I grillini pesanti sul caso De Luca
Danno d’immagine incalcolabile. L’Udc, non De Luca, merita il processo politico
Cateno De Luca, com’era prevedibile, è diventato l’uomo del giorno in Italia. C’è chi lo giudica un criminale incallito, come il magistrato che ha disposto la custodia cautelare ai domiciliari, mettendone in luce la presunta attitudine a delinquere, e c’è chi – come Vittorio Sgarbi a “Piazza pulita” – lo ritiene nient’altro che una figura folkloristica, un “irresponsabile”, nel senso della impossibilità ad avere consapevolezza delle sue azioni.
Cateno De Luca ritiene ovviamente di non appartenere ad alcuna delle due categorie e nella sua non breve carriera politica, durante la quale è saltato da una istituzione all’altra mentre faceva il suo lavoro d’imprenditore, ha semplicemente fatto di tutto per stare sulla cresta dell’onda nell’unico modo che conosce, inventandosi teatrini che costringessero i media a parlare di lui. Quando stupì il paludato Palazzo dei Normanni, sede dell’Asssemblea regionale siciliana, comparendo in Sala Stampa avvolta con la bandiera siciliane e le mutande, credette di non avere altro strumento per protestare contro la sua esclusione dalla Commisssiome Bilancio dell’Ars, che è il secondo governo, dopo la giunta, in Sicilia. Voleva partecipare alle discussioni che contano, stare nella stanza dei bottoni, essendo la Commissione il luogo in cui i deputati regionali si confrontano sulle risorse da assegnare e generalmente trovano la quadra con soddisfazione di (quasi) tutti. Nonostante lo spogliarello non fu accontentato, anzi ricevette una censura.
Su di lui gli investigatori hanno lavorato a lungo, pare sin da gennaio del corrente anno, sospettando che avesse commesso delle magagna, e si fosse ingegnato allo scopo di evadere le tasse e di assicurarsi degli appalti pubblici. L’inchiesta già dal mese di gennaio aveva fatto tanta strada e avrebbe potuto creargli qualche guaio in qualunque giorno dell’anno, non solo il 6 novembre, poche ore dopo la virtuale elezione all’Ars (dovrà insediarsi per essere deputato regionale).
Tradotto nella sua abitazione dagli agenti, che eseguivano l’ordine del giudice, si è messo senza indugio ai tasti del computer per un messaggio sui social: le manette gli erano state pronosticate da “certi ambienti”, che Forza Nuova con una nota ufficiale, ha identificato nella massoneria e nella mafia messinesi.
A parte, dunque, il merito della vicenda – la colpevolezza e l’innocenza di Cateno De Luca, di competenza della magistratura – non c’è chi non sapesse che un incidente di percorso sarebbe stato possibile (con l’eccezione dell’Udc, che l’ha candidato).
Il Gip che che lo ha “custodito” il giorno dopo l’elezione ha sicuramente compiuto una scelta di opportunità. Pensate che cosa sarebbe successo se De Luca fosse stato arrestato durante la campagna elettorale. Avremmo ricevuto in redazione una caterva di proteste, il provvedimento restrittivo sarebbe rientrato nella categoria della “giustizia ad orologeria”.
Il Movimento 5 Stelle, tuttavia, ha avuto qualcosa da ridire. Gli elettori – i quali poi l’hanno votato, ma non solo loro – avrebbero avuto il diritto di sapere come stavano le cose sul conto del candidato. Nessuno ha parlato di giustizia ad orologeria, almeno facendo la voce grossa, ma è come se l’avessero fatto.
Gli effetti delle manette al candidato del centrodestra sarebbero state infinitamente peggiori per la parte politica che ha vinto le elezioni. Il rammarico di chi è arrivato secondo, dunque, è comprensibile, ma non giustificabile, in quanto nelle intenzioni del magistrato, riteniamo, c’era probabilmente la volontà di sul risultato elettorale. Ci sono toghe ci si sono comportate diversamente, è bene ricordarlo. O magistrati di Palermo e Siracusa hanno adottato provvedimenti restrittivi in piena campagna elettorale (nel primo caso, così gravi da mandare all’aria la consultazione amministrativa a Trapani).
Il Tribunale di Palermo, sul processo per le cosiddette firme false ad alcuni parlamentari pentastellati, ha usato cautela, destinando ad una data successiva al voto amministrativo del capoluogo una udienza le cui decisioni avrebbero potuto arrecare vantaggio o svantaggio agli indagati (grillini).
Sul banco degli imputati, moralmente, non ci sono i magistrati, che fanno il loro lavoro, ma i dirigenti dei partiti-fantasma, uomini che talvolta derogano in tutto e per tutto dalle questioni etiche e politiche –la politica è anche etica – pur di assicurarsi il consenso degli elettori.
Si sceglie l’azzardo, tanto il popolo dimentica, finisce con digerire tutto, oppure si disinteressa di tutto (astenendosi dal voto, così contano di più i militanti). Qualcuno ci sa spiegare come abbia fatto il partito di Cateno de Luca ad accontentarsi della certificazione dei carichi pendenti, nonostante fossero in tanti – e lo stesso De Luca fra quelli . a paventare una iniziativa dell’autorità giudiziaria?
Il processo (politico) andrebbe fatto all’Udc, e non a Cateno De Luca, che si spoglia o porta in municipio le pecore per protestare, far parlare di sé e raggiungere il suo scopo, magari senza guardare troppo per il sottile. Corre rischi in proprio. Che lui fosse così com’è, lo sapevano anche le suorine di Sant’Anna. La verità è che Cateno aveva anche la fama di essere un formidabile rastrellatore di consensi, che è poi ciò che conta.
Il problema dunque non è Cateno De Luca, quelli come lui si trovano sempre se li cerchi, piuttosto il partito, che in questo caso è l’Udc, ma potrebbe essere qualunque altro. Per esempio Forza Italia a Messina. Qui è stato candidato il giovane ventunenne figliolo di Francantonio Genovese che, vivaddio, ha le carte in regola, ed è magari un bravo ragazzo, ma agli occhi del mondo intero la sua candidatura è apparsa un espediente per ricandidare il genitore, condannato ad undici anni di reclusione, in primo grado (e quindi innocente).
Anche Forza Italia, dunque, a Messina ha giocato d’azzardo, confidando però nello spirito di tolleranza dei siciliani e nella loro spiccata propensione alla gratitudine verso datori di lavoro e la reverenza verso i personaggi importanti. Che si mandasse un messaggio ambiguo all’opinione pubblica non fregava niente a nessuno decidendo di accogliere in FI Genovese incazzato con il suo ex partito, il Pd, che aveva votato per le manette in Senato. L’ha detto chiaro e tondo anche Giorgia Meloni, ospite della Berlinguer a Carta Bianca, che fino a quando i chiacchierati messi in panchina da un partito vengono accolti dallo schieramento avversario, la voglia di fare pulizia non viene a nessuno.
In definitiva, il processo – lo ripeto, politico – dovrebbe essere fatto ai partiti, all’Udc messinese (regionale, nazionale) nel caso di De Luca per il danno d’immagine (e non solo) arrecato alla Sicilia.
Chi pretende che sia il Presidente della Regione, Nello Musumeci, neo eletto, a bacchettare l’Udc con una maggioranza risicatissima, è davvero un marziano. E pure un furbastro.
Fonte: Siciliainformazioni