Il COMMISSARIO GERMANA’ CERCAVA PROVE CONTRO I POLITICI e i Mafiosi trapanesi .
Era il 14 settembre del 1992 . Due mesi dopo la morte di Paolo Borsellino ,Germanà riesce a sfuggire ai colpi di Matteo Messina Denaro e altri boss sul lungo mare di Tonnarella.
C’è un nesso legato alle indagini su mafia e appalti tra la morte di Borsellino e il tentato omicidio del commissario? Cercando bene nella vera storia investigativa e non in quella manipolata, si possono trovare molti riscontri .
Germanà era arrivato a MAZARA DEL VALLO come il solito dirigente che prende il posto dell’altro che va via. I mafiosi del territorio e i politici loro amici, compresi i funzionari dello Stato da sempre dentro il sistema corruttivo lo sottovalutarono. Uno dei soliti che campa e fa campare. Erano gli anni 80. Anni di grandi affari nel Belice e nel trapanese. I picciuli giravano a montagne – I soldi pubblici arrivavano a quintali . Soldi che avevano lasciato molte vittime di guerre di mafia. A questi affari pubblici,si univano gli affari legati ai proventi della droga. Miliardi di vecchie lire che venivano riciclati in centinaia di attività.Un sistema che dal terremoto in poi aveva fatto ingrassare politici, mafiosi e imprenditori con la solita complicità dei burocrati
Dal giorno del suo arrivo , Germanà non si era fermato un momento. Indagini sul Comune, indagini sugli appalti, indagini sui pescherecci che trasportano droga. Indagini sulla città di Mazara e lo sguardo attento a ciò che accadeva intorno. Le inchieste dei giudici di Marsala, i pentiti di Campobello, gli intrighi di Partanna, il silenzio inquietante della Valle del Belice. Dal suo osservatorio speciale, un piccolo commissariato situato in un punto strategico della Sicilia, Rino Germanà stava diventando davvero un poliziotto scomodo.
Troppo informato, troppo in contatto con gli uffici centrali dell’ Antimafia. E anche troppo amico di Paolo Emanuele Borsellino. Come 3 o 4 magistrati di questa provincia trapanese, come un paio di marescialli dell’ Arma dei carabinieri, come una sparuta pattuglia di investigatori sparsi per casermette e commissariati solo sulla carta periferici.
Potrebbe già bastare questo per spiegare perchè sicari armati di kalashnikov volevano uccidere Rino Germanà? E’ importante tenere conto della cronologia dei fatti. A Luglio muore Borsellino e a settembre dello stesso anno deve morire Germanà. Perchè un altro omicidio eccellente visto quello che era successo a Palermo? Perchè Messina Denaro con i padre, si espongono così tanto , nonostante le varie operazioni avvenute nel territorio dal maggio del 1992? Stiamo parlando dell’Operazione Palma di Castelvetrano e di altre operazioni . E’ opportuno ricordare che, in quel periodo Mariano Agate era in carcere e che un omicidio del genere doveva avere, secondo le regole mafiose, l’ok del capo mandamento che in quel periodo era don Ciccio Messina Denaro.
Cominciamo allora a raccontare cosa è successo nella città di Mazara del Vallo, secondo documenti del periodo. Mazara del Vallo era la capitale del pesce nel Mediterraneo . Il lavoro nei pescherecci aveva portato quasi 7000 tunisini a trasferirsi . Una città dove tutto si poteva fare . “ Nulla, non è successo mai nulla” a Mazara” disse un pentito ad un magistrato “. Tanti gli occhi chiusi. Fino al giorno dell’attentato a Germanà, la mafia, la potentissima mafia di Mazara non aveva sparato un solo colpo. Mai un delitto dentro Cosa Nostra, mai un attacco mirato contro uomini dello Stato. Un’ isola nell’ isola Mazara del Vallo, grazie proprio alla strapotere del suo “re”, don Mariano Agate, imputato di peso del maxi processo di Palermo, amico di Totò Riina e di tutti i corleonesi che hanno dettato legge nella mafia. Un’ incredibile quiete fino alle 14 di lunedì 14 settembre 1992, fino alle sventagliate di fucile mitragliatore contro il “nuovo” capo del commissariato Rino Germanà. Nuovo fra virgolette, il dirigente aveva lavorato già e per alcuni anni ad inchieste sul quel territorio. Germanà voleva andare a Mazara per riprendere il filo delle investigazioni, un ritorno che dall’ altra parte aveva il sapore di una sfida. E proprio contro questa organizzazione ferrea e impermeabile Germanà si era scagliato già alcuni anni prima con una serie di indagini mirate. Storie di droga, di traffici, di affari. Storie che sono sfociate in quello che viene definito il maxi processo di Marsala, che mise alla sbarra 94 imputati per associazione mafiosa e traffico di stupefacenti . Chi c’ era fra questi 94 personaggi? C’ è naturalmente Mariano Agate, ma anche Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. E c’era anche Giuseppe Burzotta, consigliere comunale socialista di Mazara del Vallo. Tutti insieme in un processo che porta la firma di Paolo Borsellino (sua la requisitoria quando era procuratore capo a Marsala) e dei suoi 3 sostituti. Ma a costruire le prime pagine dell’ inchiesta sono stati soprattutto due investigatori, uno dei carabinieri e l’ altro della polizia. Due amici di Borsellino: il maresciallo Carmelo Canale e il commissario Germanà. Questo poteva essere un vecchio “conto” da far pagare al poliziotto che tornava a Mazara? Forse, ma l’ attività investigativa del commissario non si era certo arrestata alle indagini su quei traffici di droga. Si deduce che Sia Canale che Germanà avessero contezza di molte informazioni investigative gestite da Borsellino. Entrambi erano suoi fidati collaboratori. Perchè eliminare solo Germanà dopo l’uccisione di Borsellino? Dove stava arrivando l’ex commissario?
