Il vice di Pignatone ha vinto il ballottagio con Francesco Lo Voi
Decisivo è stato Davigo che è come è notorio è vicino al Ministro Bonafede. a sorpresa spunta Prestipino che aveva meno titoli degli altri candidati
Lo scontro tra le correnti però è stato durissimo. E i componenti laici – due indicati dalla Lega, due da Forza Italia, tre da M5S – hanno svolto un ruolo determinante. Sul plenum ha anche aleggiato pesantemente lo scandalo perugino sulle toghe sporche, il noto caso Palamara del maggio 2019, dove magistrati del Csm e politici (gli allora Pd Lotti e Ferri, oggi il primo ancora Dem, il secondo passato con Renzi) trattavano nottetempo giusto il destino della procura di Roma
Michele Prestipino è il nuovo procuratore di Roma. Lo ha nominato il Consiglio superiore della magistratura. Prestipino, aggiunto nella capitale e facente funzioni da quando è andato in pensione Giuseppe Pignatone, ha avuto la meglio al ballottaggio con 14 voti su Francesco Lo Voi che ne ha avuti 8.
A favore di Prestipino hanno votato i cinque togati di Area, i tre di Unicost, che al primo turno avevano votato per Giuseppe Creazzo, escluso dal ballottaggio, tre del gruppo di Auronomia &Indipendenza, Piercamillo Davigo, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra, due laici delMovimento 5 Stelle, Alberto Maria Benedetti e Fulvio Gigliotti, e il pg della Cassazione Giovanni Salvi.
A Francesco Lo Voi sono andati i voti dei tre togati del gruppo di Magistratura indipendente, dei due laici in quota Forza Italia, Alessio Lanzi e Michele Cerabona, dei uno dei laici della Lega, Stefano Cavanna, di uno del M5S, Filippo Donati, e del primo presidente della Cassazione, Giovanni Mammone.
Tre sono stati gli astenuti: il togato di A&I Sebastiano Ardita, l’indipendente Nino Di Matteo, che al primo turno avevano votato per Creazzo, e il laico della Lega Emanuele Basile, che si era astenuto anche al primo turno. Non ha partecipato al voto il vicepresidente David Ermini.
Finisce cosi, la lunga campagna elettorale tra le toghe per la successione a Pignatone
«La nomina di procuratore capo a Roma vale tre ministeri», diceva Franco Evangelisti, indimenticato protagonista del potere andreottiano. Il Consiglio superiore della magistratura ha appena scelto per questa carica Michele Prestipino, 63 anni, siciliano, grande passione per la filosofia teoretica, una carriera trascorsa sui fronti caldi di Palermo e Reggio Calabria sempre accanto all’amico e mentore Giuseppe Pignatone cui succede nel ruolo di guida della procura più politica d’Italia.
Il Procuratore di Roma ha un affaccio naturale sul panorama del potere italiano in cui penetra inevitabilmente per le competenze dell’ufficio e grazie a sempre più sofisticati edinvasivi strumenti di intercettazione come i Trojan. Finisce per essere il depositario di molti segreti che non necessariamente sfoceranno in indagini e processi: molti restano allo stato gassoso come spunti e indiscrezioni spesso non utilizzabili ma non per questo meno significativi.
Per dire, nel Partito democratico romano difficilmente dimenticheranno il convegno da loro organizzato in cui l’allora procuratore capo venne ad ammonire sulla degenerazione corruttiva nei partiti della sinistra. L’indomani molti dei presenti che lo applaudirono convinti furono associati alle carceri o si ritrovarono un avviso di garanzia a causa dell’indagine condotta proprio dal procuratore contro il boss Massimo Carminati e gli associati di Mafia capitale.
Pignatone lascia a Prestipino un’eredità estremamente impegnativa e particolare. La sua gestione è stata una forte folata di novità che ha cambiato radicalmente le felpate e caute prassi in vigore negli uffici romani, molto spesso adattate ai ritmi blandi e prudenti dei contigui palazzi della politica, e all’arte sublimemente romana del traccheggio.
Dopo Pignatone la procura non sarà più il classico “porto delle nebbie” come sprezzantemente definito ai tempi del potere andreottiano esercitato tramite uno dei più fidati proconsoli, il pm Claudio Vitalone. Un’epoca finita traumaticamente dopo Mani Pulite con un blitz della procura milanese di Saverio Borrelli che arrestò il potente capo dell’Ufficio Gip di Roma, l’ ex consigliere giuridico e stretto amico di Bettino Craxi, Renato Squillante. Un giovane sostituto, Paolo Ielo, era delegato ai delicati adempimenti di quella clamorosa operazione e in quegli uffici è poi tornato come autorevole e potente procuratore aggiunto con competenza sui reati contro la Pubblica Amministrazione. Uno dei più convinti supporter del nuovo capo e che imprevedibilmente ha avuto un ruolo importante per la sua nomina.
