Siamo veramente nel paese dei balocchi, tra falsi pentiti, funzionari posseduti dal virus dell’onnipotenza e intrighi di palazzo degni della miglior soap opera. Un processo in Italia dura sempre talmente tanto da fare in modo di arrivare alla prescrizione o alla morte del o dei maggiori imputati.
Con tutti i falsi pentiti scoperti, le omissioni, le posizioni deviate di alcuni funzionari si arriverà mai a una verità sulle stragi di mafia, se di mafia si tratta.
Riportiamo parte di un articolo pubblicato su 19luglio1992.com
Per comprendere cosa avesse saputo Paolo Borsellino in quei 57 giorni basta rileggere le dichiarazioni della moglie, Agnese. Il giudice ha infatti confidato alla moglie che “Antonio Subranni, il capo del Ros, è Punciuto”. “E’ una frase gravissima – ha detto Repici – Subranni viene indicato come un uomo di Cosa nostra. In quel periodo stava portando avanti un’importante attività. Stava ascoltando il collaboratore di giustizia Gioacchino Schembri, originario di Palma di Montechiaro. Mori, qui audito, ha risposto ad una domanda su dove fosse la casa del generale Subranni ed era a Campo Felice di Licata, esattamente nell’area territoriale in cui Schembri operava”.
C’è poi il dato che si evince dall’agenda Grigia, quella in cui Borsellino segnava gli appuntamenti, che si affianca alle dichiarazioni del pentito Gaspare Mutolo, sentito a Roma il primo luglio ’92. “In quella data – ha ricordato Repici – è appuntato quell’interrogatorio e alle 18.30 viene appuntato l’incontro con Parisi ed un’ora dopo quello con Mancino. Mancino che quando è stato sentito dalla Procura in fase d’indagine ha rilasciato dichiarazioni false. Davvero possiamo credere che Borsellino sia stato convocato solo per stingere la mano al ministro? Davvero possiamo credere che Mancino sapeva chi fosse Borsellino ma non ricordava la sua faccia?”. Ripercorrendo le dichiarazioni di Mutolo il legale di Salvatore Borsellino ha sottolineato come questi “aveva fatto dichiarazioni nei confronti di Bruno Contrada, ex numero tre del Sisde, e il giudice Signorino. E forse anche di un terzo, Giuseppe Ayala”. Secondo il racconto di Mutolo, inoltre, Borsellino avrebbe incontrato anche Contrada, che mandò i suoi saluti dimostrando di ben sapere che si stava effettuando quell’interrogatorio che sarebbe dovuto essere riservatissimo. Tra i fatti inquietanti riportati dal legale di parte civile vi è anche la mancata applicazione alla Criminalpol di Rino Germanà, storico collaboratore di Borsellino quando era a Marsala. “Alla moglie – ha aggiunto Repici – racconta poi altre cose. Le dice: ‘sto vedendo la mafia in diretta’ e le dice di abbassare le finestre ‘perché dal Castello Utveggio ci spiano’. E al ritorno da Roma dice di ‘aver respirato aria di morte’”. Una pista, quella del Castello Utveggio, non tenuta in considerazione dai pm, secondo il legale, erroneamente.
Arcangioli e la borsa di Borsellino
Durante l’arringa trova spazio anche la proiezione di un video in cui vengono ripercorsi gli accadimenti in via d’Amelio immediatamente dopo l’esplosione dell’autobomba ed in particolare dove viene ricostruita la vicenda dell’agenda Rossa. “Una vicenda – ha ricordato il legale – che parte nel 2005 con il contributo di ANTIMAFIADuemila la quale, anziché fare uno scoop, riferisce all’autorità giudiziaria la presenza in uno studio fotografico di una foto con un uomo che ha in mano la borsa di Borsellino”. Nelle immagini proiettate in aula tra i protagonisti si vedono l’ufficiale dei carabinieri Giovanni Arcangioli e l’allora onorevole Giuseppe Ayala. Repici mette in evidenza i comportamenti dei due testi: “Nelle immagini abbiamo visto Arcangioli, Ayala, e il colonnello Emilio Borghini, comandante del Gruppo dei carabinieri di Palermo. Il primo si allontana da via d’Amelio con in mano la borsa di Borsellino dove all’interno vi era l’agenda Rossa. Si vede anche un momento in cui Arcangioli parla con Borghini anche se in aula ha detto di non ricordare la sua presenza in via d’Amelio. Il modo di agire di Arcangioli non è proprio di qualcuno che sta campiendo delle investigazioni, come ci ha riferito. Del resto non c’è alcuna relazione di servizio che attesti questo”. Nel proseguo dell’arringa l’avvocato ha anche chiesto una revisione del processo contro Arcangioli che ha rinunciato alla prescrizione: “Lui, che ha avuto una notevole progressione di carriera, non ci ha detto cosa ha fatto della borsa. E’ evidente che è lì in missione. E’ andato lì sapendo che c’era la borsa e dopo l’esplosione la preleva. Non solo. Dice anche di aver appreso che le indagini erano state delegate ai carabinieri. Come poteva essere possibile? Lui ha rinunciato alla prescrizione e quella sentenza per cui è stato prosciolto in via definitiva può essere revocata”.
