L’onestà è qualcosa che non si prescrive, non si stabilisce, non si ottiene con una o più leggi.
Ma sono convinto, e l’ho detto e scritto in una gran quantità di occasioni, che se c’è qualcosa che stimola a violare le leggi che dovrebbero “garantire”, difendere l’onestà o, almeno, dissuadere dalla tendenza alla disonestà, questa è la gran quantità, la complicazione, l’indecifrabilità, l’incertezza delle leggi che regolano il funzionamento della macchina pubblica ed i rapporti tra il privato ed il pubblico.
E’ tipico quanto ci viene alla mente quando entriamo in un pubblico edificio, dove si esercitano le più elementari e tradizionali funzioni pubbliche dei Comuni e dello Stato.
Se ci accade di essere sbattuti da uno sportello all’altro, nel momento in cui, con la speranza di ottenere subito ciò che sappiamo che ci spetta, perdiamo anche un po’ (almeno) delle nostre migliori intenzioni di mantenerci calmi e pazienti, ci viene spontaneo mettere mano al portafoglio e con una banconota di più o meno elevato valore di euro in mano volgiamo lo sguardo alla ricerca di un usciere, di uno che sembri della partita, al quale dire: “Tenete buon uomo, vedete un po’. Di questo certificato avrei proprio bisogno…”.
E’ corruzione? Pare che le mance d’uso per il personale d’infimo ordine non lo siano. Ma non mi piacerebbe doverlo andare a sostenere in mio favore.
Del resto uscieri, portieri, personale delle pulizie pare che non solo siano qualcosa di simile ad “incaricati di un pubblico servizio”, ma “in virtù di nuove leggi” (vedi legge “anticorruzione della Regione Siciliana”) siano incaricati di combattere contro la corruzione anche e soprattutto dei loro superiori.
I portieri dei palazzi del potere di Sicilia sono tenuti, da una specifica norma della legge regionale “anticorruzione”, ad andare a mormorare all’orecchio di qualcuno incaricato di ascoltarli se hanno notato l’eccessiva frequenza nel palazzo di qualche signor Tizio che non ha motivo di venirci se non per qualche riprovevole mercanteggiamento. E’ oltre tutto, un invito alla deduzione ed alla fantasia.
Ritenere di far diventare onesti amministratori, uomini politici, funzionari, impiegati e, perchè no, magistrati etc. etc. oltre che facendoli sorvegliare dai portieri, aumentando le pene e modificando il marchingegno delle norme penali è una solenne sciocchezza.
Certo la più grave è quella di rendere più “larghe” le previsioni di pena.
Parlare con disinvoltura di “traffico di influenze” e di altri non più chiari concetti è cosa che fa rabbrividire.
Ma ancor più grave e pericoloso per tutti è il ricorso a procedimenti speciali e di speciali e “fulminei” provvedimenti sulla persona dell’indagato e sulla sua permanenza nella funzione in cui si assume abbia commesso l’ipotetico reato.
Se c’è una norma cretina è la c.d. Legge Severino che prevede l’immediata estromissione dalla carica in caso di condanna “in primo grado” per una serie di reati.
E’ la norma in base alla quale fu estromesso dal Governo Silvio Berlusconi (“Re Giuacchino fici la liggi e fu impiso” era il fantasioso proverbio corrente nelle Provincie del Sud).
Ma un caso assai meno “rilevante”, e per nulla pubblicizzato, ma veramente tipico e significativo, fu quello del Sindaco di Agrigento, Marco Zambuto.
Non sono io e non è qui che s’ha da discutere se fosse uno stinco di santo. A me consta che tollerò l’imbarazzante sostegno e l’atteggiamento “magistrale” più a lungo di quanto non fosse concepibile del noto diffamatore, terrorista della diffamazione e della calunnia che imperversò per anni ad Agrigento, il grottesco Avvocato (ahimè!) Giuseppe Arnone.
Ad Agrigento ogni anno, all’inizio della primavera si celebra la “Sagra del mandorlo in fiore”, con manifestazioni varie di vario impegno.
Per tali festeggiamenti, che durano al più un paio di settimane, Zambuto ritenne di doversi munire di uno speciale addetto stampa e nominò un giornalista (si fa per dire) del luogo. La Procura aprì un’inchiesta: non per l’inutile spreco di danari pubblici con il ricorso ad una simile, inutile figura, ma per non aver proceduto all’incarico, osservando che la legge europea sugli appalti (con un costo almeno doppio e prevedendo quindi anche la “vittoria” di un pennivendolo olandese, greco, polacco, francese!).
In fretta e furia, fu condannato per “abuso d’ufficio” (che è diventato il titolo del reato maneggiando il quale meglio si abusa (uso alternativo!!!) della giustizia.
Decadde così, per la Legge Severino dalla carica (e si dovettero fare nuove elezioni), carica che non gli fu restituita quando la Corte d’Appello lo assolse pienamente.
Se norme balorde in mano a magistrati che non ne avvertono quanto meno la pericolosità, sono ritenute mezzi “più severi” e, quindi, più adatti a combattere corruzione, per appalti ed altri reati vari magari di nuova invenzione, c’è poco da sperare.
Gli Italiani faranno bene ad “arrangiarsi”, arte assai antica, della quale sono maestri.
Non parlo, nemmeno, avete visto, di avvisi di garanzia.
Mauro Mellini