Palermo, novembre 1981- Sotto i colpi di uno spietato gruppo di fuoco, nei pressi del Policlinico, viene ammazzato Lillo (Calogero) Santangelo, giovane studente della facoltà di medicina. Un delitto rimasto avvolto nel mistero fino a quando nel maggio del 2004, dopo le rivelazioni di alcuni collaboratori di giustizia che portarono all’arresto di mandanti ed esecutori, nel corso del processo che vedeva imputati Raffaele Ganci, Salvatore Madonia e Totò Riina, non venne fuori il motivo di quella morte assurda: Lillo Santangelo era stato barbaramente ucciso perché colpevole di aver introdotto Matteo Messina Denaro, allora ventenne, nell’ambiente goliardico degli studenti universitari che a quel tempo frequentavano le signore dell’ alta borghesia palermitana.
A chiedere a Totò Riina di far uccidere Lillo Santangelo, Francesco Messina Denaro, il quale non gradiva l’intraprendenza del giovane studente universitario, il quale aveva coinvolto il figlio del boss in quegli incontri.
Ad autoaccusarsi dell’omicidio, dichiarando però di non conoscerne le motivazioni, furono Giovanni Brusca, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anzelmo. A narrare la storia, secondo la quale era stato Francesco Messina Denaro a chiedere a Salvatore Riina di far uccidere Santangelo, colpevole di aver introdotto il figlio, Matteo Messina Denaro, nei festini hard della Palermo bene, era stato il migliore amico della vittima, Salvatore Errante Parrino.
Dopo oltre un anno che erano state rese le testimonianze in merito all’omicidio, in particolare quella di Salvatore Errante Parrino, il noto ex pentito Vincenzo Calcara, il quale improvvisamente si ricorderà di una delle “sue verità”, ovvero che Lillo Santangelo era stato ucciso sì su ordine di Francesco Messina Denaro, ma perché aveva sottratto allo stesso delle partite di droga e non per i festini ai quali faceva partecipare il figlio del boss.
Secondo Calcara, sentito come testimone dai giudici della quarta sezione della Corte d’ assise di Palermo, Lillo Santangelo, dal vecchio boss, che gli aveva fatto da padrino battezzandolo, era considerato il suo fiore all’occhiello. Un “uomo d’onore riservato” – come Calcara dice di essere stato lui stesso – che in molte occasioni aveva ricevuto l’incarico di trasportare a Milano partite di droga, di cui una, in particolare, del valore di svariati miliardi di lire, della quale avrebbe simulato il furto.
Il boss di Castelvetrano, vistosi tradito dal suo pupillo, si recò a Palermo a chiedere alla “cupola” il favore di uccidere il ragazzo. Un ragazzo che viene dipinto come un mafioso, un corriere di droga, un traditore.
Dell’omicidio del giovane universitario, si è parlato anche ieri (sabato 8 agosto) a Selinunte, nel corso della presentazione dell’ultimo libro di Lirio Abbate, “U Siccu”, condotto dal giornalista Egidio Morici e al quale hanno preso parte lo scrittore Nino Cangemi, l’avvocato Armando Sorrentino e Giuseppe Cimarosa, figlio del collaboratore di giustizia Lorenzo Cimarosa, che ha contribuito agli arresti di diversi fiancheggiatori del boss.
A parlare di Lillo Santangelo, l’autore del libro, il quale ha raccontato la storia di un ragazzo di Castelvetrano che viene fatto uccidere su ordine di Francesco Messina Denaro. Un ragazzo, figlio di un allevatore, che con tanti sacrifici si iscrive all’università perché vuole diventare medico. Santangelo a Palermo, dove ha sede la facoltà di medicina, conosce ragazzi Castelvetrano – bravi ragazzi li definisce Abbate – con i quali condivide un alloggio da fuori sede. Diventano amici.
Questi ragazzi apprezzano Lillo, le sue doti umane, il fatto che è una persona chiara e divertente. Sono giovani, si divertono, e a Palermo si creano un giro di amiche, di donne, che li fanno divertire. È in questo contesto che Lillo Santangelo (il quale era stato battezzato da Francesco Messina Denaro che era amico del padre) invita più volte Matteo Messina Denaro dicendo “vieni a Palermo, vieni a divertirti”. Matteo, appena ventenne correva a Palermo, dove passava le notti. Scopriva il mondo Matteo Messina Denaro, stava diventando uomo. Lillo Santangelo assieme gli altri suoi colleghi lo fanno diventare uomo. Lillo lo chiama più volte e Matteo prende la macchina e corre.