Da quando aveva messo piede in città l’attenzione di Germanà era puntata sul Comune e sul giro di appalti. Mandava i suoi collaboratori a sequestrare delibere su delibere, aveva ficcato il naso in una serie di appalti che non sembravano molto chiari. Appalti e affari che avevano spinto il poliziotto a indagare. E sul Comune Rino Germanà stava conducendo proprio un’ inchiesta a vasto raggio, partendo anche da quel consigliere socialista rinviato a giudizio per mafia e droga insieme nientemeno che a don Mariano e Totò Riina. Si dice pure che stesse preparando qualcosa di grosso, un colpo a sorpresa come un dossier dettagliato da consegnare al Viminale. Un rapporto informativo per far chiedere al ministro dell’ Interno lo scioglimento del consiglio comunale. Insomma, una vecchia e una nuova pista si intrecciarono intorno al primo agguato eccellente di mafia nella storia criminale di Mazara del Vallo. E non sembra certo un caso, una coincidenza, che questo sia avvenuto subito dopo la morte del procuratore Borsellino. Qui, in questa zona, il magistrato aveva colpito duro, aveva fatto “danni” enormi all’ organizzazione Cosa Nostra. Dopo anni di non-indagini, anni di silenzio, il procuratore capo di Marsala aveva in pratica “scoperto” che esistevano le organizzazioni mafiose. Un lavoro che aveva portato risultati non solo immediati. Le sue indagini del 1988 sono servite anzi a sviluppare tutta una serie di filoni e a rafforzare le postazioni antimafia. Con una raffica di operazioni dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale fra Castelvetrano, Mazara e Campobello. Con una cosca smantellata a Partanna . Con un nuovo stile di lavoro giudiziario imposto alla procura di Marsala dopo anni di apparente sonno. Borsellino veniva dall’esperienza del maxi processo. Con Falcone avevano messo le mani sui grandi affari palermitani . Affari che, inevitabilmente ,collegavano la mafia palermitana a quella trapanese . Il sistema garantiva il potere politico che determinavano i flussi di denaro pubblico. Nel Belice e nel trapanese dagli anni 60 in poi sono arrivati centinaia di miliardi : Tra i lavori più ghiotti la costruzione della Diga Garcia, la ricostruzione per il terremoto del Belice e l’autostrada A29.
Non scopriamo l’acqua calda .Paolo Borsellino era convinto che la causa della morte di Falcone, ma anche di altri delitti di mafia come l’omicidio dell’ex democristiano Salvo Lima, fosse riconducibile alla questione degli appalti. Lo disse soprattutto allo scrittore e giornalista Luca Rossi durante un’intervista del 2 luglio del 1992. Il nome di Salvo Lima lo ha evocato recentemente anche l’ex pm di Mani Pulite Antonio Di Pietro durante la sua testimonianza resa al processo d’appello sulla presunta trattativa Stato- mafia. Di Pietro ha spiegato che la conferma del collegamento affari- mafia, l’ha avuta «col riscontro della destinazione della tangente Enimont da Raul Gardini ( capo della Calcestruzzi spa), una provvista da 150 miliardi, una gallina dalle uova d’oro, dovevamo trovare i destinatari: l’ultimo che ebbi modo di riscontrare fu Salvo Lima».
Fonte: Repubblica- La Stampa, Documenti
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