“Il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie”. Questo è l’obiettivo della legge 109 del marzo 1996. Una legge nata dalla necessità di togliere ricchezze ai mafiosi e anche potere sociale visto che, : «la mafia dà lavoro», o per meglio dire lo dava.
L’Italia “scusate” la Sicilia , (vista la sentenza di Roma)ha gravi problemi di mafia. Ma possiamo dire, dopo le recenti vicende, di essere pure il paese che ha il problema dell’antimafia. Se ha tutto questo, aggiungiamo i danni di una classe politica “piccola” e piena di poltronisti, ogni conto sulla devastante crisi economica torna senza dubbio
“SI MANCIARU LA SICILIA”
Lo dicono in molti e tanti siciliani hanno finito di credere anche all’antimafia moderna ben lontana dagli insegnamenti di Falcone e Borsellino. Quello che sta uscendo fuori da inchieste e sentenze è davvero uno spaccato drammatico. L’antimafia (non tutta) che ha lavorato più “fottere” mafiosi e avversari e meno per dare dignità al popolo siciliano, liberandolo dal male mafioso e della mala politica
Con la citata legge 109/96: i beni confiscati ai mafiosi sono destinati ad attività socialmente utili. Cioè restituiti alla collettività cui la mafia li ha rapinati, così che la collettività possa trae profitti sociali.
I risultati nel 70 % dei casi sono pessimi
I beni sequestrati e confiscati alla mafia in Italia e in Sicilia in particolare ,sono un enorme tesoro. Oltre trentamila beni tra immobili e aziende. Un patrimonio che vale quasi 30 miliardi di euro, secondo una recente relazione della presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi che firmò questo importante studio economico nel 2017
ANTONIO BLANDO SCRIVE su “Percorsi dell’ANTIMAFIA”
“Il fenomeno dell’antimafia è, ovviamente, vecchio quanto quello
della mafia stessa. La rivelazione post-unitaria dell’esistenza di un’as
sociazione criminale di «facinorosi criminali» particolarmente pericolosa – chiamata allora mafia – coincide con la volontà dello stato di contrapporsi ad essa; ciò non esclude che in altre fasi ci sia stata tra le due istituzioni un’alleanza ovvero una reciproca strumentalizzazione. Così mafia e antimafia si presentano come due vicende parallele. La prima mostra una formidabile continuità storica sino ai giorni nostri, la seconda ha
un andamento discontinuo, degli alti e bassi determinati dalle tre di
verse caratterizzazioni che storicamente assume: giudiziaria, politica o sociale. In questi ambiti l’antimafia è portata avanti con uomini, mezzi e fini ben diversi, seppur convergenti verso lo stesso obiettivo: il politico userà l’antimafia per ottenere consenso attribuendo ai suoi con correnti un protettorato o peggio un’affiliazione alla mafia; il giudice
avrà il compito di trasformare le prove, raccolte dagli organi di poli
zia, in verità giudiziarie così da commutarle, secondo le leggi, in con
danne contro i mafiosi; la società civile, di pari passo con la crescita dell’istruzione e dell’informazione, si impegna a far maturare una diffusa coscienza antimafiosa. Naturalmente non basterà aspettare quest’ultima per poter determinare la sconfitta della mafia. Essa ne è certo con dizione necessaria ma, purtroppo, assolutamente insufficiente se non vi è una congiunta volontà di lotta da parte del potere politico e giudiziario. “
Non sono stati mai così tanti i beni sottratti alle mafie e nella gestione dell’Agenzia nazionale. Lo dice l’ultima relazione presentata . Un metodo ispirato sicuramente da Falcone e Borsellino ma che è stato utilizzato molto male; ci sarebbero 20.080 appartamenti, ville, terreni, capannoni industriali in gestione di cui 8561 già confiscati definitivamente. Gli immobili complessivamente già destinati sono 12.300.Eppure, comuni e regioni continuano a pagare affitti per scuole e uffici in locali magari non agibili
Alla fine del 2017 saranno circa duemila gli immobili confiscati riassegnati alle comunità attraverso i decreti di destinazione deliberati dal Consiglio direttivo: un primato per un solo anno, che supera anche il precedente risultato del 2015, quando furono trasferiti a Comuni, forze dell’ordine e ministeri ben 1737 immobili.
