Abusivismo edilizio: gli immobili entrati nel patrimonio comunale devono essere demoliti senza rovinare l’ambiente.
Queste case abusive con sentenza definitiva non torneranno mai ai proprietari a cui sono state tolte. Solo il comune è in grado, secondo la legge, di stabilirne le sorti che ne diventa pieno responsabile.
Il cittadino che demolisce con i suoi soldi è obbligato al ripristino dei luoghi. Stessa cosa vale se l’abbattimento lo fa il comune
Le demolizioni non vanno fermate ma regolamentate secondo le esigenze ambientali e paesaggistiche
La legge prevede che i comuni , in deroga, possano anche lasciarli in piedi se utili a specifiche finalità. La legge è legge le strumentalizzazioni sono altra cosa. La legge obbliga il cittadino che demolisce “motu proprio” il ripristino dei luoghi e il corretto smaltimento dei rifiuti. Se non lo fa il comune si sostituisce al cittadino e ha gli stessi obblighi di legge. Il comune si dovrà rivalere sul proprietario abusivo per i costi di demolizione. La legge parla del rispetto delle norme paesaggistiche in caso di abbattimenti in zone turistiche o sottoposte a limitazioni da parte della soprintendenza
Gli immobili abusivi, una volta entrati nel patrimonio dei comuni, devono essere demoliti e solo in via eccezionale, attraverso una valutazione caso per caso, possono essere conservati.
Lo ha confermato la Corte Costituzionale con la sentenza 5 luglio 2018, n. 140 pronunciata nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 2, comma 2, e 4, comma 1, lettera e), della legge della Regione Campania 22 giugno 2017, n. 19 (Misure di semplificazione e linee guida di supporto ai Comuni in materia di governo del territorio), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 21 agosto 2017, depositato in cancelleria il 22 agosto 2017, iscritto al n. 56 del registro ricorsi 2017 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2017.
La Corte ha dichiarato incostituzionali le disposizioni della legge della Regione Campania n.19/2017 sulla conservazione degli immobili abusivi acquisiti al patrimonio dei comuni, là dove consentivano ai comuni stessi di non demolire questi immobili – in particolare locandoli o alienandoli anche ai responsabili degli abusi – senza attenersi al principio fondamentale del Testo Unico sull’edilizia.
Entrando nel dettaglio, la Corte ha rilevato che l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia) appresta l’apparato sanzionatorio per le violazioni più gravi della normativa urbanistico-edilizia, ovvero per gli interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso – prevedendo, di conseguenza, le sanzioni più rigorose.
Di seguito le fasi previste:
- Nella prima fase – disciplinata dal comma 2 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001 – il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, accertata l’esecuzione di interventi in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali rispetto a esso, notifica al proprietario e al responsabile dell’abuso l’ingiunzione a demolire le opere (o a rimuovere gli effetti degli interventi posti in essere senza la realizzazione di trasformazioni fisiche), indicando l’area che, in caso di inottemperanza all’ordine, sarà acquisita al patrimonio del Comune ai sensi del comma 3.
- Se il responsabile dell’abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi entro 90 giorni dalla notificazione dell’ingiunzione a demolire, si apre la eventuale seconda fase della procedura sanzionatoria, contemplata dai commi da 3 a 6 dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001.
- Il bene immobile abusivo e l’area di sedime (nonché quella necessaria, secondo le prescrizioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive) sono acquisiti, di diritto e gratuitamente, al patrimonio del Comune (comma 3 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).
- L’atto con cui si accerta l’inottemperanza all’ingiunzione a demolire entro il termine di novanta giorni costituisce, previa notifica all’interessato, titolo per l’immissione nel possesso e per la trascrizione nei registri immobiliari (comma 4 dell’art. 31 d.P.R. n. 380 del 2001).
L’acquisizione dell’immobile abusivo e dell’area di sedime al patrimonio comunale costituisce una sanzione in senso stretto, distinta dalla demolizione, che «rappresenta la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi, dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla».
Infatti, «l’operatività dell’ingiunzione a demolire non presuppone sempre necessariamente la preventiva acquisizione dell’immobile al patrimonio comunale, perché l’ingiunzione è un provvedimento amministrativo di natura autoritativa che, in quanto tale, è assistito […] dal carattere della esecutorietà insito nel potere di autotutela». Sicché «appare evidente che, qualora non ricorrano i presupposti per l’acquisizione gratuita del bene, come nel caso in cui l’area sia di proprietà del terzo [estraneo all’illecito], la funzione ripristinatoria dell’interesse pubblico violato dall’abuso, sia pur ristretta alla sola possibilità della demolizione, rimane affidata al potere-dovere degli organi comunali di darvi esecuzione d’ufficio».
Il fatto che, con l’acquisizione al patrimonio comunale, il bene diventi pubblico non comporta, tuttavia, che l’opera diventi legittima sotto il profilo urbanistico-edilizio. Essa è destinata a essere «demolita con ordinanza del dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale a spese dei responsabili dell’abuso» (comma 5 dell’art. 31 d.P.R. n. 380/2001).
La regola della demolizione ammette una deroga. Lo stesso comma 5, in via eccezionale, prevede la possibilità di conservare l’opera quando, «con deliberazione consiliare […] si dichiari l’esistenza di prevalenti interessi pubblici e sempre che l’opera [stessa] non contrasti con rilevanti interessi urbanistici, ambientali o di rispetto dell’assetto idrogeologico».