Don Ciccio, quando la sera cambiava i colori, amava passeggiare lungo i sentieri delle campagne castelvetranesi. L’odore del fieno, delle erbe spontanee, la luce della luna che illuminava la campagna intorno, gli ricordavano i tempi in cui aveva lavorato come fattore presso una nota famiglia di proprietari terrieri, delle saline e di una banca.
Ricordi lontani, lontani nel tempo, quando ancora nessuno sospettava che lui sarebbe diventato capo del mandamento di Castelvetrano e poi capo della mafia della provincia di Trapani. Ma vennero gli anni dei processi, della sua prima condanna a dieci anni di carcere, che lo portò a rendersi latitante. Chissà quante volte durante la sua latitanza aveva continuato a passeggiar la sera lungo quei sentieri, per quelle contrade delle quali era padrone indiscusso. Nessuno, neppure Vincenzo, suo fidatissimo “uomo d’onore riservato” che aveva cominciato a collaborare con la giustizia, rappresentava per lui un pericolo. Chi glielo doveva dire che dopo otto anni di latitanza, e dopo esser morto a causa di un infarto, proprio il suo pupillo Vincenzo sarebbe riuscito nell’intento di farlo catturare?
Vincenzo non si arrendeva facilmente, dopo anni di collaborazione con la giustizia, come “pentito”, sarebbe riuscito comunque a far catturare Don Ciccio. Fu così che dopo aver parlato delle “Cinque entità”, si dedicò anima e corpo alla cattura della sesta.
L’anima di Don Ciccio era in pena, come poteva il suo “uomo d’onore riservato” essersi trasformato prima in “pentito” – che più pentito non si poteva – e poi in ghost buster? Neppure da morto il vecchio capomafia poteva trovar pace?
E mentre l’entità era assorta in questi tristi pensieri, ecco che vide materializzarsi all’improvviso le sagome del drappello di agenti (saranno stati circa 200) alla cui testa si era posto il terribile Vincenzo armato della sua carabina Winchester calibro 22, che faceva “pam, pam, pam”. Non fu il timore dei proiettili (che comunque nulla avrebbero potuto fare a uno spirito) a convincere Don Ciccio ad accettare di arrendersi, quanto il timore di dover udire quell’assordante “pam, pam, pam” del Winchester di Vincenzo, che avrebbe scosso il sonno di tutti i morti dell’oltretomba.
Terminò così la lunga latitanza di Don Ciccio, del quale, comunque, da quel momento in poi si perse ogni traccia. Volatilizzato, come tutti i fantasmi, anche dopo la sua cattura (magari in questo aiutato dalle altre cinque entità).
Al povero Ghost Buster Vincenzo, non rimase altro che scrivere l’ennesima incredibile storia. Il nome di Don Ciccio comparve così tra le carte del processo a suo figlio Matteo, accusato a Caltanissetta di essere stato uno degli organizzatori delle stragi del ’92.
Alle “Cinque entità”, cavallo di battaglia del “pentito” Vincenzo Calcara, questi, con la sua lettera (vedi sotto) indirizzata al procuratore della Repubblica di Caltanissetta, aveva aggiunto la “Sesta Entità”, quella della cattura – ad opera sua – mai avvenuta del boss Francesco Messina Denaro.
“Pam, pam, pam”, si ode in giro per le campagne siciliane la notte. Ghost Buster Vincenzo, dà ancora la caccia ai latitanti defunti… e guai a chi non gli crede e ha l’ardire di mettere in dubbio le sue “Verità”. L’ex pentito, come un mantra, continuerà a snocciolare la sua credibilità accertata e dichiarata da diversi magistrati…
Gian J. Morici