Triscina e le sue case abusive. Potrebbe essere il titolo di un film.
L’Italia è ancora uno Stato di Diritto dove i cittadini sono governati dalla legge costituzionale e che garantisce uguale trattamento da Bolzano a Lampedusa?
Un film, quello di Triscina, dalla trama non sempre scontata dove, per decenni, politici e uomini delle istituzioni, hanno chiuso gli occhi facendo nascere un agglomerato urbano fasullo e con oltre 6 mila abitazioni tutte “regolarmente abusive”, fatte salve alcune eccezioni con “strane” licenze rilasciate. Adesso, lo Stato, per chiudere con parziale vergogna ,questa assurda vicenda intende demolire 170 abitazioni , lasciando in piedi tanti altri “mostri” in giro per la Sicilia. La politica divide e fa dividere ogni opinione e spesso, non cerca la verità. Poi, in uno Stato civile , esiste il Diritto e le leggi per dirimere ogni questione. Restano le responsabilità storiche delle istituzioni che non hanno bloccato sul nascere questo enorme obbrobrio urbano che ha trovato linfa subito dopo il terremoto del 1968. Restano le responsabilità di tutti coloro che hanno costruito nel corso degli anni, nella consapevolezza di violare le leggi urbanistiche. Restano le responsabilità di tanti politici e funzionari di Stato che hanno a loro volta costruito abusivamente nel corso degli anni.
Cosa dicono le leggi? E le sentenze? Gli abusivi con la casa da demolire, visto il caos normativo degli ultimi 30 anni hanno solo torto? O il caso Triscina rischia di fare nascere una sostanziale differenza tra cittadini che hanno comunque violato la legge?
Fatevi una vostra opinione fuori dalle strumentalizzazioni politiche
Beni Ambientali. Opere nella fascia di 150 metri dalla battigia
TAR Sicilia (CT) Sez. I sent. 673 del 6 aprile 2009
Beni Ambientali. Opere nella fascia di 150 metri dalla battigia
Nel vietare insediamenti che si trovano entro la fascia di 150 metri dalla linea della battigia, il legislatore ha inteso dettare una norma a tutela dell’ordinato assetto del territorio, quindi comprensiva (ma non esclusivamente), della tutela del paesaggio: è consentita, infatti, una deroga al vincolo nelle zone A e B dello strumento urbanistico, che sono quelle ove l’assetto del territorio è già definito e non è suscettibile di ulteriore modificazione, se non in senso conservativo; inoltre, cosa più importante, la stessa norma non si limita a fissare il limite di inedificabilità nei 150 metri dalla battigia, ma determina altresì, per le ulteriori estensioni in profondità, articolate prescrizioni in ordine alla volumetria assentibile, graduandone la quantità in proporzione all’allontanamento dal mare (ossia, entro i 500 metri l’indice di densità territoriale edilizia è pari, nel massimo, a 0,75 mc/mq; oltre i 500 m e fino a 1000, è pari a 1,50 mc/mq). Alla ratio di tutela della disposizione in esame, quindi, va ricondotta una concezione dell’assetto del territorio che prescinde da una sua essenziale connotazione solo paesaggistica o ambientale, dovendovi invece ravvisare la concorrenza di più esigenze di tutela ( non ultima quella del decoro e della uniformità del comprensorio, della protezione e della tutela della condizione orografica e geologica delle coste, di sicurezza pubblica e così via) com’è naturale per le disposizioni dello strumento urbanistico, entro cui si compendiano e trovano sintesi tutte le molteplici e variegate esigenze possibili del governo del territorio.
LA NORMA dei 150 metri e il Tar di Catania nel 1997 :
Si applica, eccezion fatta per le costruzioni poste in essere nei Comuni forniti di pianificazione urbanistica, a tutti gli edifici realizzati dal giugno 1976 , nella fascia di arretramento dalla battigia sono stati costruiti in violazione dell’art. 15, comma I°, lettera a), della L.R. 12 giugno 1976 n.78, onde, allo stato, essi non possono essere sanati, per come prescritto dall’art. 23 della L.R. 10 agosto 1985 n. 37.
Lo scempio delle coste della Sicilia è davanti agli occhi di tutti: il fenomeno ha raggiunto proporzioni talmente imponenti da diventare praticamente irreversibile. Sembra infatti inimmaginabile che decine di migliaia di costruzioni costiere realizzate abusivamente (con l’impiego di notevolissime risorse economiche) possano essere demolite.
Tuttavia il Legislatore regionale non puo’ ignorare il fenomeno e mantenere una posizione di sostanziale inerzia, che non giova nè agli abusivi, nè all’intera collettività.
Sarebbe pertanto auspicabile un oculato intervento normativo, volto a consentire la sanatoria delle costruzioni in questione, previa redazione da parte dei Comuni di adeguati piani di recupero (da approvare ed attuare mediante procedure semplificate) diretti a:
1) salvaguardare gli accessi al mare, mediante acquisizione e demolizione delle strutture abusive che li intercludono;
2) garantire in vicinanza della costa adeguate aree libere, da destinare a parcheggio;
3) acquisire e demolire gli edifici che costituiscono un gravissimo danno al paesaggio non altrimenti evitabile;
4) demolire le costruzioni, ove troppo vicine alla linea di costa;
5) realizzare un’adeguata viabilità delle zone costiere.
