E’ stata depositata la motivazione della sentenza che condanna Montante, l’ex presidente di Sicindustria, a quattordici anni di reclusione per una complessa, articolata, singolare associazione a delinquere che, già nella fase istruttoria era stato escluso poter considerarsi “mafiosa” ex 41 bis c.p. Caso più unico che raro di pronta interpretazione restrittiva, in applicazione di una norma di legge “elastica” nella sostanziale sua tautologia: “è mafiosa ogni associazione che può considerarsi tale”.
Non si pone questo problema la sentenza del GIP di Caltanissetta che con il rito abbreviato, inconsueto in processi per reati associativi di tal portata e complessità, ha emesso la sentenza su un “caso cardine” dell’evoluzione della criminalità in Sicilia. C’è da dire che la sentenza, però non esita a definire mafioso il “Sistema Montante” seppure di una mafia speciale, addirittura “trasparente”.
Sentenza completa? Completamente appagante? Direi di no. Ed il contrario, del resto sarebbe troppo pretenderlo, in questo primo confronto della nuova realtà della grande criminalità siciliana con la Giustizia.
Se si proseguirà sulla strada giusta, se non resterà questa sentenza un caso isolato, si dovranno rivedere molte cose delle trionfali ammucchiate dei processi “contro” la mafia tradizionale, quella delle “coppole storte” e della lupara.
C’è però un punto della motivazione che subito solleva un interrogativo. L’interrogativo di fronte al vuoto di un elemento troppo evidentemente necessario al “sistema”, alla “novità” della mafia, alla mafia dell’antimafia di Sicindustria.
Dice la sentenza che Montante era il vertice di un’organizzazione criminale infiltratasi negli organismi dello Stato destinati a combattere la criminalità: Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza.
Un tavolo a tre gambe? Direi di no.
Ne manca una, senza la quale quel “sistema” non sarebbe stato un vero “sistema”, quella mafia una vera mafia, come quella, volutamente allora sconosciuta, dei tempi di “Piccola Pretura”.
La quarta gamba “innominata” e, ahimè, tuttora pressochè innominabile è la Magistratura.
Non sono un mafiologo, anche se il sistema Montante l’ho visto, ne ho avuto le prove, ne ho parlato e scritto sempre come della mafia dell’antimafia (definizione non perfettamente coincidente ma abbastanza appropriata). Chiamatela come vi pare, ma un’organizzazione come quella descritta dalla sentenza in questione non si crea in un giorno e nemmeno in un anno. E non ne può sfuggire l’esistenza, la sensazione del suo potere, della “intoccabilità” dei suoi esponenti all’occhio della Magistratura. Una Magistratura che in Sicilia ed altrove si qualifica anziché organo di garanzia di mera applicazione delle leggi, schiera “di lotta”, formazioni di battaglia “contro le mafie” (si noti il plurale, che, almeno oggi, possiamo constatare fosse da considerare abusivo).
Il tavolo è a quattro gambe. Solo che la pregevole e meritevole sentenza del GIP si attiene al dovere di “intoccabilità” della sua casta. Perché accanto alle Forze dell’Ordine (nel caso, però, anche del “sistema”) c’è necessariamente la gamba del tavolo costituita da qualche non del tutto marginale appartenente alla Magistratura.
Rifare la storia degli interventi della Magistratura “ad adiuvandum” di quello che ora consideriamo il “Sistema Montante”, dei suoi esponenti nonchè della bocca tappata a chi denunciava null’altro che le malefatte di quel sistema, non è certo facile anche se non s’ha, certo per affermarlo, da gettare fango sull’onore e la reputazione di magistrati che, magari, avevano solo il difetto di essere un po’ troppo “alla moda”. Ma si direbbe che è stata la Magistratura che ha steso per l’occasione un velo di inusuale garantismo che ha permesso lo sviluppo ed il rigoglio di una Sicindustria “antimafiosa” ma in realtà criminale.
Un garantismo che non è stato assicurato, invece, alle pochissime voci (si pensi al caso Petrotto) che si levavano e si levano contro i tipici abusi di una parte di quella Sicindustria, ad esempio, di quella agrigentina del ramo dell’immondizia, oggi definibile come “sistematica”, se proprio non si vuole definirla mafiosa.
Penso con rinnovato dolore e costernazione ad un caso a me ben noto in cui la vita di un uomo è stata, di fatto, assieme alla sua libertà personale, sacrificata alle calunnie dei pentiti, con l’effetto, tra l’altro, si noti bene, di allargare le aree delle infernali discariche del “Vice” di Montante. In quel processo scomparvero dalla memoria e dalla documentazione della Questura di Agrigento elementi di prove che avrebbero potuto essere determinanti in favore del disgraziato comproprietario di un’area troppo “appetibile”.
Facile convincimento di un difensore troppo appassionato? Nessuno, credo potrà provarlo, né provare la verità. Tipico delitto di “mafia dell’antimafia”, quella mafia che non si osa ancora nemmeno chiamare col suo nome.
Sarei ben lieto di poter escludere che da questa nuova mafia, dal “sistema Montante”, fossero da considerare completamente estranei, semmai coinvolti involontariamente per la loro carente professionalità, quei magistrati che hanno così a lungo coperto o non voluto o potuto vedere la realtà dell’organizzazione criminale.
Ma se, doverosamente, la sentenza di condanna di Montante non fa sconti a Carabinieri, Poliziotti, Guardie di Finanza, per ciò che riguarda l’infiltrazione del “Sistema” ed il contributo ad esso dato di singoli appartenenti a quei Corpi, al suo funzionamento, rimane quanto meno un interrogativo: E i magistrati? Non ve ne sarà traccia (o forse sì). Ma è certo che da quella parte sono venuti solo apprezzamenti per il “rigore antimafioso” di Sicindustria. E sostanziali, auguriamoci involontario, appoggi.
La mafia dell’antimafia si è sviluppata sotto gli occhi di una Magistratura che oggi dovremmo definire quanto meno, un po’ stranamente miope.
Mauro Mellini
11.10.2019