Le vicende legate agli intrecci mafiosi , economici e politici del periodo in cui dominavano i vincitori della guerra di mafia degli anni 80 , potrebbero bastare per scrivere un romanzo simile a, “Il Padrino”.
La famosa sagra che tanto successo ebbe negli anni 70 potrebbe risultare meno interessante. Qui la storia non è stata scritta da Mario Puzo. Qui la storia è stata scritta da veri protagonisti che, con la complicità occulta di pezzi dello Stato, per anni ,hanno fatto quel volevano. Almeno fino agli anni 90. Non basterà solo un libro per cercare di capire tutto
E’ verità che non è facile da tirar fuori, nonostante anni di inchieste e di indagini più o meno depistate. A Castelvetrano , per decenni hanno agito “menti raffinatissime” e mafiosi con la quinta elementare evoluti e formati ai grandi interessi e non solo economici. Molte colpe si devono attribuire a Procure del territorio poco attente o distratte Troppi anni sono passati prima che qualcuno di questi “pezzi da 90” pagassero il conto. Il conto non tutti ancora lo hanno pagato con la Giustizia.Di questi “lupi famelici” , frequentatori dei salotti cittadini della prima e seconda repubblica rimasti fuori dalle maglie della legge ne rimangono tanti. Probabilmente nessuno li cercherà più. L’obiettivo è l’arresto di Matteo Messina Dnaro che, dopo anni di rastrellamenti è ancora libero.
Inchieste e arresti senza limiti e i lupi famelici rimangono ben nascosti sotto la faccia d’ agnello e continuano a farsi quattro risate con le ricchezze accumulate in quegli anni d’oro per la mafia e per chi li sosteneva
A Castelvetrano, le inchieste contestualizzate a dovere, ci dicono che è stata al centro di relazioni mafiose complesse e confinanti con intense attività politiche e istituzionali. A Caltannissetta il Pm Paci ha parlato di decisioni importanti prese a Castelvetrano per le stragi. Non stiamo parlando di guerriglie tra mafiosi ma di decisioni di altissimo livello a ridosso del 1992. E nella città distrutta dall’assedio a Messina Denaro qualche” lupo” in giro che sa c’è. Ci deve essere. Forse non li vogliono scovare. Qualcuno con la giacca e la cravatta che, in quegli anni di potere mafioso, faceva soldi con questa gentaglia e se occorreva veniva sostenuto anche con il consenso elettorale e sociale
I Guttadauro a Castelvetrano
Tra la fine degli anni Settanta e i primi anni ottanta, quando a Palermo esplodeva la guerra e i morti ammazzati non si contavano più per strada, Peppino Guttadauro,( fratello di Filippo che sposerà una figlia di Don Ciccio Messina Denaro) giovane medico che impalmava la figlia di un ricco possidente di Roccella apriva il filone trapanese, cominciano ad interessarsi di Castelvetrano e del Belice. Stavano arrivando, a Castelvetrano e nella zona terromotata, soldi a fiumi
I Guttadauro non erano “peri incritati”. Erano “allittrati e sperti”.Giuseppe Guttadauro inteso “’u dutturi”era un uomo colto e potente.Mafioso, capo del mandamento di Brancaccio, già aiuto primario di Chirurgia all’Ospedale Civico di Palermo., riusciva a collegare bene gli interssi mafiosi e quelli della borghesia palermitana
Lui e i suoi fratelli capirono subito con chi schierarsi durante la sanguinosa guerra di mafia scatenata dai corleonesi. Entrarono, come i Messina Denaro ,nella galassia di Riina e Ciancimino. Queste relazioni mafiose , del resto ,trovano sostanziale prova nelle relazioni di pentiti attendibili e tramite le sentenze passate in giudicato. Anche il matrimonio tra un esponente dei Guttadauro e una figlia di Ciccio Messina Denaro certifica questo asse
I Guttadauro aveva ottime relazioni politiche e imprenditoriali. Avevano amici ovunque, anche dentro i tribunali
Michele Sanfilippo, il mancato consigliere provinciale passato in Nuova Sicilia dopo anni di militanza democristiana tra i fanfaniani bagheresi, e poi riparato nel Cdu e per poco anche nell’ Udc era con loro. Il medico era “stretto” anche con Totò Cuffaro.
