Paolo Borsellino non era soltanto il magistrato. Non era soltanto l’uomo che con coraggio affrontò fino all’estremo sacrificio il suo cammino. A raccontare l’uomo – descritto nel libro del giornalista Salvo Palazzolo – è la figlia Fiammetta.
Sono trascorsi quasi trent’anni dalla strage di Via D’Amelio. Un tempo lunghissimo che spesso riteniamo sia sufficiente a lenire il dolore di qualunque ferita. A dirci che non è così, sono lo sguardo e le parole di Fiammetta Borsellino, che seppur nascoste dietro il suo sorriso, lasciano trasparire un dolore sordo che nulla potrà mai sopire.
L’amore di una figlia verso il padre, a tal punto da pensare – a soli cinque anni, uscendo da casa e temendo una scarica di proiettili – di potersi mettere dinanzi al suo papà e fargli da scudo con il suo corpicino.
Il ricordo di mille attimi. Il ricordo di una famiglia unita e dei mille aneddoti di quella vita terminata troppo presto e in maniera tanto brutale. Al ricordo e al dolore si aggiunge la delusione e la rabbia per “un’attività orientata non alla verità ma all’allontanamento dalla verità”: Il depistaggio!
È Fiammetta Borsellino che parla del problema che esiste nel momento in cui si celebra un processo, e uomini delle istituzioni chiamati a deporre fanno scena muta o dicono di non ricordare il loro operato relativo a quello che definisce uno dei processi più importanti della storia giudiziaria di questo Paese. Scene alle quali ha personalmente assistito, con magistrati e poliziotti che chiamati a testimoniare dicevano ripetutamente di non ricordare.
La figlia di Paolo Borsellino ricorda l’interessamento del padre al dossier mafia-appalti, che portò alla strage nella quale perirono il giudice e gli uomini della sua scorta. Ricorda come proprio suo padre chiedesse a gran voce l’assegnazione di quelle indagini, tanto da convocare, poco prima che morisse, una riunione in Procura di cui ci sono pure le disposizioni, chiedendo conto e ragioni in merito alla conduzione di quelle indagini. Eppure, per tanti anni, il dossier mafia-appalti è rimasto l’argomento da non toccare.
Si chiede dunque perché ci sono magistrati che continuano a negare l’interessamento del Giudice Borsellino al dossier-mafia appalti, quando era risaputo il suo interesse a quell’inchiesta.
Il riferimento è al rapporto del Ros, stilato il 16 febbraio 1991 – inviato a Giovanni Falcone e ai Sostituti Guido Lo Forte e Giuseppe Pignatone – relativo alle indagini che vedevano “Cosa Nostra” fare il salto di qualità, passando da organizzazione parassita che viveva del “pizzo” pagato dalle ditte, all’acquisizione delle stesse o al loro controllo. Quell’indagine voluta da Giovanni Falcone, e alla sua morte da Paolo Borsellino, che individuava proprio nell’inchiesta condotta da Mori e De Donno la causa della strage di Capaci. Una pista investigativa – quella degli appalti – che aveva già suscitato l’interesse anche di altri magistrati dei quali scriveremo successivamente.
Eppure, “continuano ad esserci magistrati tipo Scarpinato, il quale dice che mio padre non era interessato a un dossier che probabilmente è stato la causa pure della sua morte” – afferma Fiammetta Borsellino.
Non usa mezze parole nel ricordare come suo padre dicesse sempre che “politica, istituzioni e mafia, sono poteri che agiscono sul controllo dello stesso territorio, per cui o si fanno la guerra o si mettono d’accordo. Quando si mettono d’accordo la lotta nei confronti della mafia è debole. La lotta nei confronti della mafia è debole nel momento in cui c’è un procuratore Giammanco, che era il procuratore all’epoca che arrivano le informative dei Ros sull’arrivo del tritolo a Palermo e non informa mio padre. Allora lì si muore! Si muore perché si è completamente soli!”
