Il superpoliziotto La Barbera
era un agente dei Servizi. Ormai è ampiamente dimostrato dai documenti
Per almeno due anni fu una “fonte” del Sisde. Nome in codice “Catullo”. Per ora non ci sono legami tra i buchi neri delle inchieste e il doppio ruolo del poliziotto. Molti , invece, i punti da chiarire sulle indagini per gli attentati all’Addaura , di Capaci e a Paolo Borsellino. Già nel 2010 era emersa dalle indagini la strana operatività di La Barbera sulle indagini
La Barbera è morto nel 2002 portando con se tante informazioni
C’è una relazione riservata che è finita fra le carte delle stragi siciliane. E’ la fotocopia di un fascicolo dei servizi segreti, una scheda intestata alla “fonte Catullo”. Sotto il nome in codice, c’è anche il nome vero del personaggio sotto copertura: Arnaldo La Barbera, capo della squadra mobile di Palermo a cavallo fra gli anni Ottanta e Novanta e poi a capo del “Gruppo Falcone-Borsellino”, il pool di investigatori che per decreto governativo ha investigato sulle uccisioni dei due magistrati.
Questa è l’ultima informazione arrivata dall’Aisi (l’Agenzia per la sicurezza interna) ai procuratori di Caltanissetta che indagano su Capaci e via Mariano D’Amelio, ed è anche l’informazione che potrebbe dare una sterzata decisiva a tutte le inchieste sui massacri di mafia avvenuti in quella stagione in Sicilia. Arnaldo La Barbera, morto di cancro nel settembre del 2002, fama di funzionario integerrimo, un duro catapultato nella prima settimana di agosto del 1988 in una Palermo rovente soffocata dai sospetti e dai veleni, in realtà era al soldo del Sisde con una regolare retribuzione registrata nel fascicolo spedito qualche settimana fa agli inquirenti siciliani. Un’anomalia – capo della mobile di Palermo e “fonte Catullo” – che forse porterà a inseguire altre tracce sulle stragi. A cominciare dall’autobomba che ha fatto saltare in aria Borsellino e a finire al fallito attentato dell’Addaura. Per il momento non c’è alcun collegamento – preciso, documentato – fra i buchi neri delle indagini sui massacri e la scoperta della “fonte Catullo”, lo scenario che però si apre con l’entrata in scena di La Barbera agente segreto è di quelli molto inquietanti.
A svelare l’esistenza della scheda e del doppio incarico di Arnaldo la Barbera sono stati due giornalisti, Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, che ne L’Agenda Nera – un saggio ,ricostruiscono come sono state taroccate le indagini su via D’Amelio. Un capitolo è dedicato ai “depistaggi di Stato”. Ed è lì che si svela l’identità della “fonte Catullo”. Chi ha indagato sugli assassini di Paolo Borsellino – e ha incastrato il falso pentito Vincenzo Scarantino, quello smentito diciassette anni dopo da Gaspare Spatuzza – risultava nel 1986 e nel 1987, quindi nei due anni precedenti al suo arrivo a Palermo, un agente sotto copertura. Se la circostanza è assai strana di per sé (perché un poliziotto, anzi un superpoliziotto, avrebbe dovuto ricevere degli “extra” dal servizio segreto? e quali notizie di polizia giudiziaria avrebbe dovuto rivelare all’intelligence?), ancora più complicato e cupo è il contesto in cui questa informazione scivola. E’ quello della strage Borsellino. Indagine che è parzialmente da rifare, con un pezzo del processo già definito in Cassazione che va verso la revisione.
Le ultime investigazioni hanno accertato che il pentito Scarantino, voluto a tutti i costi da Arnaldo La Barbera come l’autore del furto di quell’auto che poi servì a uccidere Borsellino, mentiva. E mentiva probabilmente per sviare le indagini. L’interrogativo che si pongono oggi i magistrati: Vincenzo Scarantino è stato incastrato per un’ansia da prestazione, per trovare subito un colpevole oppure è stato “costruito” a tavolino per insabbiare ogni altra indagine sugli assassini del procuratore?
