Saltano equilibri interni nel PD siciliano, terremoto di magnitudo devastante, tutti i conflitti…
Si avvicina la resa dei conti nel PD siciliano. Mentre a livello nazionale i dirigenti del PD cercano di mitigare l’onda di marea della sconfitta siciliana per evitare influenze nefaste sulle elezioni nazionali ormai prossime, il partito democratico nell’isola sta implodendo. Ieri Salvatore Cardinale, che è sempre stato con un piede dentro ed uno fuori (tanto da aver presentato la propria lista “Sicilia futura”), ha annunciato: “o si cambia o andiamo via” ed Antonello Cracolici ha dichiarato che se Renzi è un ostacolo conviene si faccia da parte. L’ex assessore alla Formazione Bruno Marziano attribuisce ad un complotto la sua mancata elezione e Concetta Raia, esponente di punta della corrente che fa capo a Cesare Damiano non risparmia le critiche alla linea del partito.
Non meraviglia che dopo una sconfitta elettorale si apra una discussione serrata sulle responsabilità, ma stavolta pare ci sia qualcosa di più, soprattutto perché le elezioni regionali hanno mutato profondamente gli equilibri interni. In Sicilia i Democratici reggevano su un sostanziale bicefalismo tra l’area di provenienza DS e la ex Margherita. Come si ricorderà la Sicilia era stata una delle poche regioni che aveva avuto al precedente congresso una maggioranza bersaniana, che si era progressivamente erosa determinando l’adesione di truppe sempre più numerose all’area dell’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi.
Nell’ambito ex DS, aveva fatto eccezione la realtà catanese dove due raggruppamenti in passato distanti, quello facente capo al deputato Giuseppe Berretta e l’altro capeggiato dagli ex dirigenti della Cgil Angelo Villari e Concetta Raia, avevano ritrovato l’accordo sotto l’egida del ministro della Giustizia Andrea Orlando.
L’area che fa riferimento a Dario Franceschini aveva allargato il proprio campo di azione in particolare grazie agli ottimi rapporti con Piero Fassino, mentre la scelta dei renziani di antica osservanza capeggiati da Davide Faraone è stata tesa ad attrarre forze dall’esterno del tradizionale campo di riferimento dei democratici. Questa complicata geografia interna bastava di per sé a rendere difficile la vita al giovane segretario regionale Fausto Raciti, che pur vantando un antico rapporto con Massimo D’Alema, aveva optato per il gruppo dei cosiddetti “giovani turchi”.
Ad aggrovigliare il quadro ci si son messe le bizze del presidente Crocetta con la girandola degli assessori, la confusione programmatica ed il progressivo indebolimento dell’azione di governo. Quando ormai una parte significativa del gruppo dirigente democratico siciliano non considerava “suo” il governo Crocetta, si decise di impegnarne in Giunta alcuni dei principali esponenti, Barbagallo, Cracolici, Marziano e Gucciardi, per salvare il salvabile. I risultati disastrosi si son visti in campagna elettorale: “a’squagghiata a’nivi si vidunu i pirtusa” afferma un antico detto siciliano. Nel frattempo la struttura del partito era sempre più defedata con le federazioni sostanzialmente paralizzate sul terreno del lavoro politico, decisioni difficili da comprendere come quella di rinunciare al simbolo in occasione delle comunali di Palermo, le cordate interne trasformate in comitati elettorali contrapposti.
Sono lungi dall’addebitare alla responsabilità del solo segretario questo stato di cose, ma è certo che l’allontanamento di molti militanti è derivato proprio dalla china presa da una comunità politica nella quale la militanza era diventata sostanzialmente irrilevante. Alla fine, l’area ex Margherita ha mantenuto le proprie posizioni con la rielezione di Peppino Lupo, Anthony Barbagallo e Baldo Gucciardi, della vecchia realtà diessina tornano all’Ars solo Antonello Cracolici e Giuseppe Arancio, si affermano nel nuovo gruppo parlamentare democratico di palazzo dei Normanni personalità che non provengono da alcune delle aree culturali costitutive del partito democratico. Per esempio il trentaduenne recordman di preferenze Luca Sammartino era stato eletto nel 2012 nella lista UDC, Luisa Lantieri che nella precedente legislatura era stata eletta da Grande Sud ed era poi transitata al Megafono, il siracusano Giovanni Cafeo, considerato vicino al vecchio capo Dc Gino Foti, che ha rotto con il sindaco Garozzo di cui era stato capo di gabinetto e sarebbe stato appoggiato da una parte degli ex diessini; e così via continuando nell’elenco.
Evito affermazioni apodittiche del tipo “Il partito ha subito una mutazione generica”, ma certamente quello democratico in Sicilia è diventato il partito delle “sliding doors”, lontano dalle proprie radici sociali, privo di terminali nel territorio, asfittico sul terreno della proposta politica.
Fonte: Sicilia informazioni