Cambia la strategia investigativa.
Caccia ai furbi che sostengono la latitanza attraverso soldi e altre prestazioni. Perquisizioni in casa anche di professionisti insospettabili dall’alto tenore di vita
Trapani, la caccia ai fiancheggiatori del superlatitante Messina Denaro
La strategia tolleranza zero per fare terra bruciata intorno al boss portata avanti dal questore Alessandro Giuliano, figlio di Boris, il mitico capo della Mobile di Palermo ucciso nel 1979
CASTELVETRANO (Trapani) – Nella caccia a Matteo Messina Denaro è già considerato il primo blitz che dura una settimana. Con duecento uomini della polizia che mettono le mani su computer, taccuini, agende, registratori di cassa di imprenditori, commercianti, titolari di grandi negozi nel centro di Castelvetrano. Giorni e giorni di controlli culminati nelle notifiche all’alba di un giovedì che i presunti fiancheggiatori non dimenticheranno. Tutti sospettati di favorire la rete dei protettori del capomafia latitante dal giugno 1993, dalle bombe di Roma e Firenze seguiti ai massacri di Capaci e Via D’Amelio. E stavolta per la prima volta a coordinare le indagini contro questa primula che si scambiava “pizzini” con Bernardo Porvenzano c’è Alessandro Giuliano, il questore alla guida del Servizio centrale operativo, il figlio di Boris, il mitico capo della Mobile di Palermo ucciso nel 1979.
Tolleranza zero
«Stiamo lavorando su personaggi già a noi ben noti, trenta persone altre volte denunciate, stavolta senza l’emissione di provvedimenti di custodia cautelare, ma con informazioni di garanzia, tecnicamente ‘per procurata inosservanza di pena aggravata dalle finalità mafiose’…», spiega il dottor Giuliano, in contatto continuo con il suo vice, Vincenzo Nicolì, da giorni operativo su Castelvetrano e nel resto della provincia di Trapani. Pronto a tradurre questo “blitz” avviato da giorni in una sintesi concordata con la Direzione distrettuale antimafia del procuratore Franco Lo Voi e dell’aggiunto Paolo Guido: «Tolleranza zero. Per tutti coloro che continuano a tessere rapporti sotterranei scatta una sorta di tolleranza zero. Moduliamo la nostra attività investigativa adattandola a un contesto che continua a proteggere il latitante, ben oltre la cerchia dei parenti stretti. Controllando i conti e le attività di chi presumibilmente garantisce ancora flussi di denaro necessari alla latitanza».
La candidatura di Guttadauro
Una sfida aperta con la “cerchia” passata ai raggi X dello Sco, come spiega Nicolì: «Cerchia allargata ad alcuni parenti di Messina Denaro, compresi alcuni cugini dei quali preferiamo non fare nomi per il momento, ma senza avere coinvolto nei controlli di questi giorni le sorelle…». Esplicito riferimento a Rosalia, la moglie di Filippo Guttadauro, il capomafia del quartiere Brancaccio che, concluso il suo periodo di detenzione, vive a Roma, negando le “chiacchiere” su una sua presunta “candidatura” alla guida di Cosa Nostra dopo la morte di Salvatore Riina. Materia top secret per il dottor Nicolì che a Venezia è riuscito a ottenere, subito dopo la morte del boss, una misura molto più dura per il rampollo di Corleone, Salvuccio Riina, passato dalla libertà vigilata a Padova all’obbligo di trasferirsi per un anno in una casa lavoro.
Rendere difficile la latitanza
Nessuno si sbilancia sull’esistenza di un asse Castelvetrano-Corleone, ma per Giuliano e Nicolì è «necessario continuare a sottrarre acqua di coltura a Messina Denaro per tranciare i canali che gli consentono di avere risorse indispensabili alla latitanza». Di qui la strategia della «tolleranza zero» che non fa scattare arresti, ma che moltiplica la pressione dell’apparato investigativo sul territorio. Concentrando sull’area anche gli agenti della Mobile di Trapani, coordinati da Fabrizio Mustaro, e della vecchia Mobile di Giuliano senior, adesso guidata a Palermo da Rodolfo Ruperti. Con una procura distrettuale sempre più decisa ad evitare sovrapposizioni in una caccia che vede da anni in prima linea agenti dell’Aisi, i servizi segreti, squadroni di polizia e carabinieri finora lontani dalla meta di quel “fantasma” ritratto nelle poche foto che circolano con la Marlboro fra le dita, il Rolex bene in vista, Ray-Ban a goccia, la figura longilinea da cui deriva il nomignolo “u siccu”, il secco, il magro. Foto ormai ingiallite. Perché il boss potrebbe essere meno “siccu” e avere un’altra faccia.
Fonte : Corriere .it
Il Circolaccio