La scoperta della “fonte Catullo” riporta anche ad un’altra vicenda: quella sul fallito attentato all’Addaura. Una nuova inchiesta ha capovolto la scena del crimine: quel giorno – il 21 giugno 1989 – sugli scogli c’era un pezzo di Stato che voleva Falcone morto e un altro pezzo che l’ha salvato. Da una parte boss e agenti dei servizi che piazzarono l’ordigno, dall’altra i poliziotti Nino Agostino ed Emanuele Piazza che scoprirono quello che stava accadendo e riuscirono a sventare l’attentato. Dopo un mese e mezzo l’agente Agostino fu ucciso (Emanuele Piazza fu strangolato nove mesi dopo) e la squadra mobile di Palermo seguì per anni un’improbabile “pista passionale”. Un altro depistaggio. Cominciato la stessa notte dell’omicidio con una perquisizione a casa del poliziotto ucciso. Qualcuno entrò nella sua casa e portò via dall’armadio alcune carte che Agostino nascondeva. Quel qualcuno era l’ispettore di polizia Guido Paolilli, ufficialmente in servizio alla questura di Pescara ma spesso “distaccato” a Palermo e “a disposizione” di La Barbera. Scendeva in Sicilia in missione segreta – come la sera che perquisì la casa dell’agente Agostino e fece sparire gli appunti – senza lasciare mai traccia della sua presenza nell’isola. Qualche mese fa una microspia ha registrato la sua voce mentre raccontava al figlio: “In quell’armadio di Agostino c’erano carte che ho distrutto”.
Chi era Arnaldo La Barbera
Arnaldo La Barbera (Lecce, 9 dicembre 1942 – Roma, 12 dicembre 2002) è stato un poliziotto, funzionario e prefettoitaliano, dirigente generale della Polizia di Stato.
Dopo la laurea lavora alla Montedison. Iniziata la carriera in polizia nel 1972 come commissario di Pubblica Sicurezza, è capo della squadra mobile di Venezia-Mestre dalla fine degli anni Settanta, dove è impegnato anche in indagini antiterrorismo. In quel periodo (nel 1986 e nel 1987) risulta essere stato un collaboratore del Sisde, il servizio segreto civile[1]
Promosso capo della Mobile di Palermo nell’agosto del 1988. Qui dopo una serie di arresti di latitanti eccellenti, gestisce le prime indagini per le stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992. Nel gennaio 1993 viene nominato dirigente generale e trasferito alla Direzione centrale della polizia criminale, per tornare pochi mesi dopo a Palermo per guidare il “gruppo d’indagine Falcone-Borsellino” dello SCO, e per essere nominato nel 1994 questore del capoluogo siciliano[2]. Ha convinto a collaborare il falso pentito Vincenzo Scarantino, che portò ai processi sulla strage di via d’Amelio[3], le cui risultanze furono completamente smentite diciassette anni dopo da Gaspare Spatuzza nel processo Borsellino quater.[4]
Resta a Palermo fino al febbraio del 1997, quando arriva la nomina a questore di Napoli.[5]
Il 14 ottobre del 1999 è diventato questore di Roma dove resta fino al gennaio 2001[6].
Da gennaio 2001, nominato prefetto dal Consiglio dei ministri[7], è a capo della Direzione centrale della polizia di prevenzione (l’ex Ucigos) da cui viene spostato il 3 agosto 2001 per un avviso di garanzia ricevuto dopo l’irruzione della polizia alla scuola Diaz durante il G8 di Genova, per andare alla vice direzione del CESIS[8], l’organo di coordinamento dei servizi segreti. Morì per un tumore al cervello a 60 anni.[9]
Fonte: Repubblica e WIKI PEDIA
Il Circolaccio