Gli interventi previsti dai piani di recupero ben potrebbero essere finanziati dagli stessi abusivi mediate il pagamento, a titolo di oblazione, di somme rapportate al valore reale degli immobili da sanare (e quindi ben più consistenti di quelle richieste con le precedenti leggi di sanatoria), da vincolare alla realizzazione delle opere prima indicate.
Tale soluzione troverebbe adeguata giustificazione nel fatto che le costruzioni poste in vicinanza del mare hanno un valore di mercato sicuramente più elevato proprio in dipendenza della loro collocazione spaziale, per cui sarebbe veramente ingiusto consentire la sanatoria edilizia con il pagamento di un’oblazione pari a quella prevista per gli edifici situati lontano dalla costa.
Solo con un’operazione di tal genere potrebbe finalmente essere avviato il riordino delle zone costiere, a vantaggio dell’intera collettività e del turismo, che è la vera risorsa dell’Isola, ed il mare di Sicilia potrebbe tornare ad essere veramente un bene di tutti.
Catania, 1 Aprile 1997
Ettore Leotta
“R10”
37.1 – Fasce di rispetto “R1”, “R2”
Comprendono le fasce di rispetto”R1” ed “R2” a protezione del nastro stradale e della rete ferroviaria; esse
sono dimensionate e localizzate secondo le seguenti norme:
– zone di rispetto stradale al di fuori del perimetro dei centri edificati e degli insediamenti previsti dal
PRG, dimensionate in conformità alla normativa vigente ed alla relativa classificazione;
Le zone di rispetto “R1” ed “R2” non sono edificabili: sono peraltro computabili nel calcolo della capacità
edificatoria delle aree di cui fanno parte secondo le destinazioni e gli indici delle aree stesse. Per gli edifici
esistenti sono consentite opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, risanamento conservativo,
ristrutturazione senza alterazione di volume, secondo le destinazioni ammesse dalle norme di zona.
Sono altresì ammessi ampliamenti laterali di edifici esistenti che insistono in tutto o in parte in fascia di
rispetto di strade comunali purché:
– non oltrepassino la linea parallela all’asse stradale che passa sull’edificio esistente più vicino alla
strada;
– gli ampliamenti non estendano di oltre 12 m la proiezione degli edifici stessi sull’asse della strada;
– non siano situati in prossimità di curve e di incroci e comunque non comportino la formazione di
particolari situazioni di pericolo.
37.2 – zona “R3” di rispetto cimiteriale
Nelle zone di rispetto cimiteriale, individuate sulla base degli atti e dello strumento urbanistico vigente, non sono ammesse nuove costruzioni ad eccezione della realizzazione di impianti per la vendita di fiori, lapidi,
ecc. purché eseguiti con materiale smontabile.
37.3 – fasce “R4”di rispetto a vincolo paesaggistico dei corsi d’acqua (legge n. 431/1985)
Comprendono le aree che il D.L. n. 490/1999 assoggetta a salvaguardia temporanea e delle relative sponde o piede degli argini per una fascia di 150 m. Per tali
zone si ritiene che esistano rischi di modificazioni incompatibili con la particolare natura dei luoghi.
Nelle fasce “R4” di rispetto a vincolo paesaggistico dei corsi d’acqua individuate negli appositi elaborati
grafici di PRG qualsiasi attività di trasformazione urbanistica o edilizia al di fuori delle aree già edificate è
soggetta al rispetto delle norme specifiche di cui alla legge n. 431/1985.
All’interno di tali fasce, gli interventi di trasformazione edilizia, comprese le nuove costruzioni, sono
subordinati al rilascio di Autorizzazione Paesistica da acquisire preventivamente alla richiesta di permesso di
costruire; è altresì ammessa la realizzazione di nuovi manufatti destinati alla funzionalità del corso d’acqua
quali impianti di sollevamento irrigui, di bonifica, caselli per il telecontrollo, ecc.
37.4 – fasce “R5” di rispetto dei corsi d’acqua secondari (R.D n.523 del 1904)
Comprendono le fasce di rispetto”R5” a protezione dei corsi d’acqua secondari, per una estensione di m 10
dalla sponda del corso d’acqua stesso.
All’interno di tali fasce, che rientrano in classe di fattibilità quarta, non sono ammesse nuove costruzioni, se
non per opere pubbliche o di interesse pubblico non altrimenti realizzabili è altresì ammessa la realizzazione
di nuovi manufatti destinati alla funzionalità del corso d’acqua quali impianti di sollevamento irrigui, di
bonifica, caselli per il telecontrollo, ecc.
Comprende le zone archeologiche vincolate ai sensi della legge 1089/39 nonché le località note per
affioramenti di materiale di rilevanza archeologica; le attività di trasformazione edilizia e urbanistica e in
generale i lavori comportanti movimenti di terra, salvo quelli legati alla conduzione dei fondi agricoli, sono
assoggettati al parere preventivo della Soprintendenza Archeologica, nonché alle disposizioni vigenti in
materia.
Chiunque nel corso di interventi di trasformazione edilizia o di movimenti di terra porti alla luce tracce,
elementi, opere o manufatti che possano rivestire interesse archeologico, storico o artistico, è tenuto a
sospendere i lavori e darne comunicazione al Sindaco il quale provvederà ad informare la competente
Sovrintendenza. I lavori non potranno essere ripresi prima del benestare della stessa Sovrintendenza, che
dovrà comunque pronunciarsi entro 60 giorni dall’avvenuta comunicazione dei ritrovamenti.