Messina Denaro alla sorella: «Non morirò di tumore, appena non ce la faccio più mi ucciderò»

Il boss temeva la grave sofferenza dovuta al decorso della malattia. Probabile la decisione di “farsi fuori” per non soffrire. Poi, forse consigliato da qualcuno, cambia strategia. E’ credibile la tesi del “facile arresto?” Su questo punto non è facile trovare logiche spiegazioni. Da quanto ha detto ai Pm di Palermo, Messina Denaro avrebbe potuto scegliere  di allentare i cordoni del suo castello e farsi prendere. Come dire: che aspettate a prendermi? Non voglio morire senza cure per il dolore. Insomma, sapendo bene cosa lo aspettava , da vigliacco , ha lasciato tracce in giro, dopo anni di assoluta oscurità , forse per farsi trovare. 

Cosa hanno suggerito i suoi “amici” medici al boss? Perchè non si spara e sceglie altre strategie?

Sapeva pure trovare le telecamere. Almeno così ha detto ai Pm. Anche questa tesi sembra una “minchiata” . Aveva uno strumento? Oppure , sapeva  delle telecamere  con  l’aiuto di qualche uomo delle istituzioni infedele?

 

Il cancro, il futuro che non c’è e così Matteo Messina Denaro inizia a preparare  lucidamente la sua uscita di scena. «Non morirò di tumore, appena non ce la faccio più mi ucciderò a casa e mi troverai tu. Ti dirò quando arriverà il momento» scriveva alla sorella Rosetta arrestata dai ROS. Il boss era ormai cosciente della gravità delle sue condizioni e si affrettava a lasciare le sue disposizioni per l’ultima sfida allo Stato: meglio una morte volontaria che la resa dopo trent’anni di latitanza. Per chiudere da eroe solitario la sua partita Messina Denaro, come scrive il quotidiano La Repubblica, avrebbe potuto usare la pistola Smith & Wesson che teneva nel suo covo di Campobello di Mazara. E invece il piano non riesce. Viene arrestato e portato in caserma stranamente senza manette ai polsi. Non viene neanche disarmato. Era senza armi. Un boss così potente va in giro senza armi. I tempi sono cambiati. Dobbiamo ridere? Difficile farlo dopo tutto quello che ha combinato . Anche lo Stato e l’antimafia di cazzate ne hanno fatte e dette. 

Le indagini condotte dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido continuano però a cercare altri segreti e soprattutto fiancheggiatori.  Punti d’appoggio e  amici ricchi di cui Messina Denaro aveva o aveva avuto la disponibilità. Di sospetti fiancheggiatori in Provincia di Trapani ne sono rimasti pochi. In 10 anni di terra  bruciata ne hanno buttati nel fosso tanti. Mischini pure quelli che non avevano mai avuto rapporti con il boss. “A cu pigghiu pigghiu” la teoria della signora Principato. E il boss? Si divertiva tranquillamente assistendo alle retate che non lo disturbavano minimamente. Tanto è sicuro di Se che non sentendo ancora i morsi acuti del cancro continuava a fare l’arrogante. Poi, la decisione di non suicidarsi. Curiosamente nel progetto suicida si ritrova una somiglianza con la fine di Francesco Messina Denaro, don Ciccio, il padre di Matteo. Anche lui morì da latitante ma non per scelta volontaria: fu stroncato da un infarto. Polizia e carabinieri trovarono in campagna la salma già composta con vestito nuovo e cravatta. Non si recò in ospedale in preda alla crisi cardiaca? Non ci fu un medico che cercò di curarlo? Non lo sapremo mai. Troppe le falle investigative

Ass. Verità e Giustizia

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