Quindi l’avvocato ha passato in rassegna anche le molteplici versioni rilasciate da Ayala, che ha detto di aver avuto per qualche attimo in mano la borsa di Borsellino, e quelle del giornalista Felice Cavallaro, “che mai, in nessuna ripresa compare al fianco o nelle vicinanze dello stesso Ayala”.
Repici ha evidenziato come sull’agenda rossa vi sia stata “una corsa tra carabinieri e polizia. Anche quest’ultima ci ha messo del suo. Lucia Borsellino ci ha raccontato la mostruosa reazione di Arnaldo La Barbera quando ha chiesto che fine avesse fatto l’agenda Rossa. E lo stesso La Barbera ha poi commentato che questa era sparita per combustione e che dentro non vi era scritto nulla di rilevante”.
Su Ayala Repici ha aggiunto: “Certamente non possiamo sospettare che sia stato lui ad aver trafugato l’agenda ma la sua condotta testimoniale non è stata sicuramente commendevole”.
Cosa avviene dopo la strage: indagini e depistaggi
Tra i “dati patologici” individuati dall’avvocato di Salvatore Borsellino vi è la collaborazione che il procuratore capo di Caltanissetta del tempo, Tinebra, richiede al Sisde: “Mai ufficialmente l’autorità giudiziaria aveva delegato attività ai Servizi, perché non si può fare, ma il 20 luglio 1992 si incontra con Contrada per decidere le indagini”. Repici ha nuovamente ricostruito il ruolo della Squadra mobile e le azioni che sono state portate avanti per arrivare alla confessione di Candura e Scarantino. “Il dominus di quella vicenda è la Squadra mobile – ha ribadito chiaramente Repici – E quello che è stato fatto è gravissimo. Le torture a Vincenzo Scarantino per convincerlo a confessare il suo ruolo nella strage di via D’Amelio rappresentano uno sforzo criminale, portato avanti da uomini dello Stato. Ma quelli non sono uomini dello Stato, sono banditi”.
In particolare l’avvocato ha puntato il dito contro l’ex capo della Mobile Arnaldo La Barbera, definendolo “il principe del depistaggio”, e sottolineando le condotte dei poliziotti Mario Bo, Vincenzo Ricciardi e Salvatore La Barbera, che quando vennero chiamati a deporre nel Borsellino quater si avvalsero della facoltà di non rispondere. Più di una stoccata il legale l’ha riservata anche al magistrato Ilda Boccassini, che aveva deposto a Caltanissetta: “La dott. Boccassini, in questo processo ci ha detto che la falsità di Scarantino emergeva dalla sua stessa confessione. Ma nel luglio ’94, in una conferenza stampa insieme all’ex procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra aveva osannato il lavoro svolto dagli investigatori e lo stesso Scarantino. La Bocassini è la stessa che arriva a dichiarare il falso sulla fuoriuscita di Genchi dal Gruppo Falcone e Borsellino. Non solo. Era stata proprio lei a redigere il primo verbale di interrogatorio di Scarantino. E sempre lei autorizza i colloqui investigativi al carcere di Pianosa di Scarantino quando già aveva avviato la collaborazione. Poi però scrive la lettera con cui passerà alla storia per aver scoperto l’inganno Scarantino”.
Secondo il legale, Scarantino era “Jolly di riserva per operazioni di depistaggio”. Il legale ha ricordato l’episodio raccontato da Vincenzo Agostino per cui proprio Arnaldo La Barbera gli mostrò, in un riconoscimento di Faccia da mostro, tra le foto anche quella del picciotto della Guadagna. E lo stesso Scarantino ha riferito che l’allora Capo della Polizia e Bo gli chiesero di “accollarsi anche l’omicidio dell’agente Agostino e della moglie Castelluccio”.