L’asse cruciale con la mafia dei Messina Denaro è Filippo Guttadauro. Sposa la sorella di Matteo Messina Denaro e fino all’ arresto avvenuto nel 2006, si è occupato degli affari di famiglia a Castelvetrano. Ciascuno a suo modo, i tre maschi della famiglia Guttadauro hanno scelto la mafia. La sorella Agata, da Peppino ha preso la passione scientifica e dopo la laurea in Farmacia ha trovato lavoro al Cervello. Dove si è occupata anche di sindacato.
Filippo Guttadauro entra senza confini nel tessuto sociale castelvetranese.E’ abile nelle relaziono sociali, elegante, di media cultura. Dal suo arrivo a Castelvetrano e fino all’arresto , costruisce una vera rete di relazioni sociali. Entra come socio nel Circolo più importante della città dove può incontrare, politici locali, professionisti e imprenditori della città. Nel secolo scorso, essere socio in quel Circolo, a due passi da Palazzo Pignatelli era un importante riconoscimento sociale. Tutti sapevano che Guttadauro fosse il genero di Don Ciccio e cognato di Matteo Messina Denaro ma nessuno si oppose ,alla sua presenza quasi giornaliera, negli ampi saloni del circolo in questione. Guttadauro andava li ufficialmente per giocare a carte , prendere un caffè e stare a sentire “lu sparliu” tipico dei Circoli siciliani. Sapeva tutto quello che accadeva nelle fasce alte della popolazione. Giocava carte con politici e professionisti locali, intrattenendo ottime relazioni.
Si divertiva o faceva abilmente un lavoro “speciale” anche per i mafiosi locali e palermitani? Si recava in quel posto per scambiare informazioni sapendo che dentro quel Circolo nessuno poteva controllarlo? Nonostante le tante relazioni investigative fatte in quegli anni da validi carabinieri, nessun Pm pensò mai di capire cosa facesse Guttadauro in quel circolo, negli anni dei grandi affari
Filippo Guttadauro era il codice “121” nei pizzini di Provenzano. Era l’account di Giuseppe Grigoli per conto di Matteo. Aveva il “passaporto” per entrare al Circolo e a Palazzo Pignatelli , sede del comune dove si recava spessissimo “pi spirugghiari” le carte a Grigoli che doveva costruire il CEDI di via Partanna e il Centro Commerciale di Contrada Strsatto, e ad altri amici imprenditori. La burocrazia è “camurriusa” si sa. L’intervento di Guttadauro poteva aiutare a scioglere qualche matassa.
Non è un caso che, uno degli ultimi covi di Matteo il boss , accertato dagli inquirenti, si trovasse a Bagheria, roccaforte dei Guttadauro
L’elevazione di Don Ciccio e Matteo Messina Denaro a mafiosi di rango tramite Guttadauro
Questo riconoscimento avviene prima della morte di Vito Lipari. Guttadauro è in relazione con Brancaccio e la mafia dei Graviano.
I corleonesi, dopo l’arresto di Mariano Agate , nei primi anni 80, la mafia locale è senza guida. Devono trovare un punto d’appoggio per i loro soldi che a Palermo sono a rischio sia per la guerra di mafia e anche per la brillante azione giudiziaria di Falcone e Borsellino. Totò Riina , anche se quasi analfabeta, sa che i soldi sono l’ossigeno artificiale del pianeta mafia . T La mafia senza soldi non è nulla. Non può mettere sotto scacco quelli con la cravatta . Tutto fanno girare i soldi e guai a metterli solo su un tavolo. Si rischia di perdere tutto.