All’epoca Prestipino di poco più anziano, arrivava alla Procura di Palermo dove avrebbe conosciuto e intrecciato la sua carriera con quella di Giuseppe Pignatone, già impegnato con ruoli di rilievo nella epica stagione dell’antimafia di Falcone e Borsellino e dello stragismo. Da lì un lungo cammino professionale congiunto su fronti caldi come Reggio Calabria e poi la Roma di Mafia Capitale, la maxi inchiesta voluta da Pignatone, che Prestipino ha concluso come capo dell’Ufficio facente funzione in attesa paziente e piuttosto prolungata (dieci mesi) di divenire il titolare a tutti gli effetti. Gli è toccato commentare, va detto con ammirevole fair play, la delusione di vedere respinta all’ ultimo metro dal traguardo ad opera della Cassazione la tesi d’accusa cui più l’Ufficio teneva: quella di un conglomerato affaristico -mafioso di nuovo conio che avrebbe spalancato ampi ed insospettati campi d’indagine nel sottobosco criminale e soprattutto politico-professionale, che da sempre Pignatone e Prestipino ritengono il nemico più insidioso da colpire.
Prestipino è un vincitore a sorpresa, il classico outsider che emerge inaspettato in virtù di una irripetibile situazione da “Stato di eccezione “. Considerato dai sostituti più vicini a Pignatone come il continuatore ideale dell’opera del predecessore sembrava fuori dalla corsa avviata alla designazione di Marcello Viola, procuratore generale a Firenze, fama di moderato in “ discontinuita“ con la precedente stagione. Viola godeva dell’appoggio delle correnti di centro-destra (Unità per la Costituzione e Magistratura Indipendente) allora in maggioranza nell’associazione nazionale magistrati, l’organismo di rappresentanza della categoria che funge da cinghia di trasmissione per le designazioni direttive formalmente spettanti al Csm.
A sconvolgere i pronostici è stata la pubblicazione sulla stampa di clamorosi estratti di un processo in corso a Perugia contro l’ex presidente dell’associazione nazionale magistrati e referente massimo di Unicost, Luca Palamara, che evidenziavano una serie di non commendevoli manovre elettorali e di compromessi con la politica proprio dietro la candidatura del favorito Viola, che a seguito di ciò, seppure assolutamente estraneo, ha dovuto rinunciare.
All’origine dell’indagine una denuncia firmata da Paolo Ielo che segnalava come dalle intercettazioni di Palamara con altri colleghi, membri del Csm e del Palazzo emergessero le prove di un complotto con false accuse contro di lui. Una versione, quella di Ielo, noto per il suo rigore, che è stata condivisa dai colleghi di Perugia.
Lo scandalo ha cambiato le carte in tavola per la nomina e la maggioranza dentro Anm che oggi riposa nelle mani della Corrente di sinistra “Area” ed in quella autonomista di “Autonomia e Indipendenza” facente capo a Piercamillo Davigo e Nino Di Matteo, l’ala giustizialista e populista della magistratura in una curiosa versione in chiave istituzionale dell’alleanza giallorossa al governo (coincidenze). Da loro è venuto l’appoggio decisivo per la vittoria di Prestipino.
Pignatone e Prestipino non si sono limitati alla propria professione ma hanno considerato una naturale estensione del loro impegno una intensa attività pubblicistica e convegnistica per promuovere un forte impegno anti Mafia nella società.Una convinta visione illuminista della società bene spiegata in due volumi scritti a quattro mani: “il contagio” e “sistemi criminali” ( Laterza). Il leit motiv ricorrente è quello del ruolo decisivo rivestito dalla connivenza della società civile con il sistema mafioso. «Bisogna essere consapevoli che molto spesso il comportamento del politico, dell’amministratore, del professionista, dell’imprenditore non è di per sé illecito, anzi è di per sé lecito ovvero coperto dalle varie forme di discrezionalità proprie di queste figure. È solo nel rapporto con l’organizzazione mafiosa che quelle condotte acquistano significato e rilievo in termini di illiceità …. riteniamo che alcune date della nostra storia recente …abbiano segnato la «fine dell’innocenza», cosicché non è più accettabile –sotto il profilo che stiamo considerando –dire «io non sapevo, non mi rendevo conto». Anche laddove va esclusa la responsabilità penale, deve intervenire un giudizio di ordine diverso sull’adeguatezza di quelle persone a ricoprire incarichi di responsabilità».
Sotto il profilo socio-antropologico una simile visione può essere anche condivisibile, ma è forte il rischio legato alla declinazione di questo principio nella chiave del diritto penale moderno nato sulla rigorosa distinzione tra etica e norma. Non rientra esattamente nel compito del processo penale quello di impartire un codice di condotta bensì quello di stabilire norme chiare, precise e determinate da cui il cittadino in base a un preciso patto conosca l’esatto confine tra ciò che è lecito è ciò che non lo è. Qui posa la libertà del cittadino nello Stato di diritto che non può essere limitata neanche da buone e lodevoli intenzioni come la lotta al crimine.
È successo nel corso di questi anni che la Procura di Roma abbia dato l’impressione di una visione non così nitida sul punto proprio con riferimento al ruolo dei professionisti ad esempio. Non si discutono le buone intenzioni ed il personale sacrificio di chi si adopera in nome loro ma quando si affronta un processo , se non proprio Kelsen, anche un inquisitore colto e di alto livello come Michele Prestipino farà bene a ricordare il monito che chiude uno straordinario libro di Leonardo Sciascia: «Un brav’uomo il procuratore. Ma di brav’uomini e’ la base di ogni iniquità» (A Porte aperte, Adelphi)
Fonte: Il Dubbio, L’INKIESTA