Tra gli aspetti approfonditi anche la vicenda delle intercettazioni abusive nell’abitazione della madre di Borsellino ed anche quelle risultanze che emergono nei primi processi su Pietro e Gaetano Scotto.
Dietro la strage apparati di Stato
Secondo Repici “la strage di via D’Amelio non è stata fatta solo da Cosa nostra, ma anche da apparati dello Stato”. L’avvocato ha richiamato le dichiarazioni di Gaspare Spatuzza nella parte in cui parla della presenza di una persona non appartenente a Cosa nostra nel garage di via Villasevaglios, dove venne preparata l’autobomba usata in via D’Amelio. “Spatuzza – ha aggiunto – riconobbe questo soggetto in formula dubitativa come il funzionario del Sisde Lorenzo Narracci. Per intenderci colui che ricevette un minuto e venti secondo dopo la strage la telefonata mentre era con Contrada”. Repici ha anche sottolineato che le dichiarazioni rilasciate dal pentito di Brancaccio non sono totalmente differenti da quelle di Scarantino: “Come è possibile che quest’ultimo parla di Tinnirello e Tagliavia? Chi ha detto a Scarantino che questi due ricevettero l’auto da imbottire? Mistero”. Tornando sulle dichiarazioni che il falso pentito aveva rilasciato sulla presenza dei tre pentiti Cancemi, La Barbera e Di Matteo alla riunione nella villa di Calascibetta ha offerto una chiave di lettura nuova: “I negazionisti del depistaggio dicono che La Barbera, Bo e Ricciardi non avrebbero mai fatto mettere quei nomi. C’è da tener conto di alcune cose però su quei soggetti. Su Mario Santo Di Matteo vanno ricordate le intercettazioni con la moglie in cui non parla di Capaci, ma di via d’Amelio e di infiltrazioni della polizia.
Salvatore Cancemi, fino a quel momento, aveva raccontato solo un decimo di quel che sapeva mentre La Barbera, si scopre oggi, si trovava prima di essere arrestato, in un covo, quello di via Ughetti, dove c’erano uomini del Sisde che controllavano gli investigatori della Dia che indagavano proprio su Nino Gioé e lo stesso La Barbera”.
Assolvete Scarantino
Infine il legale ha parlato delle posizioni dei singoli imputati condividendo le conclusioni dell’accusa su Salvo Madonia e Vittorio Tutino, accusati di strage, e su Calogero Pulci e Francesco Andriotta, accusati di calunnia. Non, però, quelle su Vincenzo Scarantino.
“Per Andriotta e Pulci è vero che hanno ammesso le proprie responsabilità quando messi spalle a muro – ha detto – Scarantino no però. Lui aveva tentato in più occasioni di ritrattare ma si è anche beccato una condanna per calunnia. La ritrattazione televisiva a Mediaset è un atto che scompare come l’agenda rossa. E più volte si era recato anche in carcere per farsi arrestare dichiarando che le sue dichiarazioni erano false”.
“Oggi – ha concluso Repici – ho sentito il mio assistito dire che è una vergogna che si possa chiedere la condanna di Scarantino. Lui è una vittima. Io condivido questa riflessione. Scarantino è l’unico che a differenza di altri ha chiesto scusa. Ed in aula lo stesso Gaetano Murana, parte civile, tramite il suo legale ha detto proprio di dire che non c’era nulla di cui scusarsi perché lui era pure una vittima. Ma questo non lo disse solo Murana ma anche Agnese Borsellino, nel libro scritto con Salvo Palazzolo. Voi lo avete in atti. Scriveva: ‘Caro Vincenzo ti fa onore che tu abbia avvertito il bisogno di chiedermi perdono, è un sentimento che io accetto. Mi chiedo tuttavia quali siano i motivi per i quali mi chiedi perdono, quale ribellione ha la tua coscienza, come sei stato coinvolto in questa immane tragedia? Dopo la strage di via d’Amelio quali sono le persone che ti hanno zittito e minacciato? Quali istituzioni avevano interesse a depistare le indagini?… Aiuta chi ti ascolterà a conosciere la verità si questo depistaggio talmente grave che i suoi autori meritano di essere puniti e smascherati quanto coloro che hanno armato la mano degli attentatori”. Per questo motivo, dunque, il legale ha chiesto di assolvere dal reato Scarantino in quanto indotto a lasciare false dichiarazioni per “stato di necessità”. Il processo riprenderà il prossimo 6 febbraio.
fonte:19luglio1992.com
Aaron Pettinari (AMDuemila)