Alternando il ricordo di Paolo Borsellino uomo, padre e magistrato, offre a chi la ascolta un insegnamento che è l’eredità morale lasciatale dal padre:
“Questo non vuol dire che non bisogna avere fiducia nelle istituzioni. Questo è il più grande errore che si possa compiere. Mio padre era un uomo delle istituzioni. Ha creduto nelle istituzioni fino alla fine. Ha creduto fino alla fine nell’idea di una magistratura sana e onesta, fino all’estremo sacrificio della propria vita, e oggi non avere fiducia nelle istituzioni, sarebbe come disattendere la principale eredità morale che ci ha lasciato”.
Non trascura però l’aspetto che ha riguardato i tanti anni di processi che non hanno portato alla verità sulle stragi, che l’hanno allontanata grazie ai depistaggi, chiedendosi come ci possano essere magistrati, oggi assolti dalle procure, che hanno ritenuto di omettere di chiamare testi prima che morissero o gli venisse l’Alzheimer. “Bisognava chiedere i testimoni al tempo giusto. Bisognava acquisirli ai processi – continua Fiammetta Borsellino – Mentre tutto questo non è stato fatto. Oggi i magistrati che non l’hanno fatto sono i magistrati più scortati. Sono i magistrati che presentano libri nei teatri, sui processi che fanno, ancora non finiti. Cosa che mio padre non avrebbe mai fatto”.
Anni di indagini e processi fatti male, fino ad arrivare al Borsellino Qater che ha sancito il depistaggio dal quale si doveva ripartire per arrivare finalmente alla verità. Quel depistaggio che vede a Caltanissetta inquisiti i poliziotti che gestirono il falso pentito Vincenzo Scarantino, mentre per i magistrati titolari di quelle indagini, indagati dalla Procura di Messina, è stata disposta l’archiviazione.
La figlia di Paolo Borsellino non entra nel merito del processo per rispetto delle istituzioni. Quel rispetto che costituisce la vera eredità morale che il Giudice ha lasciato ai suoi figli. Ma, com’è giusto che sia, puntualizza che la famiglia Borsellino ha fatto ricorso contro quell’archiviazione nei confronti dei magistrati titolari di quello che definisce uno dei più colossali errori giudiziari della storia di questo Paese.
La voce di Fiammetta è limpida, sul suo volto un sorriso con il quale cerca di celare quel turbinio di emozioni che deve sconvolgerla dentro mentre alterna il ricordo del padre, dell’uomo, del magistrato.
“Io sono qui per rivolgermi principalmente ai giovani, perché è l’unica cosa che mi spinge a fare questi interventi dove metto in moto tanta emotività… nonostante ci sia stato qualcuno che dopo 30 anni ci considera dei cretini a piangere i nostri familiari”. Parla delle affermazioni dell’ex magistrato Silvana Saguto, della quale fa il nome, ricordando che quella loro è una ferita ancora aperta.
“Mio padre ha portato con sé tutta la sua famiglia non ci siamo mai tirati indietro Per noi è stata l’unica strada possibile. Abbiamo pagato il prezzo di questo e stiamo continuando a pagarlo, soprattutto mia sorella Lucia in termini di salute”.
Una ferita profonda e quanto mai attuale. Non aggiunge null’altro. Il dolore non ha bisogno spiegazioni e quello della Dottoressa Fiammetta è un dispiacere al quale mi associo augurando alla sorella la più pronta guarigione.
Di recente, un falso pentito noto alle cronache di questo giornale – del quale non val la pena neppure di citare il nome per non sporcare le emozioni – non ha esitato ad accanirsi contro l’Avvocato Fabio Trizzino, difensore dei Borsellino e marito di Lucia Borsellino, sol perché, avendo tentato di condizionare il processo che ha visto condannato a Caltanissetta Matteo Messina Denaro per le stragi del ’92, gli è stato impedito, evitando l’ennesimo tentativo di depistaggio.
Ascolto ancora le parole, la voce di Fiammetta Borsellino, quell’urlo sommesso di chi cerca soltanto la verità. Quella voce che ti entra dentro come una lama. Guardo quel sorriso che è un urlo di dolore che ti prende, ti avvolge. Quel dolore che non ha fine. Soltanto la verità potrebbe contribuire a lenirlo un po’. Ma tutti vogliono la verità?
Gian J. Morici
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