Quella lettera dimenticata sugli amici del boss di Cosa Nostra di Castelvetrano
Le sorprendenti rivelazioni del Generale in quiescenza Nicola Gebbia
Un’informativa sulla rete di fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro mai consegnata all’autorità giudiziaria. I personaggi di spicco del trapanese che aiutavano la latitanza dell’ultimo grande capo mafia latitante
Un medico famoso (ospedaliero) in servizio a Castelvetrano, un burocrate della sanità pubblica ( all’epoca dei fatti con un incarico importante)un noto commercialista e sua figlia, tre imprenditori, un gioielliere( originario di Partanna), personaggi potenti ed insospettabili del trapanese, avrebbero costituito la rete segreta di protezione del capo mafia Matteo Messina Denaro, latitante da 27 anni .
Con alcuni di loro, sarebbe andato a cenare abitualmente in un ristorante di Santa Ninfa, sempre armato assieme a tre suoi fidatissimi guardiaspalle perché non voleva farsi catturare vivo. Nomi e cognomi, indirizzi, età e professioni dei favoreggiatori dell’ultimo grande boss di Cosa Nostra sono stato scritti e siglati , in una informativa dei carabinieri che per oltre 15 anni, è stata lasciata nel dimenticatoio. Una informativa incredibilmente mai trasmessa all’ autorità giudiziaria, rimasta chissà in quale cassetto di un alto generale dei Carabinieri e al quale, l’allora subordinato Gebbia fece sapere tutte le notizie relative all’indagine. Lettera che addirittura, nel novembre 2016, riappare e viene messa nelle mani di Teresa Principato (che coordinava il gruppo interforze di carabinieri, polizia e 007 dell’ Aisi che da anni danno la caccia a Matteo Messina Denaro) e al sostituto procuratore Nino Di Matteo, pm del processo per la presunta “trattativa” Stato-mafia.
Non sapremo mai che esito poteva avere questa pista investigativa molto dettagliata. A Dicembre del 2018 quelle persone segnalate, probabilmente a loro insaputa, a distanza di 17 anni, vengono menzionati in un aula di Tribunale dal Generale Gebbia
Dopo avere fatto terra bruciata attorno al boss, arrestando decine di familiari e di fiancheggiatori delle cosche del trapanese senza però essere riusciti a stanarlo, gli inquirenti , improvvisamente si ritrovano una dettagliata informativa dei Carabinieri che parla di possibili amici di Matteo Messina Denaro e a livelli molto alti . Sono decine le notizie sulla ricerca di Matteo Messina Denaro che indicano molta confusione nel cercarlo. Quasi a pensare che, si faccia di tutto per sbagliare e fottere chi magari non sarà mai utile alla sua cattura. La Principato , nel 2017 va via. Viene trasferita a Roma. Probabilmente, ancora una volta una pista non viene valorizzata . l’informativa, venuta fuori nel 2016, suggerisce nomi di personaggi che fino al mese di novembre del 2016, non erano mai finiti nel mirino degli investigatori. Alcuni di loro si sarebbero anche prestati a fare da “postini” che farebbero la spola tra Castelvetrano ed altri centri della Sicilia per fare arrivare o ricevere i “pizzini” con gli “ordini” e le “raccomandazioni” di Matteo Messina Denaro ad altri boss siciliani. Tra i “postini” più attivi due insospettabili, una donna e un pensionato delle ferrovie dello stato.
Informazioni fornite da una fonte ritenuta “attendibilissima” – si leggeva nell’ informativa- che suggeriva ai carabinieri di non coinvolgere nelle indagini le forze dell’ ordine che allora operavano nella provincia di Trapani per evitare fughe di notizie ed informazioni che sarebbero potute arrivare proprio al boss Matteo Messina Denaro che probabilmente disponeva di qualche “talpa” tra gli investigatori trapanesi. La scottante informativa dei carabinieri che Repubblica pubblicò nel 2016, provocò sconcerto e stupore nella Procura di Palermo. Repubblica scrisse -che la Procura aveva avviato una indagine e una serie di accertamenti anche per ricostruire come e perché quell’informativa così importante sia rimasta nascosta per tanto tempo-.
Le due pagine dell’informativa vennero consegnate alla Procura di Palermo dal generale in pensione dei carabinieri Nicolò Gebbia, che fu tra l’altro comandante della compagnia dei carabinieri di Marsala (che indagava anche su Matteo Messina Denaro) e poi comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. Interrogato nei giorni scorsi dal pubblico ministero Nino Di Matteo il generale ha svelato di avere avuto quell’informativa poco prima di lasciare il comando provinciale di Palermo per assumere quello di Venezia e di averla consegnata – ha dichiarato a verbale – al generale Gennaro Niglio allora comandante della Regione Carabinieri Sicilia, morto in un incidente stradale assieme al suo autista, il 9 maggio del 2004 mentre tornava a Palermo da Caltanissetta. Ma da allora di questa informativa nessuno ha saputo più niente. Il Generale Gebbia, non si è di certo dimenticato dell’informativa e visto che ha fatto nomi e cognomi di pezzi grossi anche della sanità belicina , durante l’udienza del processo Masi che si sta svolgendo a Roma, parla di tutto quel lavoro investigativo che ha toccato gente in alto e gente sconosciuta alle indagini. Insomma c’era qualche “pezzo grosso”. Tutta la sua dichiarazione si trova su Radio Radicale che ha ripreso l’intera deposizione del Generale dei Carabinieri.
Qui i link dell’Udienza del Generale Gebbia che parla dell’informativa dimenticata
File audio: dichiarazioni del Generale Gebbia
Sono passati molti anni e ancora si cercano i fiancheggiatori
Sempre nell’informativa si fa riferimento a un altro dei misteri siciliani, il sequestro dell’esattore Luigi Corleo, suocero di Nino Salvo, rapito il 17 luglio 1975 dai corleonesi e il cui corpo non è stato mai ritrovato. Il documento inedito svela ora che il suo cadavere sarebbe sepolto in una campagna di proprietà di uno dei favoreggiatori della latitanza di Matteo Messina Denaro. Un sequestro che provocò uno scontro tra i corleonesi e i boss Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti (amici dei cugini Salvo) che reagirono uccidendo 17 mafiosi alleati dei corleonesi che avevano partecipato al sequestro di Corleo. Il generale Gebbia ha anche rivelato di avere appreso che pochi giorni dopo il sequestro di Corleo Nino Salvo telefonò a Giulio Andreotti, a quel tempo Presidente del Consiglio, “ordinandogli” di dare un permesso al boss Gaetano Badalamenti che si trovava al confino nel nord Italia, per rientrare per qualche mese in Sicilia per aiutarlo a liberare il suocero. Il permesso non fu concesso ed i Salvo “si adirarono molto” con Giulio Andreotti.
Fonte: Repubblica-Radio Radicale
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