L‘indagine di Catania è solo l’ultimo capitolo. Nel caos della raccolta i varchi più invitanti per la criminalità. Sui rifiuti urbani girano una montagna di soldi
PALERMO – Stavolta è toccato a Catania. Domani chissà. Perché nel disastro del sistema rifiuti Sicilia, lo scandalo è sempre dietro l’angolo. E non c’è pietra che, sollevata, non sveli un verminaio. Con l’ultima indagine che ha portato oggi a una serie di arresti, gli inquirenti ritengono di aver fatto luce su un sistema di mazzette e collusioni relativo al conferimento degli appalti per il servizio di raccolta. Che è in assoluto la più oscura giungla nel ricchissimo business della munnizza, che in Sicilia vale un giro d’affari da più di un miliardo. E che vive di emergenze, deroghe, norme colabrodo, collusioni e tutto quello che serve al proliferare del malaffare, che in Sicilia speso e volentieri significa anche mafia, come nelle ipotesi odierne dei magistrati di Catania.
Un business gigantesco, un “sistema criminogeno”, come è stato definito. Che non è solo quello delle discariche, spesso e volentieri al centro dei riflettori anche del dibattito politico. Ma che è anche quello più sfuggente e altrettanto goloso della raccolta della spazzatura. Dove il caos regna sovrano. Lo stesso ufficio speciale della Regione messo su dal governo Crocetta spiegava solo pochi mesi fa che il modo in cui il servizio di raccolta e conferimento è affidato non sempre sarebbe in sintonia con le prescrizioni di legge né con le regole di buona amministrazione. E questo anche grazie al sistematico ricorso a procedure di emergenza, rinnovi e quant’altro, aggirando le gare pubbliche. Che laddove si celebrano possono comunque essere inquinate grazie ai contatti illeciti tra burocrazia, imprese e faccendieri, o magari boss. Solo gli affidamenti diretti della raccolta negli enti locali valgono qualcosa come 200 milioni all’anno. E vista la frammentazione del sistema, le infiltrazioni dei gruppi criminali che agiscono sui territori non necessitano di chissà quali sforzi lobbistici o di coperture ai piani altissimi per mettere le mani su un pezzo della torta.
Le indagini della magistratura non sono mancate, in lungo e in largo nell’Isola. Palermo ha aperto una gigantesca inchiesta che guarda a tutta la Sicilia. L’incredibile frammentazione delle gare per l’affidamento del servizio di raccolta è stata denunciata anche dal presidente dell’Autorità nazionale Anticorruzione, Raffaele Cantone. La commissione parlamentare nazionale d’inchiesta sul fenomeno dei rifiuti ha messo nero su bianco tutti i punti deboli del sistema, ascoltando anche la voce dei tanti amministratori locali oggetto di minacce e atti intimidatori.
Insomma, quello della munnizza è un sistema “di illegalità diffuso e radicato”, come scrisse la commissione sopra citata. Che vive anche grazie a un caos normativo frutto di decenni di scelte dissennate. Solo un anno fa la commissione parlamentare d’inchiesta scriveva: “La situazione attuale della gestione dei rifiuti in Sicilia, fatta di continue emergenze, risente pesantemente di scelte scellerate effettuate dal 2002 in poi: da una parte la previsione di costruire 4 mega inceneritori ha compromesso lo sviluppo della raccolta differenziata, e dall’altra la costituzione dei 27 Ato ha esautorato i Comuni dalle proprie competenze, provocando una gravissima crisi finanziaria conseguente a una non trasparente gestione di queste società che sono state uno strumento in mano alla politica per il controllo del consenso”.
“Non si può più procedere di proroga in proroga”, ha detto oggi il presidente della Regione Nello Musumeci parlando dell’emergenza discariche, altro pezzo dolente del sistema rifiuti siciliano. Dove nulla o quasi si salva, aspettando la riforma che non arriva. Per dirla con il professor Aurelio Angelini, “non c’è un segmento della gestione dei rifiuti che sia allineato giuridicamente e tecnicamente alle direttive europee e quindi alla legislazione nazionale. In sostanza, siamo in Sicilia fuori sistema”. Mafie e faccendieri ringraziano.