Nell’ultimo biennio si è superato un tabù, quello relativo alla vendita dei beni confiscati. Il fronte favorevole a immettere sul mercato case, ville e terreni sottratti ai boss, fare cassa e magari finanziare il fondo per le vittime, è stato ampio ed ha annoverato anche l’ex procuratore nazionale antimafia Franco Roberti e lo stesso ex direttore dell’Agenzia Postiglione. Nel corso del 2017 l’Anbsc ha destinato alla vendita per mancata manifestazione di interesse degli enti locali 80 immobili, mentre altri 443 cespiti finiranno sul mercato per soddisfare i creditori. a tutto questo si deve aggiungere il lunghissimo elenco di aziende sotto il controllo degli amministratori giudiziari
Il balzo della Lombardia. La Lombardia è diventata la quarta regione per beni immobili confiscati. Ha superato quota 1000 beni destinati e ne conta in gestione 1850. Le prime regioni per numero di beni confiscati complessivamente sono Sicilia, Calabria e Campania. Dei 2080 beni immobili già trasferiti nella proprietà di Comuni o mantenuti allo Stato, circa il 45% è rappresentato da appartamenti e il 40% da terreni. Negozi o capannoni industriali sono il 10%. L’Agenzia si ritrova a gestire un patrimonio sequestrato o confiscato anche al di fuori dei confini nazionali.
Sono 14 gli immobili sottratti a criminali coinvolti in inchieste transnazionali e individuati grazie a indagini patrimoniali che hanno coinvolto anche le polizie di altri Paesi. Otto sono gli immobili in Francia, tra i quali spicca l’appartamento di Place Vendome, a Parigi, sottratto al re dei videopoker Gioacchino Campolo nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Reggio Calabria. Tre appartamenti si trovano in Spagna, uno in Svizzera, uno in Brasile e uno in Austria. In caso di vendita, all’Italia spetterà il 50% dell’importo.
Le aziende.
Le aziende sottratte alla criminalità e attualmente sotto la gestione dell’Agenzia sono quasi 3200. Ne sopravvive una su dieci, il resto viene avviato alla liquidazione (818 su 882 hanno chiuso baracca dopo aver soddisfatto i creditori). Tutto il patrimonio di aziende confiscato ai criminali vale miliardi di euro. Poi c’è quello dei beni sequestrati. È questa una cifra calcolata come valore della produzione aggregato per gli anni 2015 e 2016, sulla base dei bilanci presentati. Queste realtà danno lavoro a centinaia di dipendenti. Non proprio sedie vuote, ma operai e impiegati in carne e ossa, come il personale della Bianchini di Reggio Emilia o della Calcestruzzi Belice.
In quella cifra ci sono anche gli ex dipendenti dei supermercati Grigoli, ritenuto prestanome di Matteo Messina Denaro. L’enorme patrimonio di Giuseppe Grigoli, condannato per associazione mafiosa e quasi distrutto. Lo Stato ha fatto perdere un’azienda che fatturava 150 milioni di Euro e la conseguente perdita dei posti di lavoro. Il crac Grigoli ancora attende i responsabili. Lo vogliono sapere gli ex dipendenti. Ma forse, come dice qualcuno di loro , tutto sarà insabbiato. Se l’azienda era controllata dalla mafia doveva essere confiscata ma perchè portarla a fallire?
La stessa storia si può scrivere per altre decine di aziende locali confiscate. Il Giudice Licata,( già condannato per la vicenda Saguto) in udienza a Caltanissetta ha dichiarato:” non si dovevano pagare i creditori di queste aziende”. Come potevano vivere queste attività facendo ciò? Chi si avvicina ad un’azienda che non è solvibile? . In Sicilia, una società confiscata su cinque opera nel settore delle Costruzioni, movimento terra, rifiuti e cemento, mentre quasi tutto il resto è impegnato nel commercio all’ingrosso e al dettaglio. Anni di battaglia e di malagestione che hanno lasciato molte macerie. E come sempre, a pagare il conto ,sono i lavoratori e la gente che non trova più occupazione. Lo Stato doveva sterilizzare la mafia non il lavoro. Tutte le recenti politiche antimafiste si sono rivelate fallimentari
Fonti: documenti Geoloc