L’ex questore Germanà al processo depistaggio Borsellino: “Io un miracolato”
I misteri su Matteo Messina Denaro non finiscono mai. Ieri, da Giletti, è venuto fuori l’ennesimo caso inquietante che riguarda il boss di Castelvetrano. Germanà, che riuscì a non farsi ammazzare dai colpi della mafia trapanese, ha raccontato di avere fermato Matteo Messina Denaro negli anni 80 , subito dopo un efferato omicidio di mafia avvenuto nel Belice. A Messina Denaro fu fatto il guanto di paraffina che comprende la relativa presa delle impronte. Il fermo fu eseguito da Germanà per capire se Messina Denaro avesse usato armi nell’occasione del’omicidio su cui stava indagando. Il boss fu rilasciato. Non aveva sparato. E’ prassi, in questi casi, conservare gli esiti dei test. Invece, stranamente, di quei test e di quelle impronte del boss non vi è più traccia. Germanà li fece a Marsala. Infatti, gli inquirenti, ad oggi, non hanno neanche le impronte del boss latitante.Un altro caso che fa riflettere sull’azione dello Stato in quegli anni
Il tentato omicidio di Germanà e le indagini sul Notaio Ferraro che a Castelvetrano aveva tanti amici
Negli anni 80 e fino al suo arresto, il notaio Ferraro, originario di Castelvetrano è imparentato con una facoltosa famiglia locale
Ferraro, amava frequentare i salotti buoni di Castelvetrano. Incontrava, spesso , anche al Circolo della Gioventù , amici politici e anche uomini d’affari . Politicamente era vicino a Calogero Mannino , fino a quando nel 1993 finisce sotto inchiesta.A Castelvetrano sosteneva la corrente manniana della DC, allora molto potente e che nel 1990 prese molti voti e numerosi consiglieri comunali
Germanà indagava sui rapporti di Ferraro con il senatore Dc Inzirillo
“Io sono un miracolato, e lo ripeto. Sono un vero miracolato e non capisco perché gli altri colleghi siano morti e io no. Io quel 14 settembre del 1992 mi salvai solo per la mia prontezza di riflessi. Ma Messina Denaro, Bagarella e Graviano non riuscirono a uccidermi”.
Sono trascorsi 27 anni da quel giorno, ma per il Questore Rino Germanà è come se fosse stato ieri. L’ex poliziotto, oggi in pensione, rivive ogni attimo di quell’attentato . Ieri lo ha fatto da Giletti. Germanà, rispondendo alle domande di Giletti ricorda anche quello ‘strano’ trasferimento dalla Criminalpol di Palermo al commissariato di Mazara del Vallo, una sorta di retrocessione della sua carriera. Siamo nell’estate del 1992, e da poco meno di due mesi era stato ucciso il giudice Giovanni Falcone insieme con tre agenti della scorta.
Paolo Borsellino, che era stato trasferito a Palermo, dove ricopriva l’incarico di Procuratore aggiunto, e che per anni aveva lavorato a Marsala al fianco di Rino Germanà, aveva cercato di richiamare Germanà al suo fianco, poco prima di essere ucciso in via D’Amelio. Germanà aveva condotto una inchiesta su un tentativo di condizionare i componenti del collegio giudicante di un processo per mafia e che, secondo la tesi dell’accusa, potrebbe aver provocato il suo ‘strano’ trasferimento. Nel giugno del ’92 Germanà venne incaricato di indagare su pressioni denunciate da due alti magistrati di Palermo per pilotare il verdetto del processo per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile. Un tentativo che sarebbe stato condotto dal notaio Pietro Ferraro, condannato nel 2003.
Ferraro, si presentò a casa del presidente della Corte d’ assise d’ appello due giorni prima della sentenza per l’ omicidio del capitano Emanuele Basile. Si complimentò con il magistrato per la bella carriera, poi disse: «Vengo per conto di un politico dell’ area manniniana trombato»il notaio Pietro Ferraro, massone di livello con solidi agganci a Castelvetrano nella borghesia ricca, intercettato dalle microspie di se diceva: “Mi muovo solo per Totò Riina, lo voglio bene come un padre”. Ferraro era notaio di fiducia di Francesco Messina Denaro, padre di Matteo. Era proprio Ferraro, che tra gli anni ’70 e 80 stilò diversi atti al vecchio boss
Fonte: LA 7. Repubblica