Elezioni in Sicilia, Ap: dopo il flop elettorale nel partito di Alfano è scontro
Infuriato Vinciullo, Castiglione: “Risultato in linea, nessun tracollo”. Ma molti sono tentati dal centrodestra
Dopo il tracollo la linea ufficiale è dare la colpa ai transfughi. Dentro e fuori Alternativa popolare, il partito del ministro degli Esteri Angelino Alfano che nella sua regione-chiave ha fallito l’approdo all’Ars, però, la resa dei conti è dietro l’angolo: il magma dello scontro si muove all’interno del partito, dilaniato fra chi vuole tornare a destra e chi vuole comunque proseguire, ma anche fra i “cugini” Centristi e fra gli alleati dem.
Di certo c’è che Ap-Centristi, la lista unica nata dopo l’asta al rialzo estiva fra Renzi e Berlusconi, non sbarcherà all’Ars, con un risultato che travolge molti big: non torneranno a Sala d’Ercole il presidente uscente dell’Assemblea Giovanni Ardizzone né il numero uno della commissione Bilancio Vincenzo Vinciullo, ma falliscono l’approdo anche l’assessora uscente Carmencita Mangano, l’eurodeputato Giovanni La Via, il senatore Giuseppe Marinello e il deputato uscente Lucio Forzese.
Così, adesso, è l’ora del redde rationem. E se Ardizzone si trincera dietro le dichiarazioni di prammatica (“Sono ancora il presidente dell’Ars, non commento fatti politici”) fra i più infuriati c’è certamente Vinciullo: nella sua Siracusa il partito ha superato il 9 per cento, un risultato che – se si fa eccezione per la Agrigento di Angelino Alfano, dove si è raggiunto l’8 – non è stato uguagliato nelle altre province. “Dove si è stati gonfi di potere – sibila il presidente della commissione Bilancio – non si è raggiunto un risultato paragonabile a Siracusa, che non esprime deputati né sottosegretari. Penso a Palermo, Catania e Messina”. Province nelle quali Ap ha raggiunto il 4 per cento o si è fermata addirittura al di sotto, nonostante siano catanesi il vicepresidente designato La Via e il sottosegretario Giuseppe Castiglione, messinese Ardizzone e palermitani il responsabile nazionale Enti locali Dore Misuraca e l’ex sottosegretaria Simona Vicari.
Castiglione, però getta acqua sul fuoco: “Il 4,2 per cento – taglia corto – è in linea con i nostri risultati nazionali. Ci aspettavamo di più, ma non è stato un tracollo se si considera quanta gente ha abbandonato il campo: non si ricostruisce la classe dirigente in cinque minuti”. Una linea condivisa dal leader regionale dei Centristi Adriano Frinchi: “Noi – annota – abbiamo pagato le fughe dell’ultima ora. Fa rabbia anche perché molti di quelli che volevano saltare sul carro del vincitore hanno fallito l’approdo all’Ars. Con loro avremmo superato la soglia di sbarramento”. “Se un gruppo lascia – obietta però ancora Vinciullo – vuol dire che non meritava fiducia”.
Il punto è che adesso qualcuno è tentato di tornare nel centrodestra, e ai più votati qualche telefonata è già arrivata. Un cambio di percorso individuale, ipotizzato nel silenzio da molti, o collettivo, come quello che invece sembra evocare, in vista dell’assemblea programmatica di sabato, la stessa Vicari: “Adesso – dice – è ora di svolgere una riflessione seria sulla strada da percorrere nel prossimo futuro per non incorrere nei medesimi errori del passato più recente. Nascondere questo risultato dietro calcoli percentuali che dimostrerebbero la possibilità di restare in vita a livello nazionale, puntando semplicemente a superare il 3 per cento nazionale, è un atteggiamento sbagliato”.
A pressare per l’addio al centrosinistra sono per lo più gli esponenti del nord, mentre in Sicilia l’alleanza è un po’ più salda: fra i Centristi, però, c’è anche chi ipotizza una separazione da Ap,
con la possibilità per chi rimane di confluire nel Pd. “In fondo – sussurra un big della lista – il gruppo dem all’Ars è composto quasi esclusivamente da centristi”. Sull’ipotesi, però, al momento il Pd frena: qualcuno, semmai, parla di scaricare Centristi e alfaniani, anche se la linea ufficiale è fare finta che nulla sia accaduto. Almeno fino all’insediamento della nuova Ars. La prima dal 1996 senza Alfano o uno dei suoi.