Lirio Abbate trova conferma nelle testimonianze di questi ex ragazzi. A Palermo – afferma il giornalista – erano stati processati gli esecutori dell’omicidio, Brusca, Ganci e altri. Cos’era accaduto? Francesco Messina Denaro non poteva accettare cheil figlio di un boss venisse portato a Palermo insieme a donne a divertirsi e quindi cosa fa? Anziché chiamare quel ragazzo che lui aveva battezzato per riprenderlo, chiama Salvatore Riina e gli dice” mi devi ammazzare questo studente universitario” e un commando di fuoco che veniva utilizzato per cose importanti lo uccide. Il gruppo di fuoco non sa il perché, dicono che a loro fu chiesto di farlo. Era un favore chiesto a Totò Riina.
Poi venne messa in giro la voce che questo ragazzo si era fregato i soldi di una partita di droga, quando invece – prosegue Lirio Abbate – in aula poi si è visto che questo ragazzo non si era mai spostato da Castelvetrano o da Palermo per consegnare una partita di droga a Milano da dove avrebbe fatto da corriere.
E chi mise in giro quella voce, se non Vincenzo Calcara? Se come afferma Lirio Abbate si scoprì che Lillo Santangelo non si era mai spostato da Castelvetrano o da Palermo per fare il corriere della droga da Milano, per quale motivo Calcara lo accusò, a distanza di tanti anni dalla sua morte e soltanto dopo che altri parlarono di quell’omicidio? Un caso se questa sua presunta verità la dichiarò soltanto dopo che i sicari avevano sì ammesso di aver commesso l’omicidio, ma di non sapere in quali circostanze fosse maturata la determinazione a farlo uccidere? Se Santangelo, così come trapela dalle parole di Lirio Abbate, era soltanto un ragazzo desideroso di diventare un medico, un ragazzo che aveva fatto notevoli sacrifici per studiare, e che fu barbaramente ucciso per volontà di un boss che non gradiva quegli incontri del figlio con donne della borghesia palermitana, le dichiarazioni di Calcara, oltre ad averne oltraggiato la memoria, avrebbero reso un ottimo servigio a chi aveva voluto venisse messa in giro una voce che portasse gli inquirenti lontano dalla verità.
Mentre ci apprestiamo a pubblicare questo articolo, veniamo a conoscenza di un post pubblicato dall’ex pentito sul suo profilo Facebook.
Un durissimo attacco al Procuratore Aggiunto Dott. Gabriele Paci, il quale al processo in corso a Caltanissetta, nel quale è imputato per le stragi del ’92 Matteo Messina Denaro, si è soffermato anche sulle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia come Vincenzo Calcara circa gli eccidi mafiosi. “Calcara – ha detto – è un collaboratore che ha inquinato l’acqua nel pozzo per chiarire i vertici della mafia trapanese. La sentenza di primo grado aveva stroncato le accuse per Agate, confermando che non era capo della mafia di Trapani, come invece aveva dichiarato il pentito Vincenzo Calcara e adottato dai giudici di Appello”.
Dichiarazioni, quelle del Pm, che evidentemente non sono piaciute a Calcara, il quale nel suo post ha ricordato come Paci lo avesse definito un collaboratore di giustizia eterodiretto e un inquinatore di pozzi.
“Ma sulla base di quali riscontri? – scrive Calcara – Il P.M Gabriele Paci mi definisce un inquinatore di pozzi, poiche’ ho affermato che Mariano Agate era il capo provincia di Trapani.”
Ma l’ex pentito non si limita a questo, facendo illazioni anche sul fatto che Paci, “il giorno prima della sua requisitoria, si trovava a testimoniare in favore di Antonio Vaccarino, definendolo una brava persona”.
Critiche e illazioni inaccettabili (in merito alle quali torneremo con un prossimo articolo) per un magistrato impegnato in un processo come quello a Matteo Messina Denaro, rispetto le quali gli stessi organi della magistratura dovrebbero essere chiamati ad intervenire.