunciata l’interruzione del servizio idrico.!
Fonte: Live Sicilia , Il Foglio, Il Circolaccio
Maurizio Franchina