E infatti, Riina, nella valle del Belice, non punta solo sull’asse Guttadauro – Messina Denaro. Con Ciancimino che di soldi ne ha gestito a palate, rende operativo anche il notaio Pietro Ferraro (condannato anni fa per associazione mafiosa) che durante una conversazione intercettata dirà senza peli sulla lingua:“prendo ordini solo da Riina”. Un Notaio che si faceva gestire da un sanguinario e ignorante? Il Notaio Ferraro aveva ottime relazioni con massoni e con l’alta borghesia siciliana e di certo con Ciancimino
A Castelvetrano, oltre ad avere proprietà immobiliari e parenti, il Notaio aveva molti amici politici e massoni. Ferraro negli anni 80 e fino al suo arresto,dettava legge. Segue l’ascesa di Mannino e si avvicina ai manniniani di Castelvetrano . Amava frequentare la loggia massonica più potente di Castelvetrano dove erano presenti parenti e amici politici. Ferraro parlava con tutti i partiti che partecipavano al potere cittadino. Diede la sua benedizione anche alla giunta DC- PCI di fine anni 80. Veniva a Castelvetrano per risolvere liti e questioni economiche. MOlto mistero è rimasto nel capire che relazioni hanno avuto Guttadauro e Ferraro. I due agivano entrambi per lo stesso patto di potere
Il Notaio era astuto e aveva costruito buone relazioni anche con esponenti del PSI e del PCI. Un buon trasversalista cerca porte aperte ovunque. Su cosa fece Ferraro per condizionare la politica locale ci sono pochissime inchieste. Ci sono molte relazioni dei Carabinieri finite nei cassetti della Procura a fare muffa . Ferraro e Guttadauro, appare evidente che erano braccia dello stesso corpo. In questo contesto favorevole si inseriva molto bene Angelo Siino che a Castelvetrano era di casa
Molti castelvetranesi impegnati allora in politica, ricordano bene la forza del Notaio e dei suoi interventi pacificatori quando non si riusciva a trovare la quadra per eleggere un sindaco, nell’era della Prima Repubblica, dove i sindaci venivano eletti in Consiglio Comunale
Usando parole semplici, si può di certo affermare che l’area di Castelvetrano, dalla morte di Vito Lipari in poi ,diventerà terra di conquista per i corleonesi e i loro alleati. Usando un parallelismo commerciale si può dire che, i corleonesi avessero in tasca ,un enorme pozzo di denaro e per suggerimento dei loro alti protettori, dovevano creare varie succursali nel trapanese, per tenere i tanti soldi, bene conservati e nelle mani di gente insospettabile e fidata. Gente che doveva agevolare , allo stesso tempo anche importanti investimenti.
La direzione generale di questo “progetto”, senza dubbio, fu consegnata agli amici di Castelvetrano. La parte militare e violenta era ad esclusivo appannaggio dei Messina Denaro, coadiuvati da Papasè , dai Furnari e dai Clemente. A questi si associarono Francesco Geraci e Nanà Ciaccio. Un’ organizzazione quasi perfetta e degna di una tesi di laurea sul malaffare. Una rete mafiosa bene infiltrata nel tessuto socio economico e con politici e borghesi molto bene collegati. Poi c’era l’altra, più terrestre , per il controllo del territorio. C’erano quelli che dovevano sparare o dare fuoco a qualche casa. Questi “manovali” dovevano stare lontano dai circoli Tutto accadeva nella “normalità”. Una normalità che sapeva di dittatura, sfruttamento e di aberrazione. La gente sapeva e andava da loro per tutto. Si sentivano autorizzati a costruire le case in modo abusivo, di non pagare l’acqua, la spazzatura. Per decenni molti cittadini non hanno pagato nulla. . In tanti, ( non tutti i castelvetranesi leccarono il culo a questa gente) andavano quasi prostrati , a chiedere posti di lavoro al comune, all’ospedale , nelle banche. Altri favori per visite mediche e ricoveri. Insomma , gestivano raccomandazioni di ogni sorta. Quale “stato di Diritto”. A Castelvetrano, per decenni, i “diritti” e i servizi pubblici,li gestivano solo loro e a come cazzo gli pareva. E lo Stato , quello che adesso si indigna, stava a guardare, nonostante varie indagini e diverse lettere di denuncia di gente coraggiosa .