Delitto Agostino, la svolta dopo 31 anni. La procura generale chiede il processo per i boss Madonia e Scotto
Il rinvio a giudizio sollecitato anche per l’amico del cuore dell’agente ucciso, che è accusato di avere aiutato i killer. Udienza preliminare il 10 settembre. Il direttore della Dia: “Ora quadro nitido del movente e degli autori”
Erano amici inseparabili, Nino Agostino e Francesco Paolo Rizzuto: 28 anni, il poliziotto; 16, il suo vicino di casa. Anche la notte prima del delitto, erano usciti insieme in barca, per una battuta di pesca. Il pomeriggio, Nino fu assassinato da due killer. Era il 5 agosto 1989. Adesso, dopo 31 anni di misteri, l’amico del cuore è accusato di aver aiutato quei sicari, con il suo silenzio e tante bugie. Rizzuto è indagato per favoreggiamento aggravato. Anche per lui la procura generale diretta da Roberto Scarpinato ha chiesto il rinvio a giudizio. In cima alla lista, i boss Antonino Madonia e Gaetano Scotto, il capo mandamento di Resuttana e il boss dell’Arenella, ora accusati di essere mandanti ed esecutori del delitto del poliziotto e della moglie, Ida Castelluccio.
Questa mattina, sono stati notificati agli indagati le richieste di rinvio a giudizio. Udienza preliminare davanti al gup il 10 settembre. Dice il direttore della Dia, il generale Giuseppe Governale: “Dopo 31 anni dall’efferato duplice omicidio, la Dia e la Procura generale di Palermo forniscono un nitido quadro probatorio sul movente e sugli autori di uno dei più raccapriccianti delitti commessi da Cosa nostra contro i rappresentanti delle istituzioni, spingendo la propria tracotanza fino agli incolpevoli e vulnerabili affetti familiari. La Dia e la procura generale – prosegue il generale Governale – hanno fatto proprio il tormento e la sofferenza di una famiglia che, con grande compostezza e dignità, ha atteso verità e giustizia. Ho ritenuto di chiamare personalmente il padre dell’agente Agostino, per testimoniargli ancora una volta la mia vicinanza personale e istituzionale”.
L’inchiesta
L’indagine della Direzione Investigativa antimafia, coordinata dai sostituti procuratori generali Nico Gozzo (oggi alla Dna) e Umberto De Giglio, ha esplorato la zona grigia in cui hanno convissuto mafiosi e ambienti deviati dei servizi segreti. Agostino, ufficialmente agente del commissariato San Lorenzo, andava a caccia di grandi latitanti. Probabilmente per conto dei Servizi.
Già la sera del delitto, un collega di pattuglia aveva scritto all’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera che Nino andava a caccia dei grandi latitanti: “Me l’ha confidato lui”. Ma quella notizia così importante rimase chiusa in un cassetto per quattro anni, mentre La Barbera (lo stesso che poi costruì il falso pentito Scarantino) si ostinava a indagare sulla pista di un’improbabile vendetta dei familiari di un’ex fidanzata di Nino. La sera del delitto, avvenne anche dell’altro: agenti della Mobile, probabilmente insieme a uomini dei Servizi, perquisirono casa di Agostino, ad Altofonte, portando via alcuni appunti.
“La verità sulla morte di mio figlio e di mio nuora è dentro lo Stato — continua a ripetere Vincenzo Agostino — ringrazio i magistrati per il loro prezioso lavoro, finalmente dopo tanti anni, vediamo la speranza di un processo. È un punto di partenza, perché non conosciamo ancora i nomi dei mandanti. Qualcuno dentro lo Stato sa, ma continua a restare in silenzio”.
Il complice
Le nuove indagini contestano altri silenzi colpevoli all’amico di Nino, Francesco Paolo Rizzuto, che oggi ha 47 anni, prima d’ora mai nessun guaio con la giustizia, è un operaio specializzato che lavora nel settore delle ferrovie, sposato con figli. Due anni fa, era stato convocato come testimone al palazzo di giustizia, adesso i magistrati scrivono: “Ha eluso le investigazioni, tacendo elementi a sua conoscenza e riferendo circostanze false in relazione al delitto”.
Avrebbe visto qualcosa che non ha mai raccontato. Nell’audizione, disse di essersi allontanato con il suo scooter dopo il delitto. “Ha invece taciuto di essere rimasto — scrive l’accusa — con la maglia che indossava coperta di sangue”. Una circostanza emersa nell’ultima indagine. Ha detto il signor Agostino: “La famiglia Rizzuto abitava accanto alla nostra villetta. La mattina del delitto, il padre di Paolo mi chiese la barca di Nino. Nel pomeriggio, invece, il ragazzo mi domandò più volte a che ora sarebbe arrivato mio figlio, quel giorno aveva cambiato turno. Ma appena arrivò, Paolo andò via. Mi sono sempre chiesto perché”. Per l’avvocato degli Agostino, Fabio Repici, “il processo che sembrava un miraggio è oggi a portata di mano, nel silenzio e nell’inerzia di tanti”.
Fonte: Repubblica